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Uomini e profeti (nel deserto)
Sergio Romano, corsivista del Corriere della Sera e titolare della rubrica delle lettere, risponde oggi alla mail di un lettore: «In una conferenza stampa congiunta tra l’Alleanza evangelica italiana e i Radicali – segnala Matteo Clemente – sono state rese note le presenze sui telegiornali nazionali delle confessioni religiose nel periodo tra gennaio 2009 e aprile 2010. Tg1, Tg2 e Tg3 hanno dato più del 95% del tempo a esponenti cattolico-romani […] Sulle informazioni religiose tutti i tg senza eccezioni sfiorano il 100% a favore della sola religione cattolica. È un Paese democratico quello che imbavaglia l’informazione religiosa e non rende conto del pluralismo religioso?».
Romano risponde con la consueta pacatezza rilevando che simili dati «in un Paese pressoché interamente cattolico e sede della Chiesa romana mi paiono piuttosto prevedibili e scontati». «Le segnalo comunque – continua l’ex ambasciatore – che esiste una trasmissione molto ecumenica, intelligente, informata ed equilibrata. Si chiama “Uomini e profeti” e va in onda sul terzo canale di Radio Rai il sabato e la domenica mattina».
Tolleranza a tempo
Al mondo un umano su quattro è di religione islamica: lo rivela una indagine del Pew Forum in Religion & Public Life, istituto che propone spesso indagini e sondaggi su tematiche legate alla spiritualità.
I cristiani – almeno quelli nominali – hanno ancora la maggioranza (2 miliardi e 250 milioni, contro un miliardo e 570 milioni di islamici), ma la stima sui seguaci di Maometto ha stupito lo stesso istituto di ricerca: «Ovunque il numero è più alto di quanto non ci aspettassimo».
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Grammatica e pratica
Sono giovanissimi, educati, vestiti sobriamente, con l’aria da bravi ragazzi. Li si riconosce da lontano: pantaloni scuri, camicia chiara, capelli corti, zaino nero, aria da americano yes-we-can. E, a distinguerli, un cartellino appuntato sul petto con nome, cognome e carica.
Sono i missionari mormoni, che vediamo girare nelle nostre città e, con garbo, avvicinarsi per raccontarci della loro fede e della loro dottrina. Non sempre, a dire il vero, sanno affrontare al meglio il contesto culturale italiano, ma ci provano sempre, con le armi che la scuola biblica ha dato loro e, quando non basta, con una dose di impegno pratico che va dai corsi d’inglese alle ripetizioni per studenti.
Qualcuno, forse, si sarà chiesto che fine facciano questi ragazzi una volta tornati in patria: anche se i mormoni sono una realtà numerosa, sarebbero comunque troppi per impegnarsi come responsabili di chiesa.
E allora? Il mistero è stato svelato sabato in un servizio sulla Stampa: «In gioventù i mormoni hanno l’obbligo di servire per almeno 24 mesi nelle missioni in giro per il mondo», un’esperienza che consente loro di imparare e raffinare le strategie comunicative fino a diventare ottimi venditori.
La Pinnacle Security, racconta il quotidiano, ha successo grazie a «prodotti competitivi, ma anche a una straordinaria rete di vendita diffusa su tutto il territorio americano e gestita sovente da ex missionari che mettono le esperienze maturate con la fede al servizio del business».
«È una missione trasformata in lavoro», spiega uno degli ex missionari che «come molti dei suoi colleghi si è fatto le ossa professando il suo credo, parla tre lingue, e ha sviluppato una capacità di convincimento degna del più abile negoziatore… Durante le missioni si apprendono vere e proprie tecniche di comunicazione» e «alcuni fondamenti validi in ogni situazione».
L’esempio mormone è una lezione utile.
Non sono in pochi a essere convinti che bastino la teoria e la conoscenza biblica per raggiungere le persone con il messaggio di speranza del vangelo. Hanno le loro risposte preconfezionate, che prescindono dalle possibili domande dell’interlocutore, e che si rifanno sempre agli stessi temi, alle stesse citazioni bibliche, e perfino allo stesso linguaggio. Un monologo dai toni passatisti che, comprensibilmente, non coinvolge troppo la controparte, e talvolta perfino la irrita.
Se provate a obiettare a questi evangelisti retrò che sarebbe opportuno adattarsi al contesto in cui vivono, risponderanno che “il messaggio del vangelo non cambia”. Questo, nella loro prospettiva, li autorizza a usare lo stesso linguaggio aulico di Luzzi, e talvolta perfino gli arcaismi di Diodati.
