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Se lo fanno tutti

Rubare in azienda di norma è reato. Non lo è in quel di Livorno, dove due dipendenti presi con le mani nel sacco – o con il diesel nel serbatoio dell’auto, spillato dal rimorchiatore dell’azienda – sono stati licenziati dall’azienda ma poi reintegrati dal giudice del lavoro.

La motivazione non è, come spesso accade, la mancanza di prove. Anzi: forse, semmai, è l’eccesso di prove. Il giudice, dopo un’accurata indagine, ha stabilito che la sottrazione di carburante è un comportamento generalizzato e, oltretutto, tollerato: «l’azienda sapeva, ma non è mai intervenuta con sanzioni».

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La religione della ragione

In Spagna il crocifisso non avrà più spazio nelle scuole: lo ha sentenziato il tribunale di Castilla-Leon, che ha accolto il ricorso dell’Associazione culturale scuola laica (Acel).

La corte, riporta La Stampa, ha «decretato che il crocifisso e altri simboli cattolici dovranno essere tolti dalla scuola pubblica Macias Picave di Valladolid», ma pare che la decisione verrà applicata a tutte le scuole della regione: secondo la portavoce socialista della città, «è l’unica forma di tutela per le famiglie che non professano il cattolicesimo».

Niente simboli, quindi, nelle scuole, per sancire l’equidistanza dello Stato di fronte alle confessioni religiose: tutto sommato una sentenza ragionevole, molto più ragionevole delle dichiarazioni dell’Acel dopo la pubblicazione della sentenza. Il portavoce dell’associazione ha parlato – così almeno riferisce La Stampa – di «Trionfo dell’igiene democratica».

Proprio così. Non avrebbe parlato di passo avanti, di progresso, o – volendo esagerare – di decisione storica, ma di “trionfo dell’igiene democratica”.

Parole che, a pensarci bene, provocano un brivido: una violenza verbale per un giudizio tranchant che rievoca altri tempi, altri confronti, altre ideologie. Alludere alla scarsa igiene democratica dell’avversario comporta la sua delegittimazione: in quest’ottica la religione, qualunque religione, è diventa un’anomalia fisiologica che viene tollerata malvolentieri, e non una diversità che arricchisce il tessuto sociale.

Eppure i conti, ancora una volta, non tornano. Le certezze granitiche non sono dei democratici e dei liberali, degli intellettuali e dei pensatori, che sono disposti ad ammettere i loro errori, i loro dubbi, un pensiero migliorabile attraverso il confronto.

La solidità di un pensiero inscalfibile è, piuttosto, di una religione. In questo caso, la religione laicista. Con una differenza non da poco: i credenti ammettono serenamente le loro certezze e le loro soluzioni per l’uomo, la società, il mondo.

I laicisti, invece, ammantano la loro religiosità per la ragione con una glassa di scientificità e neutralità che punta a farla apparire qualcosa di ineludibile. Un pensiero unico e irrefutabile che non è possibile contestare senza essere canzonati per la propria creduloneria, tacciati di eresia antidemocratica e messi al bando dalla “società civile”.

Un quadro angosciante. A più di due secoli dagli sproloqui spirituali degli illuministi, il rischio di una dittatura della ragione resta alto.

I vagoni della discordia

Le agenzie hanno appena battuto le dichiarazioni del questore di Napoli, Antonino Puglisi, in relazione ai penosi fatti di ieri: la inane epopea di un’orda di facinorosi che, sotto le mentite spoglie di tifosi di calcio, hanno preso a forza un treno per poi devastarlo nel percorso tra il capoluogo partenopeo e Roma.

«Quando quel treno si è mosso da Napoli, non c’era alcun pericolo di ordine pubblico», spiega Puglisi in un’intervista. «Cosa avrei dovuto fare, un processo alle intenzioni?»

Secondo il questore «quando il treno si è mosso non c’erano segnali di allarme al di là del naturale disagio dei passeggeri costretti a viaggiare in carrozze affollate di tifosi. Tanto che in molti hanno cambiato treno, ma l’hanno fatto in modo autonomo e spontaneo, senza alcuna pressione o violenza».

Oltretutto «I circa 1.500 tifosi in partenza con l’intercity, sottolinea il questore, erano muniti di biglietto ferroviario e per lo stadio»

Dalle parole del questore gli ultrà sembrano quasi dei distinti gentiluomini dal profilo dickensiano e dai modi gentili che, provvisti di regolare biglietto, salgono sul treno, magari chiedendo “per favore” e scusandosi con gli altri viaggiatori per il disagio arrecato.

Peccato che le cronache del giorno prima – ah, questi cronisti, sempre così poco obiettivi – dicano qualcosa di diverso. E parlino di «due stazioni assaltate, viaggiatori messi in fuga da petardi e fumogeni».

«All’Olimpico ancora scene di violenza, con lancio di petardi e cancelli sfondati», che secondo il questore alla stazione di Napoli non erano per nulla prevedibili: secondo Repubblica invece «Le intenzioni bellicose però s’intuivano sin dai primi cori: “Bruciamo la Capitale”, gridavano i tifosi radunati sulla piattaforma». Che pavidi, questi cronisti, temere il peggio per un paio di coretti da stadio.

In merito ai famosi biglietti, in effetti i controlli delle forze dell’ordine in stazione hanno retto, ma solo fino a un certo punto: «Il filtro ha funzionato finché uno dei tifosi ha avuto un malore. Allora i controlli sono saltati e un centinaio di persone si sono infiltrate senza biglietto». Che pignoli, questi cronisti: che differenza faranno cento biglietti in più.

