Archivi Blog
Divieto d’eccesso
Oggi sul Corriere Piero Ostellino se la prende con i divieti che nel nostro Paese, “dal fumo alla Nutella”, sono diventati una vera “ossessione”: ne siamo oppressi, scrive l’editorialista, «e già se ne profilano altri».
L’elenco sarebbe lungo, dal «divieto di fumare» in ogni luogo possibile, al divieto «di superare i 130 o i 150 nei tratti col Tutor, anche se su un’autostrada a tre corsie, deserta».
Lo scrupolo del “perché io?”
È passato poco più di un mese, e come tutti i casi di cronaca, per quanto gravi siano, anche questo è stato ormai archiviato. Nessuno ne parla più, e in effetti non ce ne sarebbe motivo: un uomo, roso da un’instabilità mentale e da problemi familiari, ha ucciso la ex moglie e altre due persone con cui aveva un contenzioso, trasformando la Bassa padana in un far west e scatenando il panico tra la popolazione per un pomeriggio intero.
Loro sono morti, lui è in carcere (o in cura), il caso è chiuso. Eppure qualche domanda, a distanza di un mese, bisogna porsela: perché, rispetto a tanti uxoricidi, questo è complicato da due elementi che impensieriscono, o almeno dovrebbero farlo.
I due fronti dell’etica
Da agosto tutte le aziende dovranno adeguarsi a una normativa che, se verrà presa sul serio, provocherà più di qualche grattacapo: il testo unico 81/2008, infatti, prevede che in ogni luogo di lavoro venga effettuata una “valutazione dello stress-lavoro correlato e gli interventi per ridurne le cause”.
Se la maggior parte delle imprese si trova probabilmente in ritardo su questo versante, ce n’è una che – segnala il Gazzettino – è in anticipo di sette anni: si tratta di un’azienda vinicola di Altavilla Vicentina, dove Matteo Cielo già nel 2003 ha deciso di «misurare il grado di soddisfazione dei propri dipendenti, una trentina in tutto, sottoponendo loro dei questionari”, per capire “come vedevano l’azienda in cui lavoravano”».
Generosità a termine
“Italiani generosi, ma meno di prima“: un’indagine del Corriere segnala come sia calata da parte dei privati la disponibilità a sostenere associazioni benefiche.
A risentirne di più sono state le realtà che si occupano di sanità e di ricerca scientifica, che hanno subito anche il contraccolpo di una minore generosità da parte di aziende e fondazioni.
Non che manchi l’interesse per il bene altrui: 9 milioni e 200 mila contribuenti, nel 2008, hanno destinato il loro cinque per mille alle onlus convenzionate con lo Stato, e in particolare alle realtà coinvolte nel sociale (ai primi posti Medici senza Frontiere, Emergency, Unicef).
Cuore e denari
L’Istat conta un presidente, un direttore generale, 18 direttori centrali, 60 capi servizio: praticamente ottanta persone. E allora – si chiede Raphael Zanotti sulla Stampa – com’è che solo tre contribuenti hanno destinato il loro 5×1000 all’istituto? «A sottoscrivere sarebbero dovuti essere almeno in 80, per spirito di corpo. Forse la credibilità dell’istituto è bassissima anche tra i suoi vertici?»
Domanda forse un po’ ficcante, ma interessante. Fino a quando possiamo dividere equamente energie e risorse il problema non si pone; ma quando dobbiamo fare una scelta di campo si vede qual è il nostro vero interesse. Probabilmente i dirigenti dell’Istat non tengono particolarmente all’istituto per cui lavorano. O, banalmente, hanno pensato che i contributi sarebbero stati spesi meglio in altre sedi.
Leggi il resto di questa voce
Meglio un furgone oggi
Il Corriere racconta la storia di Aaron Heideman, un artista dell’Oregon che, come tanti altri, è rimasto travolto dalla crisi e si ritrovato, da un mese all’altro, a dormire in un furgone.
