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Samaritani o sacerdoti

«Sono centinaia – racconta Il Giornale – le telefonate che arrivano al cellulare del signor Giampiero Cerizza, più noto come il “marito in affitto“. Proprio così, avete letto bene. Di Monza, 59 anni, dopo aver chiuso la carrozzeria, ha pensato di sfruttare la sua abilità manuale e di mettere in piedi una società di servizi per aiutare le donne nelle commissioni e nei piccoli lavori di casa che mariti o compagni non hanno più voglia di fare. Una vera e propria agenzia, insomma, con tanto di sito internet, numero verde e una rosa di collaboratori».

Le richieste sono in media di 150 al mese, duemila all’anno, e il signor Cerizza fatica a starci dietro: ripara persiane, appende quadri, accompagna a fare la spesa e così via, al costo di 15 euro l’ora o giù di lì.

Ma non solo: «Ci sono le signore più anziane che vogliono soltanto un po’ di compagnia e il rubinetto che perde è soltanto una scusa per fare quattro chiacchiere. Per loro la felicità è non sentirsi sole».

Il signor Cerizza non supplisce solo alla mancanza di tempo di mariti e compagni, ma anche alle smagliature di una società che è sempre più connessa e, allo stesso tempo, fa sentire ogni giorno più soli.

Dover mendicare un po’ di compagnia sotto le mentite spoglie di un bisogno pratico significa non avere amici, parenti, nipoti. O averli, ma lontani o insensibili a una richiesta di aiuto che spesso non arriva esplicita, ma attraverso la dignità di una generazione che sa ancora cosa sia l’onore, il rispetto, la buona creanza.

Difficile però togliersi dalla testa che non ci sono solo i parenti.

L’anziano o la vedova che escono poco di casa e tentano di ricavare un po’ compagnia dai servigi di un simpatico tuttofare possono essere più vicini di quanto si creda. Possono essere, anzi, i nostri vicini.

Chissà quand’è l’ultima volta che ci siamo soffermati a chiedere loro come stiano, a commentare qualche banalità quotidiana, a elargire un sorriso e una parola di speranza di fronte agli acciacchi di un’età che incombe e, in molti casi, fa paura.

Quando sentiamo parlare di vicende estreme, come la morte solitaria di una anziana signora ritrovata dopo una settimana, alziamo le spalle, scuotiamo la testa e sospiriamo pensando “che società!”. Ma quella società siamo anche noi. E quella signora potrebbe essere anche la nostra vicina.

Sarebbe davvero triste non sapere, o non voler sapere, che chi ci sta vicino aveva bisogno di noi, e non ci siamo fermati accanto a lui perché i nostri impegni – di lavoro, di vita, e magari perfino di fede – non ce l’hanno consentito.

Impegni (sacro)santi, per carità.
Ma chissà se Gesù, di fronte a un comportamento simile, sarebbe fiero di vederci portare il suo nome. E chissà se gli altri, nel sentirci così distanti, vedrebbero davvero il suo amore in noi.

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