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Il ritmo del messaggio
“God is my dj”, si intitolava la tournée musical-teatrale che Alice portava in giro per l’Italia tra brani sacri e pezzi meno convenzionali.
Chissà se l’iperbole di quello slogan ha qualche parte nella decisione della diocesi cattolica di Genova, che sulla spiaggia di Arenzano ha inaugurato la prima “discoteca cristiana”: l’obiettivo è «far ballare d’estate i turisti e i parrocchiani in allegria, pregando e divertendosi».
Soli in mezzo alla crisi
La preoccupazione primaria per la metà degli italiani, nel 2009, è l’incertezza economica: il 32% teme la precarietà lavorativa, il 18% la caduta del tenore di vita.
Sono i dati che emergono da un sondaggio SWG commissionato dall’Associazione nazionale comuni italiani, resa nota in questi giorni e riportata oggi dalla Stampa.
Dopo la situazione economica, la paura più sentita dagli italiani è la microcriminalità (30%): a seconda della città si teme di più la violenza sessuale (Roma e Bologna), lo spaccio e l’immigrazione clandestina (Torino, Milano, Genova), i furti in casa (Venezia), la criminalità organizzata (Napoli).
Nel servizio della Stampa viene invece citata solo di sfuggita la terza paura degli italiani: il 12% teme l’angoscia della solitudine.
Più di un italiano su dieci, quindi, lascia in secondo piano la gravità della situazione economica e non si preoccupa principalmente nemmeno per la microcriminalità. La paura principale è quella di restare da solo.
Forse si tratta di persone anziane: andando avanti avanti con gli anni si assume una sensibilità sempre più accentuata nei confronti delle piccole cose e dei rapporti umani; più passa il tempo e più si teme di vedere venir meno la propria capacità relazionale. Se a qualcuno potrebbe sembrare un vantaggio, per i più anziani è un vero dramma.
Ma probabilmente in quel 12% non ci sono solo persone di una certa età. E forse le persone che hanno definito la solitudine la loro principale paura non sono immuni delle altre paure: anzi, forse le hanno vissute. Magari si tratta di giovani rampanti che hanno vissuto sulla propria pelle il tracollo di un’azienda che consideravano inaffondabile. O forse si tratta di manager che, fino a ieri, pensavano di poter dare un prezzo a qualsiasi cosa, anche ai rapporti umani: nel momento in cui la crisi si affaccia alla porta, si rendono conto che mercificando le relazioni le hanno compromesse, perdendo il senso dell’amicizia e della solidarietà. Dopo che per dieci anni o più hanno sacrificato famiglia e affetti alla carriera, il lavoro è diventato per loro l’unico strumento di relazione: una volta persa questa coperta di Linus, si ritrovano disorientati e incapaci di ricostruire una vita normale.
Come cristiani possiamo fare ben poco per risolvere la crisi o dare una soluzione al problema della microcriminalità. Ma possiamo fare molto per chi soffre di questa angosciosa solitudine, per chi ha visto crollare i propri riferimenti, per chi deve ritrovare una direzione di vita, per chi tenta di ricucire addosso alla coscienza un’etica e una morale convincente.
Non lasciamoli soli.
(Buon)senso di giustizia
In questi ultimi tempi la tolleranza verso i mendicanti sta raggiungendo livelli di guardia: sono sempre più numerosi i sindaci che emettono ordinanze di varia intensità, accomunate dall’intenzione di allontanare i questuanti dal centro cittadino.
Il problema, si sostiene da più parti, non sono i bisognosi, ma coloro che hanno fatto dell’accattonaggio un mestiere, oltretutto lucroso, insieme a coloro che non si limitano a chiedere ma arrivano a importunare i passanti: insomma, via gli imbroglioni e gli scocciatori.
Se il problema è davvero questo, pare interessante l’esperienza che in questi ultimi mesi si è sviluppata nel quartiere Portoria di Genova grazie all’impegno di un carabiniere. Si chiama Sergio Scupola, trent’anni, ed è un appuntanto scelto; da buon carabiniere – o semplicemente da buon cittadino – non sopporta i furbi. Così, nel suo ruolo di carabiniere di quartiere ha deciso di impegnarsi per allontanare dalle strade della zona i falsi poveri, i falsi invalidi, i falsi malati. «Ha “monitorato” tutta la zona – spiega il Corriere -, ha fatto una sua mappa mentale di chi chiede l’elemosina, ha scattato fotografie, compiuto indagini e anche qualche pedinamento».
Così ha scoperto malati gravi che godevano di ottima salute, miseri senza tetto con una casa più che dignitosa, pescatori che finanziavano il loro hobby con gli oboli degli ignari passanti, e addirittura un agiato pensionato che arrivava da Savona per chiedere l’elemosina al semaforo perché “a casa non sa cosa fare”.
Per scoprire queste vicende e far cessare gli abusi non sono servite intercettazioni, l’esercito, investigatori, Ris, intimidazioni, malversazioni o aggeggi tecnologici: è bastato un carabiniere gentile e intelligente che al momento giusto ha saputo estrarre dalla fondina dell’anima l’arma del dialogo e dell’umanità. Facendo prevalere, nel suo piccolo, quella giustizia spicciola che migliora la vita di tutti i giorni.