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Vite d’azzardo

Che i soldi non facciano la felicità è una certezza. Che vincere alla lotteria possa portare più svantaggi che vantaggi, è stato segnalato molte volte: giocare d’azzardo rilascia endorfine e quindi può portare a una dipendenza, e anche chi ne fosse immune rischia di non resistere al meccanismo della rivalsa (“devo recuperare quel che ho perso”), trascinato in un pozzo senza fondo di giocate senza esito, fino a ritrovarsi sul lastrico.

Insomma, che il gioco d’azzardo sia una piaga sociale e tenersene lontani sia meglio è fuori di dubbio: paradossalmente lo ammettono a mezza bocca perfino alcuni gestori di lotterie istantanee, casinò online e affini, nel momento in cui raccomandano di “giocare responsabilmente”.

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Dimensione etica

Forse hanno ragione i cinesi, che scrivono “crisi” e leggono “opportunità”: non possiamo considerare in termini positivi il dissesto economico degli ultimi due anni e il domino di drammi che ne è seguito, ma non possiamo nemmeno, a guardare con onestà gli sviluppi, non riconoscere che lo scossone è stato inevitabile e necessario per curare un sistema troppo malato, cui non sarebbe bastato a un intervento per quanto drastico (cui nessuno, comunque, avrebbe avuto coraggio e intenzione di mettere mano).

E così il mondo dell’economia, dopo decenni passati nel segno del profitto a ogni costo, ha dovuto fermarsi e riflettere, rivalutare, porsi questioni ineludibili, che si era pensato di poter accantonare tra le anticaglie e che invece si sono rivelate più attuali che mai.

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La grande sfida dell’accoglienza

La Stampa con un servizio alza il velo su una pratica inquietante: a Torino «almeno quattro future mamme sottoposte nell’ultimo anno a fecondazione assistita hanno deciso di selezionare i loro feti, facendo venire al mondo soltanto due dei figli di una gravidanza trigemellare. È successo al Sant’Anna, l’ospedale torinese delle mamme e dei bambini, ma probabilmente è quanto accade anche altrove».

Normalmente nell’ambito della fecondazione assistita è previsto l’impianto di tre embrioni nell’utero della donna, in modo da garantire al concepimento maggiori margini di riuscita. Le percentuali di successo, spiega La Stampa, si posizionano tra il 22 e il 35%, e in alcuni di questi casi la riuscita può essere anche superiore alle aspettative: due, o addirittura tutti e tre gli embrioni possono svilupparsi, portando appunto a un parto gemellare o trigemino.
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La grande sfida dell'accoglienza

La Stampa con un servizio alza il velo su una pratica inquietante: a Torino «almeno quattro future mamme sottoposte nell’ultimo anno a fecondazione assistita hanno deciso di selezionare i loro feti, facendo venire al mondo soltanto due dei figli di una gravidanza trigemellare. È successo al Sant’Anna, l’ospedale torinese delle mamme e dei bambini, ma probabilmente è quanto accade anche altrove».

Normalmente nell’ambito della fecondazione assistita è previsto l’impianto di tre embrioni nell’utero della donna, in modo da garantire al concepimento maggiori margini di riuscita. Le percentuali di successo, spiega La Stampa, si posizionano tra il 22 e il 35%, e in alcuni di questi casi la riuscita può essere anche superiore alle aspettative: due, o addirittura tutti e tre gli embrioni possono svilupparsi, portando appunto a un parto gemellare o trigemino.
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Un disperato bisogno di ascolto

I dati raccolti da Telefono Azzurro dicono che pericoli e maltrattamenti sui minori continuano purtroppo con intollerabile frequenza.

Negli ultimi anni però si è profilato un cambio di prospettiva: oltre ai rischi che provengono dagli sconosciuti è aumentato il numero di casi in cui le malsane attenzioni nascano all’interno della cerchia familiare: genitori, ma anche insegnanti, amici di famiglia (titolo decisamente poco azzeccato), parenti, vicini, guide spirituali. Un quadro desolante cui Telefono Azzurro risponde come può, ma che apre uno squarcio su un mondo diverso da quello che vedono molti di noi.
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La fede di Enzo Jannacci

Sulla fede di Enzo Jannacci avevamo già avuto modo di riflettere qualche mese fa, e già in quell’occasione eravamo rimasti piacevolmente sorpresi sulla sua sensibilità per la figura di Gesù.

Ora, in un’intervista ad Avvenire, il medico cantautore parla a tutto campo delle origini e degli sviluppi della sua ricerca spirituale: scrive Paolo Viana, che lo ha intervistato, che Jannacci «A settantaquattro anni è un uomo che parla con Cristo, che lo cerca ogni giorno, perché – ci dice – ne ha “un gran bisogno”», e se «non ha ritrovato la fede» è «semplicemente perché non l’ha mai perduta: “Credo molto in Dio, ci parlo e non sono mai stato ateo“».

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La storia che passa

Un vecchietto trasandato cammina sotto la pioggia sulle strade di Long Branch, in New Jersey. Agli occhi di chi lo vede il suo atteggiamento è “strano” – pare che negli USA, ormai, tutti siano sospetti – e per questo chiama la polizia.

