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Consigli di lettura – 11

Legge, storia, avventura, musica, fede e attualità tra i consigli di lettura proposti questa settimana.

Si comincia con Carlo Azeglio Ciampi,che ha visto ripubblicata da Il Mulino la sua tesi di laurea concentrata su un titolo che ci riguarda da vicino: “La libertà delle minoranze religiose”. L’elaborato, riproposto a cura di Francesco Paolo Casavola, Gianni Long e Francesco Margiotta Broglio, è una ricerca che risale all’anno accademico 1945-46; il giovane Ciampi affronta l’argomento sotto la guida del professor Jannaccone mettendo in evidenza la luce in cui il diritto ecclesiastico italiano vedeva le minoranze religiose.

Nella tesi Ciampi offre cenni della legislazione sul tema dalla restaurazione ai Patti laterannsi, affronta la situazione del periodo e concentrarsi sul conflitto tra “Religione dello stato e libertà religiosa”, per poi arrivare alla questione dell’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche e alla tutela penale del sentimento religioso. Tutti temi, a quanto pare, su cui la riflessione è ancora molto attuale.

Passiamo alla storia. A quanto pare i veneziani sono abbonati alle avventure: il viaggiatore più noto, si sa, è Marco Polo, che raggiunse la Cina, vi abitò e tornò incolume in patria, per poi di raccontare la sua esperienza nel “Milione”. Meno noto, ma non meno appassionante, il viaggio di Piero Quirino, o Pietro Querini, un nobiluomo veneziano che nel 1431 salpò con la nave di cui era capitano, la Gemma Quirina, insieme a una sessantina di marinai.

Dell’imbarcazione si persero le tracce all’imbocco della Manica, e il suo capitano, tornato inaspettatamente in patria a piedi dopo ventuno mesi, raccontò una storia sorprendente: la nave era andata alla deriva, giungendo oltre il circolo polare artico, nell’isola norvegese di Rostr.

La storia, raccolta dai resoconti del capitano e di altri due ufficiali, viene riproposta ora in un romanzo storico di Franco Giliberto e Giuliano Piovan, “Alla larga da Venezia. L’incredibile viaggio di Pietro Querini oltre il circolo polare artico nel ‘400”, edito da Marsilio.

La storia, nel romanzo, suona come una via di mezzo tra l’avventura di Marco Polo e quella degli ammutinati del Bounty, in questo caso gli undici naufraghi accolti per più di tre mesi dalla popolazione locale.

Insomma, quella che finora era conosciuta soprattutto dagli esperti per la ricchezza di preziosi dettagli geografici fornita dai resoconti originali, seicento anni dopo diventa una storia di piacevole lettura grazie alla penna di due autori contemporanei.

Il 9 settembre 1998, dopo mesi di malattia vissuta con riservatezza e discrezione, se ne andava Lucio Battisti. Un nome che, evidentemente, non ha bisogno di presentazioni.
A ricordarlo è un libro del giornalista Leo Turrini, che per Mondadori ha scritto “Battisti. La vita, le canzoni, il mistero” (Mondadori).

In poco più di duecento pagine Turrini, basandosi su una paziente ricerca tra giornali e archivi, rievoca la vita di Battisti dalla nascita, nel 1943, a Poggio Bustone, fino alle ultime, drammatiche notizie di quel settembre 1998. In mezzo, cadenzati dagli avvenimenti storici e di cronaca, ci sono gli esordi, gli anni del successo, il tandem con Mogol, il ritiro dalle scene, gli ultimi album.

Ma nel lavoro di Turrini si trovano anche retroscena e testimonianze poco note ai più, che arricchiscono il volume e offrono una visione umana di un personaggio che non abbiamo ancora smesso di rimpiangere.

Vale la pena conoscere l’Antico Testamento?
La prima parte della Bibbia cristiana viene spesso trascurata dai credenti: considerano i libri tra la Genesi e Malachia come una sezione ispirata, certo, ma ormai “completata” dal Nuovo Testamento e quindi, tutto sommato, esaurita.

