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Otto secondi per decidere
«La velocità è nemica del senso morale, che ha bisogno per sua natura dei suoi tempi di decantazione. A sostenere questa verità non è solo il buon senso, ma uno studio di neuroscienziati del Brain and Creativity Institute della University of Southern California»: lo rivela il Corriere.
Stando agli studi in questione, per formulare “una risposta completa a emozioni profonde di ammirazione o di sofferenza” il cervello umano impiega sei-otto secondi.
La conclusione degli scienziati è che «i tempi delle scelte», considerati lunghi per i parametri odierni (ma otto secondi sono davvero un lasso di tempo così lungo?) «hanno una valenza etica, partendo proprio da quello che è il tempo fisiologico di reazione del cervello umano a fronte di un’emozione legata a una scelta morale».
Possiamo quindi rassegnarci: «i tempi della comunicazione digitale non sempre rispettano quelli umani e nel caso di azioni e reazioni con implicazioni etiche questa disparità diventa particolarmente vistosa».
Insomma, i neuroscienziati ci confermano quello che già sospettavamo: non basta uno sguardo di massima per farsi un’idea concreta, né basta una lettura superficiale per assumere una scelta ragionata e matura, per non dire etica.
Non sarà un caso se siamo tempestati da richieste di risposta “in tempo reale”: per qualcuno dei nostri interlocutori probabilmente è solo una questione di impazienza (“hai letto la mia mail? Te l’ho spedita già cinque minuti fa!”), ma non dovremmo ignorare che la fretta può essere usata come un’arma psicologica.
Le aziende più attente all’impatto con i potenziali clienti e si servono del fattore fretta: i ritmi incalzanti fanno capitolare gli interlocutori con maggiore facilità, e per questo è proprio nei primi istanti che bisogna vincere le eventuali resistenze. Se una persona dice sì subito, sarà più semplice vendergli qualcosa, si tratti di un’aspirapolvere, un abbonamento o una carta di credito: alzi la mano chi, almeno una volta nella vita, non si è lasciato abbindolare da un venditore che ci ha spiazzato, o che ha saputo conquistare la nostra fiducia fin dai primi istanti.
Cinque secondi non bastano per prendere una decisione consapevole. Dovremmo tenere conto di questo nostro limite: e non solo esercitando una sana diffidenza nei confronti del piazzista di turno. Spesso l’entusiasmo o l’impulsività ci portano a fare scelte radicali, nella nostra sfera personale, nel giro di pochi secondi.
Ci bastano pochi secondi per aderire a un progetto, rispondere piccati a chi ci ha offeso, reagire malamente nei confronti di chi ha una prospettiva diversa dalla nostra.
Le neuroscienze confermano ciò che la saggezza popolare insegna da tempo immemorabile: la fretta è cattiva consigliera. E molto spesso è proprio delle decisioni troppo rapide che dobbiamo pentirci. Talvolta, ahinoi, non è nemmeno possibile rimediare, e ci troviamo a rammaricarci per mesi, anni, o per una vita di quei pochi secondi di follia che hanno mandato in frantumi un’amicizia, una collaborazione, un rapporto di fiducia. O che hanno rovinato la nostra reputazione, la nostra serenità, la nostra vita spirituale.
Bastano pochi secondi per compromettere anni di paziente lavoro, impegno, attesa. La Bibbia, tra i doni dello spirito, cita la temperanza: quell’autocontrollo che, se esercitato, ci tiene lontano da molti grattacapi.
Forse allora è il caso di investire qualche secondo in più nelle nostre decisioni, resistendo al vortice dell’istantaneità. Perché tra una risposta rapida e una risposta affrettata la differenza iniziale è minima; le conseguenze, purtroppo, no.
Così vicini, così lontani
In un sondaggio riportato su Repubblica si indaga sul vicino insopportabile. I comportamenti condominiali più fastidiosi? Tutti detestano la spazzatura lasciata sul pianerottolo, ma poi «per gli uomini quell’auto parcheggiata fuori dalle linee dal vicino di casa è una delle cose più fastidiose, mentre quelle piccole e insidiose bricioline che fanno tanto felici gli uccellini sul nostro balcone scatenano le ire delle donne, soprattutto quando cadono dal terrazzo della “nemica” del piano di sopra».
Dà fastidio (a tutti) anche l’invasione della propria sfera personale, favorita dalle «pareti extrasottili di cui in genere sono fatti i nostri appartamenti», a causa delle quali «il problema non è solo quello della sveglia del vicino che fa turni di notte e ti fa sobbalzare alle 3 del mattino ma, diventa più imbarazzante, quando si tratta di aspetti più intimi».
Il vicino ideale? Sicuramente non è uno studente, ma piuttosto un anziano; allo stesso tempo si predilige un vicino impiccione che dia un’occhiata alla casa quando si è assenti, ma non si disdegna nemmeno «il vicino “viaggiatore” che lascia sempre libero il posto auto».
Insomma, ricapitolando e ampliando: il vicino ideale è quello che ti controlla la casa ma non c’è mai; è abbastanza giovane per aiutarti a portare su un mobile ma abbastanza anziano da non portare a casa amici; sordo, in modo da non farsi gli affari nostri, ma non tanto da tenere alto il volume del televisore; simpatico, ma invisibile; single e taciturno, ma con una famiglia che all’occorrenza faccia un po’ di compagnia; disponibile ma discreto; cuoco per invitarci a cena, ma che non cucini per non invaderci con gli effluvi dei suoi piatti.
Lui deve essere così. Noi, invece, dobbiamo mantenere il diritto a urlare per le scale, tenere alto il volume dello stereo e delle litigate, avere figli rumorosi, essere scontrosi quando la luna è calante e invadenti quando è crescente, assenti quando si tratta di dare ma presenti quando c’è da ricevere.
È evidente che il nostro vicino ideale non esiste. E, se esiste, non ci somiglia per niente.
La triste realtà, infatti, è che noi stessi siamo molto lontani dal nostro ideale di vicino. Anzi: forse, mettendoci una mano sulla coscienza, potremmo concludere che nessuno, potendo scegliere, ci vorrebbe come dirimpettai.
Considerando che la prima testimonianza della nostra fede cristiana non è la predicazione ma il comportamento, non c’è molto da stare allegri.
Forse allora, prima di giudicare i comportamenti altrui, dovremmo fermarci e riflettere sul nostro.
«Fai al tuo vicino quello che vorresti lui facesse a te». Non lo ha detto un amministratore di condominio, ma Gesù.