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Quel reality formativo

Assume una risonanza europea il caso del nuovo reality tedesco che punta a mettere in una casa alcune coppie di adolescenti: obiettivo, accudire un neonato per quattro giorni e quattro notti.

Si scandalizza l’associazione delle ostetriche tedesche (per loro il reality è “una nuova forma di prostituzione“), gli psicologi (“tutte le ore passate in trasmissione produrranno grande stress nei più piccoli e le drammatiche conseguenze di questa scelta potrebbero manifestarsi col passar degli anni sulla psiche dei bambini”) e perfino la normalmente taciturna chiesa protestante (secondo cui la televisione “ha chiaramente superato qualsiasi limite di decenza“).

Insomma, una bella polemica che, come sempre, finirà per portare acqua al mulino dell’emittente interessata, RTL. Certo, il programma potrà anche non essere di buon gusto, ma non sarà il peggiore tra quelli partoriti in questi anni da autori senza troppi scrupoli.

Fino a oggi, purtroppo, il format del reality non è riuscito a prendere una piega educativa: eppure, tutto sommato, non sarebbe difficile inculcare qualche nozione utile, o allargare le prospettive, a pupe, secchioni, contadini di finte fattorie e grandi fratelli. Basterebbe dare una prospettiva diversa al programma: meno scandalistica, più culturale.

Sarebbe un disastro sul piano dell’audience? Forse no, perché anche la cultura può avere il suo fascino, e ben lo sanno i tanti docenti che, ogni giorno, catturano l’attenzione dei loro studenti con lezioni in cui trasmettono non solo concetti, ma soprattutto passione.

Vale per le materie scolastiche, per le attività extracurriculari (si chiamano ancora così?), per le faccende domestiche e così via.

In quest’ottica, un reality di questo genere potrebbe essere formativo. Naturalmente, nel caso, dovrebbe offrire le dovute garanzie di serenità agli infanti, ma non sembra difficile: i genitori veri potrebbero essere presenti dietro le quinte, a pochi passi dalle telecamere.

Fatto questo, sarebbe decisamente interessante vedere due adolescenti imparare il duro mestiere di genitori cimentandosi tra pappe e pannolini. Sarebbe utile per i protagonisti e per i loro coetanei che, da casa, potrebbero acquisire qualche informazione utile su un ruolo in cui, probabilmente, prima o poi si ritroveranno.

In fondo anche questa è vita, ed è importante conoscerne i vari aspetti per non trovarsi, un giorno, spiazzati.

A chi di dovere il compito di saperla presentare nel modo giusto, senza scadere nel cattivo gusto o nella volgarità ma, piuttosto, trasmettendo al pubblico un messaggio positivo.

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Offerte speciali, proposte indecenti

«Ne ho dovuti lasciare a casa quaranta», si è sfogato sabato il mio vicino, caporeparto di un’azienda brianzola che produce mobili di qualità. Quaranta persone in cassa integrazione, quaranta famiglie che da oggi dovranno dare una robusta sforbiciata alle spese: non solo quelle superflue, anche quelle che non sono indispensabili ma caratterizzano la qualità della vita.

«Sono tempi duri per tutti», ho risposto con un sospiro alla sua amarezza. «No, non per tutti», ha replicato lui. «Duri per chi rispetta la legge», ha aggiunto.

E così ho scoperto una vicenda tutta italiana dove alcune aziende subiscono controlli precisi e puntuali, mentre altre vengono provvidenzialmente risparmiate.

«Hai presente, alla fine della superstrada?», mi ha chiesto. Sì, c’è il capannone di quella rinomata azienda che produce divani. «Facci caso – ha continuato -: luci sempre accese, lavorano a ciclo continuo, giorno e notte. Tutti orientali, personale con scarse competenze, poche pretese e certo non in regola. Logico che poi possono proporre un divano a 500 euro, mentre da noi costa il doppio».

Da cristiano e da consumatore non ho potuto evitare di interrogarmi. Molto spesso sentiamo proporre campagne di boicottaggio nei confronti di aziende che, dopo aver delocalizzato all’estero, offrono condizioni di lavoro improponibili a donne e minori.