Philip Yancey, collaboratore di Christianity Today, non la pensa così, e ha voluto raccontare l’Antico Testamento da un’altra prospettiva.
Fin dal titolo, “La Bibbia che Gesù leggeva” (proposto in italiano da Claudiana), Yancey sottolinea l’importanza di questi scritti, che furono i testi con cui Gesù, nella sua giovinezza, si formò e si confrontò.

Yancey, a quanto pare un lettore entusiasta dell’Antico Testamento, non pretende di proporre una disamina esegetica completa, ma si limita a indicarci alcuni scorci: dalla storia senza tempo di Giobbe e i suoi problemi al “sapore agrodolce” (come lui stesso lo definisce) del Deuteronomio, dalla spiritualità ad ampio respiro dei Salmi all’esistenzialismo ante litteram dell’Ecclesiaste, fino alla modernità dei profeti.

Dalle parole di Yancey si percepisce la convinzione che l’Antico Testamento, come il Nuovo, è stato scritto da un Dio vivo, che si preoccupa per noi. E che, oggi come ieri, non sta a guardare.

E siamo all’11 settembre: una data, un drammatico ricordo. Sono passati otto anni da quel tragico 11 settembre 2001, quando un attacco terroristico ai simboli politici ed economici degli Stati Uniti sconvolse l’America e il mondo.

Come ogni anno giornali e televisioni ricordano la vicenda attraverso speciali, documentari e film; tra i tanti libri scritti per ricordare e commemorare le migliaia di vittime c’è anche “102 minuti. La storia mai raccontata delle migliaia di persone che lottarono per sopravvivere all’interno delle Twin Towers” (Piemme), scritto da due giornalisti, Jim Dwyer e Kevin Flynn.

Dwyer e Flynn, dopo un lungo lavoro di documentazione su interviste, testimonianze orali, e-mail, registrazioni di telefonate e comunicazioni via radio, hanno ricostruito quei drammatici 102 minuti che hanno separato le 8.46, il momento dell’impatto del primo aereo con la torre nord, dalle 10.28, ora in cui la torre è crollata.

Come si legge nel racconto ricostruito dai due autori si è trattato di 102 minuti drammatici, che per 14 mila persone hanno fatto la differenza tra la vita e la morte tra porte bloccate, atrii in fiamme, scale inagibili e decisioni da prendere.

Un racconto a più voci, quello di Dwyer e Flynn, dove si intrecciano le vicende, i pensieri, le azioni, le comunicazioni di persone che si sono ritrovate – chi per lavoro, chi per pura casualità – ai piani alti di un edificio che, di lì a poco, sarebbe crollato. Il racconto si dipana tra consultazioni angosciate, telefonate a casa e ai numeri di soccorso, tentativi di fuga, offrendo un quadro vivido di quello che deve essere stato, sul campo, quel drammatico 11 settembre 2001.

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Il percorso di Eli Stone

Tra i nuovi serial tv di cui i critici televisivi hanno parlato in questi mesi, ha avuto poco spazio un telefilm la cui prima serie si è conclusa ieri, Eli Stone.

Si tratta di un serial che si poteva scoprire solo per caso – da un po’ di tempo le emittenti non brillano per la capacità di promozione delle serialità e per il rispetto degli appassionati che le seguono – ma che man mano mi ha incuriosito, e non solo per la trama.

Trasmesso da Italia Uno al martedì sera, racconta le vicende di un rampante avvocato trentacinquenne, Eli Stone appunto, socio di un autorevole studio legale di San Francisco.

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Il senatore e l'Onnipotente

Un attempato senatore americano fa causa a Dio. Ernie Chambers, 71 anni, da 38 in carica, ha deciso di portare in tribunale nientemeno che l’Onnipotente per chiedergli di difendersi dalla sua condotta.