Ma la frase più fastidiosa, forse, riguarda i passeggeri. Che, nel giorno del grande rientro dalle vacanze, erano «Anziani, bambini, gente che doveva riprendere il lavoro».

Si sono allontanati volontariamente, secondo il questore: oppure, come si legge sui giornali oggi, «dopo essersi ribellati al sopruso, si sono allontanati sottraendosi alla calca dei tifosi».
Tanto che il treno è partito in seguito a un’ordinanza prefettizia urgente «mentre infuriava la protesta dei viaggiatori, costretti a scendere per far posto ai 500 sostenitori del Napoli in attesa». Qualcuno terrorizzato e in lacrime, come quella madre che portava il figlio a Torino per un ricovero ospedaliero.

Non dubitiamo della buonafede del questore, che avrà visto i fatti stando nel mezzo della mischia, com’era giusto che fosse. E forse i cronisti presenti erano davvero dei tragediografi nati con qualche secolo di ritardo.

Resta il fatto che centinaia di cittadini onesti sono stati costretti – con le buone o con le cattive – ad abbandonare un treno per il quale avevano biglietto e posto, cedendo i vagoni a una manica di impuniti urlanti che nessuno vuole o può fermare.

Da chi riduce un vagone a un carro bestiame non si può pretendere un atto civile come le scuse a chi ha dovuto subire i loro comodi.

Almeno il questore, però, potrebbe pensarci. Quelle centinaia di “signori viaggiatori” che si sono trovati loro malgrado in mezzo a una brutta avventura, si sono visti minacciati senza motivo, hanno concluso le vacanze con un’odissea indegna di un paese civile.

Hanno sopportato, bene o male, il “disagio” che nessuno ripagherà loro in termini economici. Forse sarebbero contenti di risparmiarsi almeno parole poco generose da parte di un servitore dello Stato, prima di perdere ogni fiducia nei confronti dello Stato stesso.

Laici a parole

Dopo la tragedia, il disprezzo.

Titola il Corriere: “Soltanto funerali cattolici per le vittime di Madrid. Polemica contro il governo”. A quanto pare, infatti, «i funerali pubblici per i 154 morti nella catastrofe aerea di mercoledì scorso, a Madrid, sono stati organizzati dall’arcivescovado, e non sono di Stato».

Differenza solo formale, dato che «a occhio, la differenza non si percepirà lunedì prossimo nella cattedrale dell’Almudena: ci saranno i rappresentanti di Moncloa e Casa Reale; e, soprattutto, non ci sono altre cerimonie ufficiali in programma».

«Gli evangelici – scrive ancora il Corriere – sono i più risentiti: parlano di “dolore aggiuntivo” e disprezzo dei sentimenti”» per i familiari del pastore evangelico Ruben Santana Mateo, scomparso nell’incidente. Protesta l’Alleanza evangelica spagnola, che avrebbe chiesto, se non un funerale evangelico per il pastore, almeno un rito ecumenico o laico. Invece no: funerale cattolico per tutti, siano protestanti, musulmani o atei.

Amaro. Non deve essere piacevole trovarsi privati della possibilità di congedarsi da un proprio caro nella maniera che si ritiene più opportuna, tanto più vedendosi imporre un funerale di un altro credo: una situazione oltretutto paradossale e ancora più incomprensibile se è vero, come afferma il presidente Zapatero, che non si tratta di esequie ufficiali.

Non è una questione religiosa, ma politica. Perché questo fatto accade proprio dove meno ci si aspetterebbe, ossia nella laica Spagna del 2008.

Ma come, caro Zapatero. Proprio lei, che vede la religione, specie quella dominante, come fumo negli occhi, e che si vanta di aver liberato lo Stato da tutte quelle credenze superstiziose dopo secoli di oscurantismo.

Proprio lei, che tutela tutte le minoranze (o forse, viene da pensare ora, solo quelle che fanno notizia). Proprio lei, che sta dalla parte dei deboli e di chi non ha voce.

Proprio lei, che ha cambiato le leggi per rendere tutti uguali fino all’ultima minuzia.

Proprio lei, che ha permesso a tutti di celebrare il proprio amore in maniera ufficiale, a prescindere dal sesso con cui ci si trova a nascere.

Proprio lei, che ha tolto le croci dai muri e le Bibbie dai tribunali per non turbare chi la pensa diversamente, o per chi semplicemente si limita a non pensare.

Proprio lei, tanto attento ai diritti degli “altri”, dei “diversi”, proprio lei si rende complice di un’ingiustizia che – per i suoi parametri – dovrebbe urlare vendetta al cielo, o almeno alla Corte europea.

Proprio lei: non solo non concede a un ministro di culto il diritto a un funerale secondo il suo rito. Addirittura gli impone un funerale di una confessione diversa. E, oltretutto, nascondendosi dietro un distinguo piuttosto ipocrita – e piuttosto risibile – tra funerali ufficiali e funerali di stato.

Per Ruben Santana, il pastore perito nel disastro aereo, non cambierà nulla. Per i suoi parenti, probabilmente, sì: al dolore per la perdita del proprio caro si aggiungerà l’amarezza di una vicenda kafkiana che si potrebbe, e si dovrebbe, evitare.

Perché certo, caro Zapatero, è facile passarsi per progressisti cercando lo scontro su temi di grande impatto mediatico. È facile riempirsi la bocca con parole come “diritti”, “laicità”, “solidarietà”.
Vivere ogni giorno il rispetto per l’altro è molto più difficile.

Anche per lei.