Ma solo quando parlano di Dio, ovviamente. Non certo al supermercato, in ufficio, a casa. Il tono formale scatta solo in certe specifiche occasioni.
Per il resto, curiosamente, quelle stesse persone non disdegnano di impegnarsi a usare i termini più corretti per rendere interessante un annuncio sul giornale, o di usare la formula più efficace per convincere l’assemblea condominiale.
A quanto pare solo quel vangelo che sta tanto a cuore non può giovarsi di questo privilegio: il privilegio della comprensibilità.
E dire che la società avrebbe bisogno di una risposta e, in fondo, sta solo cercando qualcuno che gliela sappia presentare in maniera comprensibile. I mormoni, nel loro piccolo, qualcosa hanno capito.
Cambiamenti e ravvedimenti
Le cattive ragazze cambiano aria: un articolo della Stampa riferisce che personaggi come Amy Winehouse, Lindsey Lohan, Britney Spears, Paris Hilton hanno abbandonato gli eccessi che avevano fatto la gioia dei giornali scandalistici, e stanno cambiando (faticosamente) strada.
Amy Winehouse alla fine ha accettato di entrare in una clinica per disintossicarsi: ora si apre a un repertorio più romantico e vagheggia l’idea di trovarsi il classico “lavoro serio” aprendo un centro estetico, qualora decidesse di lasciare la musica.
La Lohan, dopo due arresti per guida in stato di ebbrezza (ma la definizione ufficiale, a quanto raccontano le cronache, è eufemistica: era proprio ubriaca fradicia), ha deciso di dire basta ai baccanali e alle nottate in giro per locali; cerca un lavoro “per pagare l’affitto”, dimostrazione che anche i ricchi vivono nel nostro mondo (anche se raramente piangono).
Di Britney Spears si è detto ampiamente: fatta di stupefacenti e cattive compagnie, spendacciona e seminuda (oltreché volgare, ma questo non è un reato), è stata tirata a lucido in una clinica di riabilitazione e ora porta avanti il suo tour mondiale controllata a vista dal padre, che le ha imposto un’ora di lettura biblica al giorno: e chissà se, nella migliore tradizione della scuola domenicale, dopo la lettura ne verifica anche l’apprendimento.
Paris Hilton ha trovato l’amore, ricambiata, e ha quindi smesso i panni della nullafacente metropolitana tutta capricci e leziosità per dedicarsi al suo lui: pensa al matrimonio, e per il personaggio è già tutto dire.
I bimbi crescono, e anche le bad girls, raggiunto un punto di rottura, devono decidere cosa fare. Un cambiamento radicale talvolta è l’unico modo per sopravvivere, specie quando lo stile di vita è più pericoloso di una passeggiata in autostrada.
Ciò che viene da chiedersi se si tratti di un vero cambiamento, o di una pausa tra due eccessi: rinsavire per non morire, prima di rituffarsi nelle vecchie abitudini ritrovando le vecchie compagnie.
Esperienze passate dimostrano che spesso è solo una questione di tempo. Senza una base solida anche il cambiamento più radicale non è destinato a durare. Senza la consapevolezza dei propri limiti, della sporcizia morale, del proprio fallimento interiore, è difficile ricominciare davvero da capo.
Dietro molti di questi cambiamenti sbandierati di fronte ai media non sembra esserci vera motivazione, ma solo una questione di sopravvivenza: cambiare vita per non morire, adottare una condotta salutista senza però toccare l’interiorità di una vita spirituale disastrata, ossia la principale causa di disagio.
Uno stile di vita più sano può aiutare a stare meglio, ma è il cambiamento interiore a portare felicità, serenità, pace.
C’è una bella differenza. La differenza che passa tra sopravvivere e vivere.
In mezzo al dramma
«Mai come in questo momento ho sentito che il Signore esiste»: sono le parole di una donna estratta viva dalle macerie all’Aquila dopo ore di angoscia.
«Sono stata salvata dai miei vicini, di cui prima di ieri non conoscevo nemmeno il nome»: la testimonianza di una donna che, a sua volta, si è salvata grazie all’intervento di quegli illustri conosciuti che vivono a pochi metri da noi, ma cui riserviamo a malapena un saluto all’ingresso, se proprio capita di incrociarli.
