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Un adulto per esempio

Nei giorni scorsi Nomisma ha presentato uno studio sulle abitudini di gioco dei ragazzi tra i 16 e i 19 anni.

Dalla statistica sono emerse informazioni interessanti, note e meno note: per esempio si è scoperto che i ragazzi in media spendono 32 euro al mese per Gratta e vinci, Superenalotto e simili; un quarto degli interpellati mente ai genitori sulle abitudini legate al gioco; il 5% è a rischio-dipendenza.
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Uscite a rischio

Ha fatto discutere, giovedì scorso, il commento di Nicola Legrottaglie sul conflitto mediorientale: il calciatore – evangelico – della Juventus ha dichiarato «Sapevo già che sarebbe successo, è una profezia della Bibbia. Il popolo di Israele era quello prediletto da Dio. Ma non l’ha riconosciuto e ora ne sta pagando le conseguenze».

Immancabile il vespaio di polemiche che ne è seguito, tanto da richiedere una precisazione da parte dell’atleta in una lettera pubblicata sullo stesso giornale il giorno dopo: «non era mia intenzione utilizzare la Bibbia per giustificare il conflitto in corso», ha spiegato Legrottaglie, precisando che «Lo Stato di Israele è un Paese che rispetto e che mi auguro possa trovare la pace».

Come ha affermato un giornalista di Radio24, “mettendola così, si giustifica tutto”: Israele non ha “riconosciuto Dio”, e quindi si è addossato tutti i mali di cui ha sofferto in questi ultimi due millenni.

Non ci addentriamo nella contesa: sulla questione si sono affrontati generazioni di storici e teologi ebrei, cristiani e laici, e non sarà certo un post di poche righe a dirimere la questione, con tutti i rischi che si corrono a generalizzare o a trarre conclusioni affrettate.

Ecco, appunto: ci sono temi di cui dovrebbero parlare gli esperti. Non i calciatori, e nemmeno i credenti, se non hanno competenze specifiche in materia. Naturalmente esiste la libertà di espressione, ma è necessario essere consapevoli che, avvalendosene, si corre il rischio di vedere il proprio pensiero frainteso, equivocato, distorto.

Con un pericolo ulteriore: le parole espresse nel momento, nel posto o nel modo sbagliato rischiano di compromettere quel che di buono si è detto, fatto, dimostrato fino a quel momento.

In questi mesi i giornali hanno testimoniato interesse e restituito una buona impressione per il cambiamento di Legrottaglie sul piano umano, morale, spirituale; la sua conversione ha fatto notizia, e il suo messaggio sull’importanza di rivolgersi a Gesù facendone il proprio salvatore ha avuto una risonanza notevole.

Nonostante questi risvolti positivi, non ci stupiremmo se da oggi Legrottaglie venisse ricordato per questa infelice uscita – che, alle orecchie di un pubblico distratto, può suonare addirittura antiebraica – più che per le belle dichiarazioni di fede date in precedenza. E non ci stupiremmo nemmeno se qualche malevolo (non sono pochi) cogliesse l’occasione per generalizzare: “gli evangelici, quelli che…”.

Sarebbe triste se una frase detta a cuor leggero si trasformasse in un pesante autogol.

Fuoco di valori

Ridurre in fin di vita un uomo per divertimento, e vantarsene: non stiamo parlando di vecchi sicari rotti alle esperienze malavitose, ma di quattro ventenni riminesi di buona famiglia, che in una serata di noia non hanno trovato di meglio da fare che dare fuoco a un ignaro barbone.

Una vicenda raggelante, dove il cinismo e la mancanza di riferimenti morali si mescola all’ingenuità, dando vita a una Second life in salsa horror dagli sviluppi incontrollabili.

La frequenza di drammi simili, seguiti da giustificazioni spiazzanti e da un candore sconvolgente («Dottore, ora che le ho detto tutto posso tornare a casa?», chiese un giovanissimo dopo aver confessato di aver massacrato una coetanea) non possono non farci riflettere sul messaggio che questi giovani devono aver ricevuto, e sul quale hanno costruito le loro (in)certezze e la loro scala valoriale (rovesciata). Ci siamo dentro tutti: i media sciacalli, una società compiacente e compiaciuta dalla morbosità, il sistema giudiziario permissivo e inefficace, i vicini di casa indifferenti, i genitori assenti o acquiescenti.

«Succede», hanno detto. «Succede», diranno ancora.
Si, succede. Succede se l’unico amore che si insegna è il sentimento usa e getta, se l’unico valore è apparire, se l’unica morale è arrivare; succede se tutta l’attenzione si concentra su se stessi, se l’unico obiettivo è riuscire a tutti i costi, se l’altro vale solo in funzione del nostro piacere, del nostro divertimento, della nostra utilità; succede se tutto è consentito, se concetti come umanità e rispetto sono relegati a un tempo passato come anticaglie inutili in una modernità che vive un egotismo di inconsapevolezza e inanità.

Nelle nebbie della nostra indifferenza dovremmo far entrare un barlume di indignazione che superi la distanza della giornata, e che fecondi una volta buona il nostro desiderio di cambiamento. Che faccia cambiare noi per primi, scrollandoci di dosso la religiosità e il moralismo di maniera per applicare alla nostra vita – prima che al giudizio verso gli altri – quell’amore che non è solo carezze, ma anche carattere. Quell’amore che è impegno alla coerenza in ciò che facciamo, diciamo, guardiamo, ascoltiamo, pensiamo.

Altrimenti succede e succederà. E, se è vero che chi tace acconsente, succederà perché lo vogliamo.