Archivi Blog

Il percorso di Eli Stone

Tra i nuovi serial tv di cui i critici televisivi hanno parlato in questi mesi, ha avuto poco spazio un telefilm la cui prima serie si è conclusa ieri, Eli Stone.

Si tratta di un serial che si poteva scoprire solo per caso – da un po’ di tempo le emittenti non brillano per la capacità di promozione delle serialità e per il rispetto degli appassionati che le seguono – ma che man mano mi ha incuriosito, e non solo per la trama.

Trasmesso da Italia Uno al martedì sera, racconta le vicende di un rampante avvocato trentacinquenne, Eli Stone appunto, socio di un autorevole studio legale di San Francisco.

Leggi il resto di questa voce

Pubblicità

Michael Jackson e la fede

«Ma davvero Michael Jackson si è convertito poco prima di morire?», ci hanno chiesto molti lettori.

La notizia, che rimbalza in queste ore attraverso i social network, parte da una dichiarazione su Facebook delle Mary Mary, nota formazione vocale USA, secondo cui Jackson, di recente, “avrebbe accettato Gesù nella sua vita”.

«L’altra sera – scrivevano le Mary Mary il 26 giugno – abbiamo ricevuto una buona notizia da Terri McFaddin-Solomon, che è una buona amica di Sandra Crouch. Tre settimane fa Sandra e Andre [Andrae Crouch, noto cantante gospel, ndr] hanno trascorso un po’ di tempo con Michael Jackson, che era loro amico. Michael chiese ad Andrè di suonare “It Won’t Be Long And We’ll Be Leaving Here” (Tra non molto ce ne andremo), poi Michael ha pregato con Sandra e Andre e ha accettato Cristo nel suo cuore».

Succede alla morte di ogni personaggio: a prescindere da quale sia stato il suo comportamento, la sua etica, la sua fede, a  qualche ora dalla dipartita negli ambienti cristiani comincia a circolare la notizia, più o meno fondata, sulla sua conversione.

Il racconto entusiastico delle Mary Mary è stato però smorzato dallo stesso Crouch, protagonista della vicenda insieme alla sorella Sandra.

«Andrae’ and Sandra – riferisce Crouch nel suo spazio su Facebook – hanno visitato Jackson in due occasioni negli ultimi due mesi, una volta presso lo studio di registrazione e poi, tre settimane fa, a casa sua. Michael chiese preghiera per una unzione dello Spirito Santo, e come potesse rendere la sua musica più “spirituale”, così Andrae e Sandra gli hanno spiegato il concetto di unzione e gli hanno parlato di Gesù».

«Voleva sapere – continua il racconto di Crouch – cosa fa sì che le mani si alzino, cosa ti fa “uscire da te stesso”, cosa dà spiritualità alla musica. Ha poi chiesto di ascoltare il suo brano preferito, e ha voluto cantarlo, così lo hanno cantato insieme, alzando le mani e Michael ha esclamato “È bellissimo!”».

Insomma, Michael ha sicuramente avuto un incontro con Andrae e Sandra, e stando ad Andrae «non ha rifiutato Gesù, o la preghiera»: anzi, chiosa il cantante, Jackson è stato contento di unirsi a loro in preghiera e, lui che non tocca mai nessuno, li ha presi per mano per cantare e pregare.

Un dato, questo, significativo ma non decisivo; e lo stesso Crouch riconosce che «Non c’è stata alcuna “preghiera di conversione”», come altre fonti accennavano.

Questo avveniva tre settimane prima che Michael Jackson morisse. Nessuno può sapere cosa sia successo nel cuore di Michael Jackson nelle sue ultime ore di vita, e quindi non possiamo dire una parola definitiva sulla posizione spirituale al termine della sua esistenza: né in positivo, né in negativo.

Vorremmo, ma non sta più a noi. E, in fondo, è molto meglio così.