Sono due tra le tante esperienze raccontate in questi giorni dagli inviati di giornali, radio, televisioni nazionali spediti nelle zone dove il terremoto ha picchiato con maggiore violenza.
Racconti toccanti e immagini che, senza commento, parlano ancora più forte: gli sguardi attoniti di chi ha perso tutto e non riesce a capacitarsene, i pianti sommessi degli anziani che hanno perso la loro appartenenza, le parole angosciate di chi, coperto da una coperta e relegato in un campo di fortuna, implora “non ci abbandonate“.
Un dramma come un terremoto non si riassorbe in tempi brevi e, di fronte a un simile dolore, sarebbe mera speculazione e mancanza di rispetto banalizzare la vicenda cercandovi per forza un lato positivo.
Eppure, in mezzo al dramma, qualcosa di positivo c’è stato.
Nel dramma improvviso di un pericolo mortale, il bene di una solidarietà che avevamo dimenticato.
Nel dramma angosciante di un futuro quantomai incerto, l’abbraccio concreto di milioni di italiani (e non solo).
Nel dramma disperato di un lutto inspiegabile, la consolazione di una fede quasi dimenticata, che emerge dal profondo, passando attraverso le spaccature di una vita finora troppo granitica e intensa per concedere spazio alla spiritualità.
Non sarà facile, certo, riprendere a vivere dopo tutto questo. Sarà lento e faticoso, talvolta perfino doloroso. Né esiste un percorso più breve per superare il trauma.
Solo quei valori, piccoli barbagli di luce riscoperti in mezzo al dramma, potranno dare la speranza, la serenità, la forza capaci di rendere tutto un po’ più facile a chi saprà farne tesoro.
Diete salutari
Un anno vissuto spendendo una sterlina al giorno: è la sfida che si è imposta una insegnante inglese quarantasettenne. Un po’ per scommessa, un po’ per necessità: doveva fare un regalo di matrimonio a suo fratello, e per questo ha deciso di risparmiare per un anno.
Tolte le spese vive per l’alloggio (affitto, luce, gas) ha stabilito un ruolino di marcia capace di farle risparmiare fino all’estremo, ottimizzando al massimo quel che aveva: pranzi e cene ai buffet gratuiti, acquisti nei mercati all’orario di chiusura (quando i prodotti vengono svenduti) e così via. Ed è riuscita, con un po’ di fantasia, a farsi anche una vacanza.
Alla fine ha raggiunto il suo obiettivo, vivendo per un anno con meno di un euro e mezzo al giorno. Ora, a sfida conclusa, non è tornata alle vecchie abitudini: «Questa esperienza ha completamente cambiato la mia mentalità – ha spiegato – ora non riesco più a provare piacere nello spendere denaro e il mio budget giornaliero continua ad essere molto basso».
A volte dobbiamo privarci di quel che abbiamo, per capire quanto superfluo ci sia nella nostra vita. Certe volte lo facciamo volontariamente, altre volte ci viene imposto dalla vita. In ogni caso può essere istruttivo, se riusciamo ad avere la giusta prospettiva sulle cose.
Tutto sta nell’accettare la situazione: cosa, ovviamente, difficile. Spesso infatti, di fronte alle ristrettezze, tendiamo a dibatterci nel nostro disagio, ostinandoci a carpire i perché e ignorando invece le opportunità che ci si aprono davanti.
Eppure è proprio così: le difficoltà hanno il vantaggio di aprirci gli occhi. Dopo, vediamo tutto in una luce diversa: più realistica, più concreta, più ragionevole.
Forse ogni tanto un digiuno, non solo alimentare, ci farebbe proprio bene: per apprezzare di più quello che abbiamo, per capire gli altri, per crederci meno invincibili, per andare in contro alle necessità del nostro prossimo.
Valigie a metà
Chissà se è morto felice. Nei giorni scorsi si è sparsa la voce che Dave Freeman è mancato per un banale incidente domestico.
Chi sia Dave ce lo hanno raccontato le cronache degli ultimi anni, quando era diventato noto per un giorno (come tanti, da quando i giornali hanno troppe pagine da riempire e i lettori troppo stress da scaricare) per un suo progetto: una lista di cento cose da fare prima di morire.
Aveva messo in fila, come facevamo tutti da bambini, un elenco di esperienze che avrebbe voluto far sue prima di lasciare questo mondo: perché, questa era la sua tesi, non si può mai dire di essersela spassata abbastanza, in questa breve vita.
