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Il bluff delle letture mancate

In Gran Bretagna un interessante sondaggio ha rivelato che il 65% degli inglesi millanta letture in realtà mai fatte.

Spiega Repubblica: «Una classifica del tutto particolare dove il 65% degli intervistati ammette di aver pronunciato ben più di una bugia, raccontando ad esempio di aver letto “1984” di George Orwell, “Guerra e pace” di Tolstoj (31%), “Ulisse” di James Joyce (25%), o la Bibbia (24%). Motivo della bugia? Vergogna per la propria refrattarietà a capolavori così noti, ma soprattutto così lunghi».

In merito alle Sacre Scritture, riflette la giornalista Maria Novella De Luca, «quante sono le case dove non esiste una Bibbia, il libro più venduto al mondo? Poche, almeno nell’universo occidentale, ma dall’acquistarla a leggerla il passo è lunghissimo».

Che la lettura non sia l’hobby preferito per gli europei del XXI secolo non è una novità: leggere comporta impegno, costanza, concentrazione, talvolta perfino fatica; non è come guardare la televisione, che permette di assopirsi, o come navigare in rete, che permette di distrarsi, di guardare senza vedere.

Il libro è qualcosa di diverso, ci mette a confronto con i nostri limiti; non chiede solo di essere letto, ma anche vissuto. Non ci mette fretta, ma ci incoraggia a un approccio regolare e frequente, per non perdere il filo, per non dimenticare. E, magari, incoraggia anche la rilettura dopo tempo, per ritrovare concetti e vicende dimenticate o, semplicemente, per ritrovare il gusto di certe atmosfere.

Leggere non è un pregio, è un privilegio. Non leggere non è una vergogna, ma un’occasione mancata.

E fingere di aver letto non è la soluzione. Non lo è con i classici, e lo è ancora meno con la Bibbia che, per venir compresa e applicata correttamente, richiede un’applicazione costante.

Si può scegliere di non leggerla, ma è difficile fingere di leggerla quando non lo si fa.

È difficile sul piano culturale; è ancora più difficile sul piano umano e spirituale.

Talenti impensati

Enrico Franceschini su Repubblica racconta la storia della “vecchietta che cura il mondo con le e-mail”.

Si tratta di una nobildonna inglese che va per la settantina, lady Swinfen, che è in costante contatto da un lato «con una rete di 382 esperti in ogni campo della medicina, tra cui alcuni dei migliori specialisti che si possono trovare in Gran Bretagna, negli Stati Uniti, in Australia, Canada e Nuova Zelanda»; dall’altro con ospedali di «oltre cento paesi, dal Laos alla Lituania, dall’Africa all’America Latina».

In pratica la signora svolge un prezioso ruolo di smistamento. Molte volte, negli ospedali di tutto il mondo, ci si ritrova tra le mani qualche caso particolare, raro, per il quale sarebbe necessario il consulto medico di un luminare. Per gli ospedali dei paesi tecnologicamente più avanzati è semplice, basta un colpo di telefono o una videoconferenza. Ma per gli altri?

Ecco che interviene lady Swinfen: quando un ospedale secondario, sperduto in qualche parte del mondo fuori dalle rotte mediche più battute, ha bisogno di un consulto, si rivolge alla gentile signora, inviando i dettagli, la diagnosi, le analisi. La signora a sua volta smista il caso e il materiale a uno dei trecento medici, ovviamente a quello con la specializzazione più opportuna in relazione al caso specifico, e questo nel giro di qualche ora si impegna a dare un responso. Che, oltre a essere tempestivo, è gratuito.

«All’ inizio – spiega Repubblica – offrivano contatti con specialisti britannici soltanto a due ospedali del Nepal e uno delle isole Solomon, ma ben presto il giro dei loro pazienti si allargò a dismisura», tanto che lady Swinfen e suo marito non hanno più una vita sociale, né vanno in vacanza: ogni giorno piovono nelle loro caselle di posta elettronica decine di casi da risolvere, ovviamente, quanto prima.

Un progetto semplice, banale, a basso costo: quindi un progetto ideale. Anche troppo: «Era un’idea così semplice che non ci aveva pensato nessuno», spiega candidamente la signora.

Supponiamo che Lady Swinfen non fosse un’esperta di reti elettroniche, né un luminare della medicina: eppure, con pochissimi mezzi, è riuscita a creare un sistema che fino a oggi ha salvato la vita a quattrocento persone in dieci anni, e chissà quante altre potranno cavarsela grazie a questa interfaccia telematica tra medici esperti e pazienti lontani.

La storia è edificante. E potremmo dedicarla a tutti coloro che non credono di poter fare granché per gli altri, o temporeggiano in attesa di capire in quale maniera potrebbero mettere i loro talenti a disposizione del prossimo. La vicenda di lady Swinfen testimonia come a volte anche competenze limitate possano dare vita a grandi progetti, o possano venir messe a frutto nell’ambito di strutture che nemmeno sospettiamo abbiano bisogno di noi. Lady Swinfen ha visto un bisogno e si è attivata con quello che aveva.

Come cristiani non possiamo non credere che le nostre competenze, le nostre esperienze, i nostri talenti, le nostre conoscenze abbiano uno scopo benefico. Talvolta non siamo in grado di definirlo con precisione, ma non sarebbe eticamente corretto aspettare di trovarlo prima di mettersi all’opera. E, tantomeno, smettere di cercarlo.