Infatti, nella denuncia di Chambers, Dio risulta responsabile “delle continue minacce terroristiche, con conseguenti danni per milioni e milioni di persone in tutto il mondo”, nonché di “terremoti, uragani, guerre e nascite di bmibi on malformazioni”. Non solo: Dio avrebbe “distribuito, in forma scritta, documenti che servono a trasmettere paura, ansia, terrore e incertezza, al fine di ottenere obbedienza”.

La causa è stata giudicata inammissibile dalla corte del Nebraska, dal momento che non è noto un domicilio dove recapitare al Creatore l’invito a comparire davanti al tribunale.

Per parte sua Chambers si dice soddisfatto: avrebbe dimostrato che tutti possono accedere alla giustizia, e che chiunque può essere giudicato. Eppure i conti non tornano: fosse stato questo l’obiettivo, avrebbe fatto più effetto una causa contro il presidente Bush, o un Ahmadinejad qualsiasi.

Prendersela con Dio forse è più comodo, dato che apparentemente non risponde. Certo che poi quando si decide non è così semplice ribattergli, come ha imparato il buon Giobbe.

Chiamare in causa Dio per ascrivergli tutti i mali del mondo, d’altronde, è abbastanza comune, e rivela che il senatore Chambers non conosce Dio di persona. Niente di strano: negli USA come da noi molti si definiscono cristiani, ma limitano la loro fede a una religiosità di facciata, una formula vuota, ben lontana da una vita cristiana coerente.

Se non si conosce il Dio d’amore che ha dato suo figlio per l’uomo, è facile cadere nella demagogia un po’ ipocrita da supermarket del luogo comune. E dire che basterebbe un po’ di buonsenso e di onestà per rendersi conto che buona parte dei drammi e dei disastri di cui parliamo non li ha provocati Dio, ma l’uomo.

Il senatore e l’Onnipotente

Un attempato senatore americano fa causa a Dio. Ernie Chambers, 71 anni, da 38 in carica, ha deciso di portare in tribunale nientemeno che l’Onnipotente per chiedergli di difendersi dalla sua condotta.

Infatti, nella denuncia di Chambers, Dio risulta responsabile “delle continue minacce terroristiche, con conseguenti danni per milioni e milioni di persone in tutto il mondo”, nonché di “terremoti, uragani, guerre e nascite di bmibi on malformazioni”. Non solo: Dio avrebbe “distribuito, in forma scritta, documenti che servono a trasmettere paura, ansia, terrore e incertezza, al fine di ottenere obbedienza”.

La causa è stata giudicata inammissibile dalla corte del Nebraska, dal momento che non è noto un domicilio dove recapitare al Creatore l’invito a comparire davanti al tribunale.

Per parte sua Chambers si dice soddisfatto: avrebbe dimostrato che tutti possono accedere alla giustizia, e che chiunque può essere giudicato. Eppure i conti non tornano: fosse stato questo l’obiettivo, avrebbe fatto più effetto una causa contro il presidente Bush, o un Ahmadinejad qualsiasi.

Prendersela con Dio forse è più comodo, dato che apparentemente non risponde. Certo che poi quando si decide non è così semplice ribattergli, come ha imparato il buon Giobbe.

Chiamare in causa Dio per ascrivergli tutti i mali del mondo, d’altronde, è abbastanza comune, e rivela che il senatore Chambers non conosce Dio di persona. Niente di strano: negli USA come da noi molti si definiscono cristiani, ma limitano la loro fede a una religiosità di facciata, una formula vuota, ben lontana da una vita cristiana coerente.

Se non si conosce il Dio d’amore che ha dato suo figlio per l’uomo, è facile cadere nella demagogia un po’ ipocrita da supermarket del luogo comune. E dire che basterebbe un po’ di buonsenso e di onestà per rendersi conto che buona parte dei drammi e dei disastri di cui parliamo non li ha provocati Dio, ma l’uomo.