Se la risposta dell’opinione pubblica, di fronte ad abusi così plateali, sembra inevitabile, è molto meno scontata una reazione nei confronti di chi gioca sporco ma senza toccare le categorie che toccano la nostra sensibilità.

Non si può fare a meno di riconoscere che anche l’azienda di cui sopra (quella che impiega stranieri senza offrire le dovute garanzie) ha un comportamento poco trasparente e poco etico, e che da questa sua politica commerciale ingorda discende una crisi le cui conseguenze toccano anche noi, i nostri vicini, i nostri familiari.

E allora, come cristiani, dovremmo fermarci a pensare. Faremmo bene a chiederci se possiamo predicare il “non rubare”, e poi accettare senza troppe remore un secondo lavoro in nero.

Faremmo bene a chiederci se possiamo tenere alta la nostra alterità morale, e allo stesso tempo accettare sconti che di morale hanno poco, perché discendono da un trattamento economico discutibile.

Faremmo bene a chiederci se l’etica che diciamo di vivere e che vogliamo mostrare a chi ci sta attorno possa essere così miope da ignorare bellamente i drammi causati da un’economia malata, per continuare ad avvalerci delle “vantaggiose offerte” proposte da aziende, banche, professionisti di cui non possiamo condividere i metodi, ma i cui prodotti ci fanno comodo.

Sì, forse faremmo bene a riflettere. Perché la coerenza è un valore più prezioso di qualsiasi offerta speciale.

Il finale della storia

Che sberleffo, per noi poveri esseri umani: alla fine ha preceduto tutti.

Ha preceduto i politici. Si sono impegnati, i nostri rappresentanti, lavorando perfino in notturna, in una corsa contro il tempo per approvare una legge. L’iperattività del Parlamento sarebbe già una notizia di per sé, ma lo è ancora di più considerando che sul tema in questione, fino a ieri, nessuno voleva esprimersi seriamente andando oltre gli slogan.
Alla notizia della dipartita, i senatori hanno sospeso i lavori per due settimane “per consentire una riflessione approfondita”, facendo sospettare seriamente che, in questi giorni, fossero ancora a digiuno sulla problematica affrontata e stessero discutendo per schemi ideologici più che in base a una ragionevole competenza.

Ha preceduto i giudici. Una sentenza ha stabilito per legge il diritto di sospendere l’alimentazione e l’idratazione a un essere umano. C’è chi ha parlato di disumanità e chi di passo avanti. Potremmo già accontentarci se non diventasse un precedente su una strada che ci porterebbe indietro di settant’anni.

Ha preceduto i benpensanti, che si sono stracciati le vesti quando il governo ha deciso di intervenire con un provvedimento (“la politica ne resti fuori!”), ma hanno ritenuto assolutamente normale che a interferire fosse un giudice.

Ha preceduto chi voleva a tutti i costi “la fine di un incubo”, quando fino a ieri il suo incubo peggiore era proprio la morte.

Ha preceduto chi ha accettato di dare corso alla sentenza, ignorando i segnali di vita di una donna immobile e assente, ma che respirava, deglutiva, espletava le sue funzioni fisiologiche.

Ha preceduto chi l’aveva data per sana al mattino (“prima di giovedì non ci saranno novità”), e l’ha vista mancare alla sera. Spero di non dovemi mai affidare a quel medico per una diagnosi seria.

Sì: l’Onnipotente ha preceduto tutti. Spiazzandoci, e ponendo fine a una questione tutta umana, dove purtroppo si respirava davvero poca umanità.

Eluana è spirata quando ha deciso Lui. Come al solito non ha dato retta a manifestazioni, appelli, programmi televisivi.

Ha dimostrato l’insipienza di chi garantiva baldante sui tempi del decesso, e ci ha insinuato qualche ombra sulle altre “certezze”, ragionevoli e scientifiche che gli esperti hanno tentato di ammanirci in queste settimane: che Eluana non c’era già più, che era di fatto già morta, che non avrebbe sofferto.

Ha confermato che le certezze mediche non sono assolute, e che la vita non dipende da un familiare, dal medico, dal legislatore, dal giudice.

È stato vicino a Eluana, Lui solo, nei suoi ultimi istanti di vita. Medici, infermieri, volontari, genitori non c’erano. Lui sì. Come sempre.