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Crisi di sobrietà

Su un periodico promozionale ho trovato alcuni consigli su come reagire alla crisi “usando la testa e attuando strategie di spesa intelligente”.

Ecco i punti più significativi della tattica suggerita:

1. andare a fare la spesa con un elenco ragionato per risparmiare tempo e denare e “imparare a ottimizzare quello che c’è in dispensa”. In effetti molto spesso a casa abbiamo scorte esagerate, barattoli dimenticati, cibi in scadenza. La crisi, in fondo, ci aiuta a essere più oculati e, allo stesso tempo, più etici.

2. fare swapping. Che è semplicemente un modo più elegante e internazionale per definire il baratto. A casa abbiamo, probabilmente, beni che non usiamo mai né useremo più. Scambiarli potrebbe essere utile per risparmiare qualche euro, oppure – perché no – potremmo addirittura permetterci il lusso di regalarli a chi ne ha bisogno. Chi pensa che in tempi di crisi non si può esercitare la generosità probabilmente dimentica il patrimonio di beni inutilizzati, ma soprattutto quella riserva di energie e buona volontà che ci può permettere di essere benevoli anche quando non possiamo largheggiare. La vita e i rapporti sociali non si misurano solo in euro.

3. approfittare degli sconti. Negli outlet si praticano prezzi ridotti del 50%, che arriva al 70% nel periodo dei saldi. Attenzione però: nonostante questo, l’outlet rischia di far spendere di più. Succede quando si decide di farci un giro senza una meta precisa, con la scusa che “magari trovo qualcosa di interessante”. Il superfluo è il peggior nemico del risparmio.

4. i supermercati propongono a rotazione una serie di beni a prezzo ridotto di cui si può approfittare. Tuttavia il rischio, di fronte a queste offerte, è importante evitare la sindrome da acquisto compulsivo: gli sconti sono una convenienza fino al momento in cui non subentra la logica del “prendiamolo comunque, costa poco!”. Se un prodotto non serve, non c’è sconto che tenga: l’acquisto sarà una spesa ulteriore.

5. riprendere l’abitudine a recuperare l’abbigliamento, anziché scartarlo al primo segno di usura. È sufficiente riscoprire sarti e calzolai.

Sono consigli spiccioli, spesso scontati. Eppure, se fossero stati così scontati, negli anni passati non ci saremmo sentiti dire, in spregio a ogni logica e pudore, che famiglie con introiti da 2500 euro al mese non arrivavano alla quarta settimana.

Sì, sarebbe davvero un bel progresso se la crisi ci aiutasse a riscoprire quella sobrietà che, anno dopo anno, abbiamo smarrito mentre rincorrevamo un consumismo sempre più spinto.

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Oltre e nonostante

A volte trovi tracce di fede dove meno te l’aspetti. Come in un articolo del Corriere dove si racconta il dramma di sei ex calciatori di Como affetti da Sla, e un dubbio atroce sulla possibile contaminazione del terreno dello stadio Sinigaglia su cui hanno giocato per anni.

Nel triste elenco Gaia Piccardi ricorda anche Piergiorgio Corno, da quindici anni malato di sclerosi. «Piergiorgio lotta in un letto della villetta di Albate, irrorato da una commovente spiritualità: “Nella mia vita ho capito che nulla è accaduto per caso – ha scritto proprio ieri sul suo computer -. Più volte la presenza di un’entità superiore si è manifestata e per questo vedo la Sla come un percorso che ha una sua ragione, che non capirò mai con la razionalità umana. Ma verrà un momento in cui tutto sarà chiaro“».

Parole che non lasciano indifferenti, se sono pronunciate da una persona immobilizzata da una malattia che corrode giorno dopo giorno la tua indipendenza, la tua libertà, fino a renderti un corpo alla mercé degli altri.

Talvolta, di fronte a una malattia – o una crisi di altro genere – ci impuntiamo su un imperativo categorico: noi dobbiamo guarire. “Dobbiamo” perché serviamo sani, perché Dio non può volere la nostra sofferenza, perché Dio lo ha promesso, perché Dio dice…

Contrariamente alle nostre aspettative, la guarigione non è sempre nei piani di Dio. E, quando c’è, non sempre i suoi tempi coincidono con i nostri.

Forse sorprenderà sentirlo dire, ma talvolta proprio la malattia, o la crisi, fanno parte del piano di Dio. Un piano che va oltre il nostro, perché vede oltre: oltre il nostro bene contingente, oltre il nostro interesse personale, e perfino oltre questa vita.

Sta a noi metterci nella prospettiva di Dio. Una volta sbollita la rabbia verso un Padre apparentemente meno amoroso del solito, forse potremo vedere dietro alla nostra malattia una opportunità inaspettata per consolidare la nostra fede, intensificare il nostro rapporto con Dio, incoraggiare altre persone che altrimenti non avremmo incontrato o che, in altre condizioni di salute, non avremmo potuto avvicinare con la stessa efficacia.

Spesso, come cristiani, dimentichiamo la nostra scelta di vivere per Cristo. Vorremmo farlo solo quando le condizioni risultano umanamente vantaggiose. O almeno, se proprio dobbiamo accettare un disagio, vorremmo comprenderne preventivamente il motivo.

Se fosse così, la fede non sarebbe necessaria. E ci perderemmo l’opportunità di credere senza preoccuparci delle conseguenze, senza lo stress di dover mantenere uno sguardo d’insieme, senza l’angoscia di un progetto chiaro ma così immane da schiacciarci.

Volenti o nolenti, il nostro percorso di vita non lo tracciamo noi.

Proprio per questo, come cristiani, dovremmo sentirci rasserenati: rasserenati di fronte a un’esistenza che non sempre comprendiamo ma che per noi, possiamo starne certi, è comunque la migliore possibile. Anche quando proprio non sembra tale.