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Quel futuro che non arriva

I conservatori inglesi si fanno combattivi: motivo del contendere, nientemeno che il futuro della società, messo in pericolo dalla crisi della famiglia. Si divorzia troppo e ci si sposa poco, questo in sintesi il pensiero dei Tory, e questo comporta una società sempre più frammentata, che alleva bambini sempre più disorientati da genitori ondivaghi dalla vita sentimentale sempre più provvisoria.

Anche a non voler dare troppo credito alle parole dei conservatori, sono sotto gli occhi di tutti le cronache che parlano di una Gran Bretagna assediata da gang di adolescenti ribelli, mentre le gravidanze sono in aumento tra le giovanissime; ora si aggiungono anche bambini che vengono cacciati in numero sempre maggiore (nell’ultimo anno addirittura quattrocento) dagli asili in quanto risultano ingestibili.

Le soluzioni adottate? Coprifuoco serale per i minorenni; somministrazione di anticoncezionali alle tredicenni; psicologi e cure per l’iperattività agli enfant terrible. In una parola: palliativi.

Non esiste cura senza diagnosi. E la diagnosi nessuno ha il coraggio di stilarla. D’altronde c’è da capirlo: ammettere il fallimento della propria teoria educativa è difficile. È difficile riconoscere che non ha funzionato l’idea di tirare su una generazione senza rispetto per le regole e le persone – tantomeno per le autorità -, senza valori e principi, senza limiti e paletti.

Di correre ai ripari non sembra esserci la minima intenzione: i paladini dell’anarchia infantile continuano imperterriti per la propria strada, atteggiandosi a piccoli Galilei incompresi e maltrattati; in attesa che la storia dia loro ragione proseguono i loro esperimenti contro ogni evidenza e continuano a tacciare di moralismo chi solleva qualche obiezione al loro metodo.

Con la superiorità di chi è convinto di incarnare il progresso discettano, si lanciano in improbabili distinguo, si arroccano dietro al comodo concetto di fatalità di fronte a vicende che, invece, sarebbero state più che prevedibili.

Accettare un presente di sacrifici come dazio per un futuro radioso è comprensibile e accettabile. Purché, nel cammino, non ci si lasci accecare dall’ideologia.

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Esperienze benefiche

Massimo Gaggi sul Corriere raccontava ieri la storia di un gruppo particolare.

Erano conosciuti come Businessmen, ma non erano un azzimata congrega di professionisti: erano una banda di giovani di colore che negli anni Cinquanta ha cominciato a scorrazzare per la periferia di Los Angeles, contendendosi il territorio con la gang rivale (gli Slausons) e lasciando sul terreno, nelle proprie scorribande, più di qualche morto.

Gli anni sono passati, la banda si è sciolta e ognuno è andato per la sua strada: chi ha trovato la via della criminalità (e del carcere), chi un lavoro serio, chi addirittura una professione di un certo livello.

I superstiti si sono reincontrati per ricordare i cinquant’anni della gang, e hanno preso una decisione: aiutare i ragazzi di oggi a non cadere nei loro stessi errori. Così, in una ideale riedizione della banda, si sono organizzati per creare un centro dove i ragazzi disadattati della “loro” periferia possono entrare in contatto con una realtà diversa, trovando stimoli culturali e pedagogici per uscire da una realtà che, nelle periferie fatte di noia e criminalità, è quasi una strada obbligata per troppi ragazzi, nelle strade della west coast americana come a Scampia.

I Businessmen, come chiosa Gaggi, avrebbero potuto fare altro: incontrarsi per ricordare il passato tra una partita a carte e un drink. Hanno scelto la strada più difficile: ricordare il passato mettendo a frutto la loro dolorosa esperienza. Lontani da inutili autoreferenzialità e vicini ai bisogni di chi, oggi, rivive le stesse vicende e gli stessi pericoli dei giovani di ieri.

Naturalmente non sono i soli a impegnarsi socialmente per i ragazzi di periferia, ma hanno una carta in più rispetto ad altri: possiedono un’esperienza diretta e concreta che permette loro di capire meglio di chiunque altro i bisogni, le frustrazioni e le speranze dei Businessmen di oggi.

Indubbiamente una bella lezione: mica facile avere la il coraggio e la lungimiranza per mettere a frutto le proprie esperienze.

Viene da pensare a tutte le volte in cui, in passato, ci siamo ritrovati ad affrontare situazioni difficili, critiche, magari traumatiche. Ne siamo usciti, ma senza trovare una risposta plausibile alle nostre domande.

Chissà che la risposta ai perché di ieri non stia proprio in quell’esperienza che, oggi, potrebbe aiutare gli altri.