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Quando il mondo non basta

A volte la realtà supera la fantasia. Altre volte la asseconda.  A dimostrarlo stavolta è l’ONU, il carrozzone che lungimiranti statisti vollero dopo la Seconda Guerra Mondiale per favorire il dialogo tra Paesi e continenti, e scongiurare per il futuro un nuovo conflitto planetario.

Un obiettivo onorevole, quello pensato per l’ONU, che però non venne messa in condizione di operare con la dovuta efficacia e la necessaria equidistanza, ritrovandosi spesso sbilanciata nelle sue risoluzioni da maggioranze antidemocratiche, turnazioni surreali, alleanze improbabili, fascinazioni ideologiche: in due parole, ostacolata dagli inevitabili – e insuperabili – interessi di parte.

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Suocera si diventa

Un corso educativo per suoceri: è la proposta della curia udinese, che ha organizzato «un vero e proprio corso per educare le suocere a non fare le “suocere”».

Consapevoli che tre matrimoni su dieci (ma, in certe zone, addirittura il 50%) naufraga anche a causa di interferenze che provengono dalle famiglie d’origine dei coniugi, l’arcidiocesi ha deciso di proporre, in collaborazione con tre psicologhe, alcuni incontri su temi per niente scontati: “E vissero felici e contenti. Relazioni familiari tra illusioni e realtà”, “A pranzo con i miei. Storie di ordinaria amministrazione”, “Mi tieni il bambino? La solidarietà tra generazioni”.

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Un disperato bisogno di ascolto

I dati raccolti da Telefono Azzurro dicono che pericoli e maltrattamenti sui minori continuano purtroppo con intollerabile frequenza.

Negli ultimi anni però si è profilato un cambio di prospettiva: oltre ai rischi che provengono dagli sconosciuti è aumentato il numero di casi in cui le malsane attenzioni nascano all’interno della cerchia familiare: genitori, ma anche insegnanti, amici di famiglia (titolo decisamente poco azzeccato), parenti, vicini, guide spirituali. Un quadro desolante cui Telefono Azzurro risponde come può, ma che apre uno squarcio su un mondo diverso da quello che vedono molti di noi.
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Il fattore costanza

“Dimagrire senza fatica? Ecco perché non serve”. Il Corriere fa strage di illusioni: «Oggi – scrive il quotidiano – vengono proposte molte soluzioni per dimagrire in fretta: pastiglie, preparati vari o diete che farebbero ritrovare la linea con poca (talvolta nessuna) fatica. Ma funzionano davvero? “Se si vuole dimagrire senza far nulla si è sulla strada sbagliata“, spiega Andrea Ghiselli, nutrizionista dell’Inran (Istituto Nazionale Ricerca Alimenti e Nutrizione) di Roma».

D’accordo, è solo una conferma di cose che sapevamo già tutti, anche se ancora in molti si illudono che una pillola, una panciera, una dieta “a zona” possano dare al fisico la tonicità di un olimpionico. Invece per la fisica – e per il fisico – dal nulla non nasce nulla, e ogni risultato richiede uno sforzo.

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Quelle "giornate" poco condivise

Repubblica racconta l’idea di un pubblicitario francese, Vincent Tondeux, si è preso la briga di raggruppare tutte le “Giornate mondiali” attualmente in vigore nel corso dell’anno: si va dalle commemorazioni più significative come la Giornata del ricordo (27 gennaio), a iniziative settoriali come la giornata dei blog (31 agosto) fino a quelle più effimere e inutili come la festa della risata (3 maggio).

Un lavoro per niente banale, che «è stato complicato – ha confessato l’autore – dalla necessità di verificare se quelle che si proclamavano “giornate mondiali” non diventavano poi il raduno in salotto di pochi entusiasti».

Nonostante la sfoltita delle giornate mondiali meno credibili, nell’elenco ne sono rimaste ben 190, alcune delle quali cadono addirittura nella stessa giornata.

Tra gli affezionati delle giornate mondiali c’è in prima posizione l’ONU, che ne ha istituite una novantina; «dopo l’Onu e le sue agenzie, sono le chiese le più attive nel promuovere le giornate mondiali, poi le ong, le associazioni, i sindacati professionali e infine i semplici cittadini».

La quantità spesso fa a pugni con la qualità. Le Giornate mondiali sono nate con il nobile intento di sensibilizzare le società su temi rilevanti; con il tempo se ne sono aggiunte altre, superflue e di dubbio interesse globale.

Non basta istituire una giornata mondiale per dare visibilità a un’iniziativa: serve la capacità mediatica di promuoverla, la sensibilità organizzativa nel coinvolgere tutte le realtà interessate al tema, la disponibilità a non considerarsi depositari di un’esclusiva.

Scoprire che le chiese cristiane sono tra le realtà più attive nell’istituzione di Giornate mondiali fa riflettere. Allargando il discorso, l’anno solare è tempestato di commemorazioni, convegni, incontri, raduni, manifestazioni, iniziative, campi di ogni genere e per ogni platea.