Per questo ha deciso di scappare dai tori per le vie di Pamplona alla fiera di San Firmino, buttarsi da una torre legato per le caviglie in un tipico rito di iniziazione indigeno delle isole Vanuatu, immergersi nel fiume Gange, e così via.
La sorte l’ha colto impreparato, verrebbe da dire, o quantomeno a metà del suo percorso di vita ideale: aveva realizzato metà dei suoi cento desideri. «La vita è un viaggio breve. Come puoi essere sicuro di riempierla con quanto di più divertente ci sia, visitando i più bei posti che esistono sulla Terra, prima di fare la valigia per l’ultimo viaggio?», diceva.
Non sappiamo se negli ultimi istanti di vita, quelle frazioni di secondo in cui ti passa davanti l’intera esistenza, Dave abbia potuto tirare un bilancio sulla qualità del suo “breve viaggio”, chiudendolo con un sospiro di sollievo, o se fosse rammaricato per non aver vissuto abbastanza.
Non lo sappiamo né potremo mai saperlo: ma, a ben guardare, non ci preoccupa. Quel che invece ci interesserebbe sapere, semmai, è se al momento della dipartita la valigia di Dave fosse pronta.
Esperienze da raccontare
È mancata, alla bella età di 108 anni, l’australiana Olive Riley: viveva a Sydney ed era la più anziana blogger della rete. A febbraio scorso aveva aperto il suo diario telematico, aiutata da un pronipote, «condividendo – spiega Reuters – con gli internauti le sue storie sulle due guerre mondiali e su come ha cresciuto tre figli da sola con il suo lavoro da cuoca in una stazione di provincia».
In questo modo la vecchina «si è guadagnata un pubblico di lettori internazionali», dalla Russia all’America, che si collegavano e interagivano con lei.
In questi cinque mesi la signora Riley è riuscita a inserire una settantina di interventi, risultato che batte in produttività i blog di molti giovani e giovanissimi, incapaci di esercitare costanza nell’aggiornamento del proprio spazio telematico.
La vicenda di Olive Riley fa riflettere. Si tratta ovviamente di un caso estremo: non è facile trovare un centenario lucido e capace di ricordare le vicende della sua vita, che si intrecciano con un intero secolo di storia. Eppure, se di Olive Riley ce n’è una, sarebbero molte le persone di una certa età disposte a raccontare. Sarebbe utile a loro, per mantenere la lucidità e sentirsi ancora vivi anziché spegnersi con la sensazione di essere un peso per la società. E sarebbe utile a noi, che potremmo leggere la storia da una prospettiva diversa, più immediata e vivida, sentendola dalla voce di un protagonista.
Sarebbe interessante poter contare su un archivio di piccole e grandi storie, vicende umane, scorci del passato. E non solo per documentare ciò che è stato, o per curiosità storica.
Le vicende umane si ripetono ciclicamente, i grandi temi con cui l’uomo si confronta sono sempre gli stessi: proprio per questo, in fondo, le storie di vita rappresentano un eterno presente, capace di dare spunti di riflessione, suggerimenti utili, speranza.
In famiglia, nel quartiere, nelle chiese sono sicuramente in molti ad avere un’esperienza da raccontare, e ad essere disposti a raccontarla. Quel che manca, semmai, sono le persone disposte ad ascoltare e a mettere questo patrimonio di vita a disposizione di tutti. Prima che sia troppo tardi.
Rick Warren è sbarcato in Europa
Dic 4
Pubblicato da pj
Ieri, giovedì 3 dicembre, sul Foglio è uscito un mio articolo di analisi sul fenomeno Warren; il contributo inaugura la mia collaborazione con il quotidiano di Giuliano Ferrara. Ve lo ripropongo qui, e resto in attesa dei vostri commenti.
IL PASTORE CHE HA BENEDETTO LA PRESIDENZA OBAMA È SBARCATO IN EUROPA
Il grande pubblico ha scoperto Rick Warren il 20 gennaio scorso, quando davanti a Capitol Hill ha innalzato la tradizionale preghiera di benedizione per l’insediamento di Barack Obama: la paciosa e rassicurante sagoma del pastore che trent’anni fa ha fondato in California la Saddleback Church di Lake Forest rappresenta un cambiamento di forma e di sostanza che non è sfuggito agli esperti.
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