La falsa novella

«No, bisogna sfatare gli stereotipi della black music: il significato originale di gospel è “buona novella”, e le buone notizie non sono per forza legate a un credo preciso…. credo fermamente che l’hip hop sia una vibrazione positiva che rende il “messaggio” del gospel meno settario da un punto di vista religioso e più universale”.

Sono le ispirate parole di Kenneth Ce Ce Rogers, artista americano in questi giorni a Milano, intervistato dal Corriere.

Un tentativo di sdoganare l’ossimoro del gospel laico che fa riflettere su quanto sia pericoloso smarrire il senso delle parole. Una buona notizia potebbe essere qualsiasi novità positiva, sicuramente. Ma anche “positivo” ha un significato molto relativo, e per niente universale. È positivo vivere o morire? Le discussioni di questi giorni sull’eutanasia insegnano che è difficile dare una risposta netta. È positiva la sicurezza o la riservatezza?

Il problema è che spesso i guru dei nostri anni dicono “positivo” e pensano, in ultima analisi, semplicemente “libero”.

Libero da tutto e da tutti, senza limiti e confini – per dirla con Battisti -, senza obblighi. Liberi malgrado tutto, e a prescindere da chiunque: va da sé che si tratta di una libertà che non contempla la sensibilità, l’amore, e il rispetto per gli altri. Insomma, una religione dell’ego.

Forse allora la soluzione “meno settaria” di cui parla Rogers non è altro che una non-fede universale, dove ognuno è libero di vivere la propria cattiva coscienza senza sentirsi dire alcunché da chi gli sta vicino.

Non c’è che dire: nel passare dal messaggio di speranza e di amore di Gesù Cristo all’anarchia disorientata e confusa dei guru odierni c’è proprio da guadagnarci.

Un gospel per Milano

Coloro che, ieri pomeriggio alle cinque, si sono trovati a passare per piazza della Scala a Milano non hanno potuto fare a meno di sentire l’inconfondibile voce di Ornella Vanoni che raccontava come “essere famosi non significa non avere bisogno di Gesù”.

Ad ascoltarla, tre o quattrocento persone, molte delle quali si tenevano per mano “circondando” gioiosamente la piazza e ravvivandola con palloncini gialli: era il ministero Sabaoth, una tra le chiese evangeliche più note del milanese, impegnata da oltre dieci anni a tutto tondo in un’evangelizzazione fatta di comunicazione alternativa, briosa, adeguata ai tempi e ai contesti.

Più che un culto in piazza, quello del Sabaoth è stato un allegro happening, cui hanno aderito anche una decina di chiese evangeliche di Milano e dintorni: prima e dopo la testimonianza di Ornella Vanoni si sono alternati canti gospel, preghiere e testimonianze, per annunciare che “Gesù ama Milano”.

Per annunciare, ma anche per chiedere: il Ministeo Sabaoth si ritrova da anni senza una sede, stretto tra privati che non affittano per paura di trovarsi in casa una setta, e le istituzioni che rimandano anno dopo anno i bandi di concorso per gli spazi pubblici, salvo poi concedere una corsia preferenziale ai musulmani.

Insomma, un incontro estemporaneo, annunciato ma non programmato ufficialmente, e organizzato proprio in faccia a quel Palazzo Marino, sede del Comune di Milano, che nonostante i buoni agganci della chiesa (Letizia Moratti, in campagna elettorale, partecipò a un culto della comunità, e ha mantenuto poi il contatto con la realtà evangelica) non ha trovato tempo e modo per dare una risposta convincente alla fame di spazio del Ministero Sabaoth.

Se l’iniziativa avrà esito positivo sarà una buona notizia, anche se resterà un retrogusto amaro: sarà l’ennesima conferma che in Italia, per veder affermare i propri diritti e far rispettare la legge, è necessario alzare la voce. Anche se solo per un canto gospel di fronte al Municipio.

Il Sabaoth in piazza

Il Sabaoth in piazza