Naturalmente quasi tutte le iniziative in questione risultano formalmente “nazionali”, senza che però questo comporti una significativa partecipazione di cristiani provenienti da diverse aree d’Italia, né la collaborazione di realtà cristiane diverse tra loro, nemmeno quando sarebbe verosimilmente possibile e, magari, auspicabile.

Sicuramente organizzare in proprio una giornata mondiale, o un convegno “nazionale”, è più comodo. Viene da chiedersi se abbia senso in termini di presenze, di visibilità, di risultati. E anche di opportunità.

D’altronde se nemmeno i cristiani riescono più a vedere il valore della condivisione (o, per dirla biblicamente, della comunione), c’è da chiedersi chi potrà farlo.

Quelle “giornate” poco condivise

Repubblica racconta l’idea di un pubblicitario francese, Vincent Tondeux, si è preso la briga di raggruppare tutte le “Giornate mondiali” attualmente in vigore nel corso dell’anno: si va dalle commemorazioni più significative come la Giornata del ricordo (27 gennaio), a iniziative settoriali come la giornata dei blog (31 agosto) fino a quelle più effimere e inutili come la festa della risata (3 maggio).

Un lavoro per niente banale, che «è stato complicato – ha confessato l’autore – dalla necessità di verificare se quelle che si proclamavano “giornate mondiali” non diventavano poi il raduno in salotto di pochi entusiasti».

Nonostante la sfoltita delle giornate mondiali meno credibili, nell’elenco ne sono rimaste ben 190, alcune delle quali cadono addirittura nella stessa giornata.

Tra gli affezionati delle giornate mondiali c’è in prima posizione l’ONU, che ne ha istituite una novantina; «dopo l’Onu e le sue agenzie, sono le chiese le più attive nel promuovere le giornate mondiali, poi le ong, le associazioni, i sindacati professionali e infine i semplici cittadini».

La quantità spesso fa a pugni con la qualità. Le Giornate mondiali sono nate con il nobile intento di sensibilizzare le società su temi rilevanti; con il tempo se ne sono aggiunte altre, superflue e di dubbio interesse globale.

Non basta istituire una giornata mondiale per dare visibilità a un’iniziativa: serve la capacità mediatica di promuoverla, la sensibilità organizzativa nel coinvolgere tutte le realtà interessate al tema, la disponibilità a non considerarsi depositari di un’esclusiva.

Scoprire che le chiese cristiane sono tra le realtà più attive nell’istituzione di Giornate mondiali fa riflettere. Allargando il discorso, l’anno solare è tempestato di commemorazioni, convegni, incontri, raduni, manifestazioni, iniziative, campi di ogni genere e per ogni platea.

Naturalmente quasi tutte le iniziative in questione risultano formalmente “nazionali”, senza che però questo comporti una significativa partecipazione di cristiani provenienti da diverse aree d’Italia, né la collaborazione di realtà cristiane diverse tra loro, nemmeno quando sarebbe verosimilmente possibile e, magari, auspicabile.

Sicuramente organizzare in proprio una giornata mondiale, o un convegno “nazionale”, è più comodo. Viene da chiedersi se abbia senso in termini di presenze, di visibilità, di risultati. E anche di opportunità.

D’altronde se nemmeno i cristiani riescono più a vedere il valore della condivisione (o, per dirla biblicamente, della comunione), c’è da chiedersi chi potrà farlo.

Il più simpatico del vangelo

Famiglia Cristiana ha lanciato un sondaggio tra i suoi lettori, chiedendo quale sia il personaggio più simpatico del vangelo. Tra le opzioni proposte ci sono una trentina di figure che spaziano dai discepoli agli incontri di Gesù, fino ai protagonisti delle parabole.

L’iniziativa è interessante, e potremmo definirla evangelistica: se lo scopo del cristiano è diffondere la conoscenza del messaggio di Cristo, sollecitare la conoscenza del vangelo è un aspetto propedeutico; chiedere all’intervistato di esprimere una preferenza motivata, inoltre, pone l’iniziativa in un contesto non meramente culturale, ma volto alla riflessione, stimolando la coscienza e l’autocritica.

La classifica provvisoria vede in testa il ladrone pentito, il figliol prodigo e il pubblicano Zaccheo; seguono Lazzaro, Maria Maddalena, il pastori di Betlemme e Tommaso.

Secondo Famiglia Cristiana, i voti pervenuti finora indicano una identificazione dei lettori con peccatori pentiti (d’altronde il messaggio del vangelo è proprio quello…), pur lasciandosi una porta aperta: si avverte la necessità di cambiare, ma si preferisce aspettare a farlo.

Dalle nomination sono state escluse, peraltro opportunamente, due figure: Gesù e Maria. Sul momento si potrebbe pensare che la motivazione di questa esclusione sia il rispetto, e di conseguenza l’eccessiva facilità con cui i due dominerebbero la classifica.

In realtà, forse, la scelta è stata dettata da ragioni opposte: d’altronde in un recente sondaggio effettuato in ambito cattolico, Gesù risultava paradossalmente in coda alla classifica dei santi preferiti.