Al contrario di tanti altri, Heideman ha messo la sua arte al servizio di chi, come lui, ha visto la propria tranquilla esistenza naufragare in meno di un anno. Lo ha fatto diventando, a modo suo, portavoce delle tante piccole grandi tragedie causate dal tracollo del credito: ha investito i suoi ultimi soldi in carburante e girando l’America per farsi raccontare le storie della gente qualunque colpita dalla crisi.
Diplomatico silenzio
Fa riflettere la vicenda di James Hudson, viceconsole britannico in Russia che ha perso il lavoro (e la faccia) dopo una serata organizzata per lui dai servizi segreti del Paese ospitante.
37 anni, una brillante carriera diplomatica, Hudson si è fatto tentare da una notte brava con due signorine russe non propriamente disinteressate: professioniste (in tutti i sensi) ben addestrate, hanno ripreso in un video bevute e approcci, per poi far filtrare tutto in rete.
Hudson, insomma, è caduto in trappola. Il suo (opinabile) privato è diventato pubblico su scala globale, e la sua carriera si è conclusa prematuramente e ingloriosamente.
Quattro cose sul voto
Domani e domenica si vota per rinnovare la nostra rappresentanza al Parlamento europeo e, in molte zone del Paese, per eleggere presidenti (e consigli) di province e comuni.
I politici e i giornali, per questa tornata elettorale, hanno preferito concentrarsi su scandali e cadute di stile, piuttosto che dare spazio a programmi e opinioni dei candidati: forse è meglio così, dato che magari molti dei candidati nemmeno sanno cos’è l’Europa.
Però, da cristiani e da elettori, il dilemma resta: devo votare? E per chi?
Forse qualche spunto di riflessione può tornare utile.
1. persona e personaggio.
Spesso nei candidati la morale vissuta in privato e i principi sostenuti in pubblico non coincidono, e questo porta al paradosso di politici che sostengono la causa della famiglia pur avendone un paio alle spalle.
La scelta non è proprio così ovvia. Se la politica è l’arte del compromesso, è meglio puntare su un candidato capace, con le idee chiare ma con un curriculum personale non ineccepibile, o votare un candidato di specchiata moralità ma poco capace o poco in linea con il nostro modo di vedere la società?
Qualcuno obietterà che se il candidato non vive ciò che sostiene non sarà davvero in grado di portare avanti la causa. In teoria il discorso fila; nel concreto, però, va rilevato che non sono rari i casi di politici “non credenti” che hanno fatto per i valori cristiani molto di più rispetto ai politici “credenti”.
2. per cosa si vota.
Prima di entrare in cabina è importante capire per cosa si sta votando.
La rappresentanza europea è una questione politica: quindi riguarda i grandi temi, i principi, i valori che vorremmo dare all’Europa.
Le elezioni amministrative, invece, riguardano la gestione del territorio, che con la politica ha (o, almeno, dovrebbe avere) poco in comune: non mi interessa in cosa creda l’amministratore del mio condominio, purché svolga bene il suo lavoro. In una città, strade pulite e giardini accoglienti non sono di destra, di sinistra o di centro.
3. una questione di democrazia.
In campo cristiano c’è chi sostiene che non dovremmo interessarci alle questioni politiche e sociali, in quanto “non siamo di questo mondo”; in risposta c’è chi obietta che comunque “viviamo in questo mondo”, e che interessarci a chi ci sta attorno sia la testimonianza più efficace dell’amore che siamo chiamati a mostrare.
Va rilevato anche che la democrazia è un privilegio, e non è per niente scontato: la libertà di vivere la propria fede in privato e in pubblico è preziosa e, purtroppo, rara. Smettere di tutelarla potrebbe rivelarsi, in un futuro più o meno remoto, una scelta poco saggia.
4. votare o non votare.
Certo, onestamente parlando, spesso è difficile decidere per chi votare. Talvolta pare che i candidati facciano di tutto per non farsi scegliere, e il teatrino dei politici non aiuta le istituzioni a mantenere il dovuto contegno e la necessaria autorevolezza.
In questo contesto anche l’astensione può essere una forma di scelta. Estrema, ma legittima.
L’importante è che venga esercitata in seguito a una decisione consapevole e non per pigrizia. Quello, sì, sarebbe inaccettabile: come elettori e come cristiani.