Arriva una giovane agente, gli chiede i documenti ma l’uomo non li ha, anche se si identifica senza difficoltà: «Sono Bob Dylan», deve aver detto, o qualcosa di simile.

Niente da fare: l’agente lo carica in auto e lo accompagna al suo albergo, dove «quello che credeva solo un “vecchio eccentrico” era davvero Bob Dylan».

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Sessantatré anni fa

Dopo mesi di incertezze e dubbi, il 2 giugno del 1946 il voto popolare sanciva la nascita della Repubblica italiana. Quasi tutti principali partiti, rinati dopo il ventennio fascista, caldeggiavano la scelta di una forma di stato repubblicana; sull’altro fronte la monarchia, uscita compromessa dai drammi della guerra e dall’onta dell’otto settembre, aveva tentato – invano – di recuperare credibilità presentandosi con un’immagine nuova attraverso il passaggio di consegne tra Vittorio Emanuele III e il giovane Umberto II.

Il risultato finale, contestato per l’assenza dei soldati che non erano ancora tornati in patria e di intere aree del paese (non poterono votare la provincia di Bolzano, la Venezia Giulia, l’Istria e la Dalmazia), finì con la vittoria della Repubblica per 12 milioni di voti contro 10, il 54,3%.

A sessant’anni abbondanti di distanza da quelle vicende viene spontaneo chiedersi perché dovremmo festeggiare una repubblica che, in particolare negli ultimi decenni, non ha dato il meglio di sé, facendoci a volte sentire l’imbarazzo di farne parte.

Eppure qualche motivo per essere grati c’è. Cominciando dal fatto che siamo stati probabilmente l’unico paese al mondo dove il passaggio dalla monarchia alla repubblica si è svolto senza spargimento di sangue.

Non era così scontato. E non è così scontato nemmeno essere nati in un paese libero, ricco, in una democrazia che tutela i diritti delle minoranze, dove l’espressione della propria fede è stata sostanzialmente garantita costituzionalmente.

Certo, a dirla tutta per i cristiani minoritari si sarebbe potuto – e, forse, dovuto – fare di più. Però non possiamo dimenticare che viviamo in un mondo dove i cristiani negli ultimi sessant’anni hanno visto peggiorare la propria condizione di vita dall’Africa all’Asia, dalle repubbliche ex sovietiche al Sudamerica.

E allora non possiamo non essere riconoscenti: questa Repubblica così malandata e maltrattata, in fondo, è stata – e continua a essere – una benedizione.

Offerte speciali, proposte indecenti

«Ne ho dovuti lasciare a casa quaranta», si è sfogato sabato il mio vicino, caporeparto di un’azienda brianzola che produce mobili di qualità. Quaranta persone in cassa integrazione, quaranta famiglie che da oggi dovranno dare una robusta sforbiciata alle spese: non solo quelle superflue, anche quelle che non sono indispensabili ma caratterizzano la qualità della vita.

«Sono tempi duri per tutti», ho risposto con un sospiro alla sua amarezza. «No, non per tutti», ha replicato lui. «Duri per chi rispetta la legge», ha aggiunto.

E così ho scoperto una vicenda tutta italiana dove alcune aziende subiscono controlli precisi e puntuali, mentre altre vengono provvidenzialmente risparmiate.

«Hai presente, alla fine della superstrada?», mi ha chiesto. Sì, c’è il capannone di quella rinomata azienda che produce divani. «Facci caso – ha continuato -: luci sempre accese, lavorano a ciclo continuo, giorno e notte. Tutti orientali, personale con scarse competenze, poche pretese e certo non in regola. Logico che poi possono proporre un divano a 500 euro, mentre da noi costa il doppio».

Da cristiano e da consumatore non ho potuto evitare di interrogarmi. Molto spesso sentiamo proporre campagne di boicottaggio nei confronti di aziende che, dopo aver delocalizzato all’estero, offrono condizioni di lavoro improponibili a donne e minori.

Se la risposta dell’opinione pubblica, di fronte ad abusi così plateali, sembra inevitabile, è molto meno scontata una reazione nei confronti di chi gioca sporco ma senza toccare le categorie che toccano la nostra sensibilità.

Non si può fare a meno di riconoscere che anche l’azienda di cui sopra (quella che impiega stranieri senza offrire le dovute garanzie) ha un comportamento poco trasparente e poco etico, e che da questa sua politica commerciale ingorda discende una crisi le cui conseguenze toccano anche noi, i nostri vicini, i nostri familiari.

E allora, come cristiani, dovremmo fermarci a pensare. Faremmo bene a chiederci se possiamo predicare il “non rubare”, e poi accettare senza troppe remore un secondo lavoro in nero.

Faremmo bene a chiederci se possiamo tenere alta la nostra alterità morale, e allo stesso tempo accettare sconti che di morale hanno poco, perché discendono da un trattamento economico discutibile.

Faremmo bene a chiederci se l’etica che diciamo di vivere e che vogliamo mostrare a chi ci sta attorno possa essere così miope da ignorare bellamente i drammi causati da un’economia malata, per continuare ad avvalerci delle “vantaggiose offerte” proposte da aziende, banche, professionisti di cui non possiamo condividere i metodi, ma i cui prodotti ci fanno comodo.

Sì, forse faremmo bene a riflettere. Perché la coerenza è un valore più prezioso di qualsiasi offerta speciale.