Al di là della questione teologica – l’intercessione dei santi, come si sa, è un retaggio cattolico, avversato sul piano dottrinale dalle chiese evangeliche -, le risposte degli intervistati costringono a interrogarsi su quanto poco gli italiani siano al corrente del cuore stesso del messaggio cristiano. Commemorano la morte di Cristo, ricordano la sua resurrezione, ma non conoscono – né, di conseguenza, riconoscono – la funzione fondamentale del suo sacrificio.

Per questo viene da chiedersi se, escludendo Gesù dal sondaggio alla ricerca del personaggio più simpatico del vangelo, si sia cercato di evitare una vittoria scontata, o piuttosto gli si sia voluta risparmiare l’umiliazione di un piazzamento a metà classifica, dietro a personaggi che – al posto dei nostri contemporanei – avrebbero dato risposte ben diverse.

Per quanto riguarda noi, una volta passata l’indignazione abbiamo due possibilità. Possiamo decidere di ignorare il sondaggio, i nostri vicini, la nostra chiamata, per vivere serenamente nel nostro piccolo mondo fatto di culti, studi, comunione fraterna, begli inni e preghiere intense.

Oppure possiamo sentire il peso per questa situazione, e decidere di fare qualcosa: in questo caso potremmo chiederci se non sia opportuno approfittare di questo periodo pasquale – in cui tutti sono più sensibili al messaggio evangelico – per chiarire le idee a quella ampia parte della società che conosce Gesù di nome, ma lo ignora come persona.

Ruoli confusi

Si continua a parlare di Rick Warren: l’Ansa nei giorni scorsi rivelava che «Rick Warren, il popolare pastore della Saddleback Church che Barack Obama ha invitato a benedire la cerimonia dell’insediamento, ha ritirato dal suo sito web frasi anti-gay che avevano suscitato critiche al presidente eletto dalla comunità omosessuale».

«Dal sito web della Saddleback Church, la chiesa del religioso nella Orange County in California, è scomparsa la frase in cui si affermava che “chiunque non vuole pentirsi del suo stile di vita omosessuale non è benvenuto nella nostra chiesa“. Una frase che è peraltro rimasta conservata nella memoria nascosta di Google”.

In Veneto si direbbe “pezo el tacòn che el buso”, peggio la pezza del buco: togliere ora quella frase risulta in effetti una mossa politica, più che una scelta ragionata.

La frase in questione ovviamente ha scandalizzato gli omosessuali e molti laici, ma lascia perplessi anche guardandola in un’ottica cristiana.

Infatti è ben vero che Dio non tollera il peccato: accoglie ogni creatura che cerca la salvezza in lui, ma questa ricerca deve comportare la disponibilità a pentirsi dei propri peccati, dato che proprio i peccati tengono l’essere umano lontano da lui, precludendogli il rapporto con Dio.

Dio odia il peccato ma ama il peccatore e accetta chi si pente; bisognerebbe però chiedersi se si possa fare lo stesso ragionamento per la chiesa. Sono benvenuti tutti, o solo coloro disposti a pentirsi?

È un problema di approccio, e forse di logica.
In chiesa dovrebbero essere benvenuti tutti, nella speranza cristiana che anche il peccatore più incallito (di qualunque natura sia il peccato) possa ravvedersi, e possa farlo proprio in seguito al messaggio del vangelo che riceve nel corso della visita in chiesa.

È solo una questione di forma, dirà qualcuno. Viene invece da pensare che, per la chiesa di oggi, sia piuttosto un problema di sostanza.

Troppe volte vediamo i credenti confondere il “portare a Dio” un non credente con il “portarlo in chiesa”: pare quasi che il nostro obiettivo sia quello di far entrare le persone tra le quattro mura del luogo di culto, anziché impegnarsi personalmente, con pazienza e costanza, per comunicare loro in maniera efficace il messaggio del vangelo.

Troppe volte vediamo bollare con eccessiva leggerezza “l’allontanamento dalla chiesa” come un “allontanamento da Dio”, senza farsi troppe domande sui motivi di disagio o sofferenza della persona, quasi che la chiesa rivesta la perfezione e non debba porsi questioni scomode.

Troppe volte si confonde la santità della chiesa (o meglio, cui la chiesa è chiamata) con la sacralità di Dio: un equivoco da cui si sviluppa un circuito autoreferenziale di culti, incontri, rapporti e ruoli, in cui la chiesa si rifugia rifiutandosi di guardare la realtà circostante perché “noi non siamo di questo mondo”.

Insomma, troppo spesso tendiamo inconsciamente a identificare la chiesa con Gesù stesso. Con tutto quel che ne consegue quando si tende a sostituire l’umano al divino.

Chissà cosa ne penserebbero i tanti martiri che, nel corso dei secoli, hanno dato la vita per ribadire che nessuno, su questa terra, può sostituirsi a Cristo: nemmeno la chiesa stessa.