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Spiriti sottovuoto

Avie Woodbury è una signora che vive in Nuova Zelanda. Non è famosa, né probabilmente intendeva diventarlo, eppure oggi compare sui giornali di mezzo mondo per aver fatto un affare decisamente particolare: attraverso un’asta online ha venduto per 1400 euro due ampolle senza un particolare valore storico, artistico, affettivo o tecnologico.

Già questa sarebbe una notizia – anche se di gonzi, a questo mondo, ce ne sono parecchi -, non fosse che il presunto contenuto delle bottigliette in questione è ancora più clamoroso del prezzo: la venditrice assicura infatti che nei due contenitori, rigorosamente tappati, sarebbero stati rinchiusi due fantasmi “catturati in casa sua con l’aiuto di un esorcista”.

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Pieni di vuoto

«Hanno tutto, perché rubano?», si chiedevano disperate le mamme di quindici ragazzi della Milano e della Brescia bene, sorpresi ad alleggerire i turisti a Gardaland. Erano tutti figli di imprenditori, professionisti, commercianti, tutti vestiti alla moda, senza problemi di liquidità, con in tasca il cellulare all’ultimo grido.

Eppure nelle noiose – per loro – mattinate primaverili marinavano la scuola destinazione Gardaland per provare il brivido del furto. La direzione, dopo un’impennata di denunce da parte dei visitatori, ha interessato i Carabinieri di Peschiera, che in una giornata hanno fermato i ragazzi. Non si aspettavano di trovarsi di fronte la meglio gioventù, e non si aspettavano una banda così numerosa, tanto che per portarli in caserma hanno dovuto usare il pulmino del parco giochi.

«Dopo la denuncia ridevano e scherzavano tra loro», hanno raccontato i militari, «come se l’accusa di furto riguardasse altri».

E allora non si può non tornare all’interrogativo di partenza: «Hanno tutto, perché rubano?». I genitori hanno soddisfatto ogni loro capriccio dando loro tutto. A quanto pare, non abbastanza.

D’altronde, come tutti i genitori di questo mondo, non hanno potuto regalare ai figli ciò che non avevano: la felicità. Quella felicità che nasce dalla serenità di una vita che ha uno scopo. Probabilmente i poveri genitori hanno passato la vita ad arrivare, a guadagnare, ad accumulare, convinti che la quantità fosse la risposta al loro vuoto interiore.

Eppure, da buoni frequentatori delle boutique più note, avrebbero dovuto sapere che un falso resta un falso anche se è costruito con materiali pregiati. La qualità non si imita. La felicità non si raggiunge accumulando beni, emozioni, esperienze.

No, la felicità di una vita piena non potevano trasmetterla ai figli. E, quando alla vita manca un significato convincente, anche i valori rischiano di non bastare.

Non è sufficiente, ora, interrogarsi, disperarsi, rimproverarsi e rimproverarli. Forse addirittura non c’è stato niente di formalmente sbagliato, nell’educazione che hanno impartito ai loro ragazzi: niente, tranne l’obiettivo. Quando la morale diventa una convenzione ipocrita, quando gli assoluti diventano relativi, quando la fede diventa religione, allora la coscienza si addormenta, il divertimento si fa eccesso e il senso di tutte le cose – la vita in primis – si appanna inevitabilmente.

Sì, hanno avuto tutto, quei ragazzi; forse troppo. La felicità, però, è un’altra cosa.