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Vita (poco) intelligente,
Qual è stato l’anno più importante della storia?
Non si tratta di un quiz ma una domanda posta qualche settimana fa da Intelligent Life, supplemento dell’Economist. Qualche malizioso potrebbe concludere che l’inserto in questione non deve essere poi così intelligente se perde tempo con domande così oziose, ma – nonostante l’obiezione non sia insensata – bisogna spezzare una lancia nei confronti del periodico: si tratta di una domanda tipicamente estiva, quando le notizie scarseggiano e i giornali di tutto il mondo si buttano sul “colore” o su inchieste senza troppo mordente.
E insomma: qual è stato l’anno che ha cambiato il mondo? «Gli esperti consultati dalla rivista – racconta Repubblica – naturalmente non raggiungono un accordo. Al massimo, in una discussione del genere, ciascuno può dire la sua».
Felicità gonfiate
«Nel mondo dello spettacolo rifarsi è un’ossessione. La plastica in tv mette in moto una reazione a catena: mi arrangio con il botulino, ma non so quanto resisterò»: parole di una starlette nota al pubblico italiano. Ai suoi esordi, nelle interviste, erano per lei motivo di vanto le sue vistose protesi mammarie, dichiarando che aveva deciso di maggiorare le sue misure per per ottenere la notorietà.
Qualche lustro dopo la ritroviamo a lanciare l’allarme: dei suoi pregi acquisiti parla oggi come di un drammatico circolo vizioso, che costringe al rilancio continuo per non cedere ai segni del tempo. I suoi punti di forza sono diventati allo stesso tempo un idolo e una dipendenza (“un’ossessione”).
Una situazione drammatica sul piano umano, perfino disperata sul piano estetico («mi arrangio con il botulino, ma non so quanto resisterò»), che presenta tristemente il conto alle dichiarazioni ammiccanti e sostenute dell’epoca, quando alla soubrette sembrava sarebbe bastata qualche misura in più per essere felice.
Chissà se oggi, risvegliata dall’anestesia cui la celebrità l’ha sottoposta, ha colto la falsità dell’accostamento tra la felicità – quella vera – e fama, denaro, eccessi.
Chissà se, delusa da una vita a fondo cieco, avrà il coraggio di cercare una via alternativa, o se invece vorrà rilanciare fino all’ultimo, nella disperazione di una decadenza che i continui interventi estetici accelereranno.
E chissà se la sua (triste) vicenda potrà essere un monito per chi continua a vedere nel personaggio televisivo un essere che rasenta la perfezione, da mitizzare e invidiare, o per chi aspira a entrare nel rutilante mondo dello spettacolo.
La lezione di Modugno
In questi giorni gira per radio un vecchio brano di Domenico Modugno, egregiamente reinterpretato dai Negramaro.
Si intitola Meraviglioso, e propone un testo non indifferente.
Qualcuno, per il fatto di non saper guardare alla vita con la giusta prospettiva, decide di farla finita. Al di là di questi drammatici casi estremi (non rari, purtroppo), vale la pena fermarci a riflettere sulla nostra, di prospettiva. Un cristiano dovrebbe comunicare gioia, e trasmettere anche nei momenti peggiori una serenità capace di distinguerlo dagli altri. Il nostro comportamento, la nostra condotta, il nostro atteggiamento dovrebbero testimoniare per primi, anche senza parole, la validità della nostra scelta di fede. Dovremmo sollevare una sana invidia in chi ci vede, un rovello che lo porti a comprendere quale grande vantaggio diano la fede nella vita quotidiana, un rapporto personale con Dio, la certezza della salvezza.
Invece troppo spesso siamo volti corrucciati in mezzo a tanti altri, viviamo una vita che ci sta stretta o larga, ma mai giusta, diamo per scontato quel che abbiamo e, anziché gustarci quel che ci circonda, mastichiamo insoddisfazione.
Poi, con questa faccia e questo atteggiamento, pretendiamo di convincere le persone che Dio risolve i problemi e dona felicità. Se la fede fosse un prodotto, Dio non ci assumerebbe come testimonial.
E non è questione di crisi, di ristrettezze economiche, di problemi familiari: se per sorridere aspettiamo una vita perfetta, da qui alla nostra dipartita torneremo ben poco utili alla diffusione del messaggio del vangelo.
Mentre noi viviamo così, in attesa di un futuro da Mulino Bianco, una persona non particolarmente credente (secondo i nostri parametri) ha saputo spiegarci quello che avremmo dovuto spiegare noi a lui: che la vita è meravigliosa già oggi. E lo è anche solo a guardarla.
Ma guarda intorno a te
che doni ti hanno fatto
ti hanno inventato il mare
tu dici non ho niente
ti sembra niente il sole
la vita, l’amore, meraviglioso
Di fronte a un’esplosione di lode come questa da parte di un artista che nemmeno consideriamo credente, dovremmo forse vergognarci. Per la nostra poca fede, per la nostra scarsa lungimiranza, per la nostra ingiustificabile ingratitudine.
Egualitarismi travisati
Il Corriere dedica un articolo al secolare conflitto tra bellezza e sapere.
Prima scena. Un gruppo di studentesse universitarie londinesi partecipa a uno dei tanti concorsi di bellezza organizzati per attirare gli sguardi maschili e illudere le menti femminili che l’estetica basti a costruirsi un futuro (una su mille ce la fa, le altre arrancano. E forse, a ben guardare, finisce meglio per quelle che non ce la fanno).
Sia giusto o sbagliato, succede: in ogni stagione, in ogni parte del mondo.
Seconda scena. Un gruppo di studenti inviperiti contesta il concorso di bellezza. «Questa gara va cancellata. Veniamo all’università per essere giudicati sulla base della preparazione accademica e non per mostrare caratteristiche esteriori», ha detto una rappresentante studentesca davanti al locale dove aveva luogo la sfilata.
In fondo non c’è niente di strano: le fanciulle hanno la libertà di esporre le loro grazie, le femministe il diritto di contestare la mercificazione della bellezza esteriore. Quel che stupisce, semmai, sono gli argomenti usati.
Non abbiamo motivo né interesse a difendere un genere di manifestazione ormai inflazionato, che con gli anni ha perso in termini di buon gusto e guadagnato in banalità.
Ma la logica non è un’opinione. Nessuno mette in dubbio che l’università non sia il luogo per esporre le proprie velleità da veline (anche se, con un rapido giro in biblioteca, spesso si resterebbe convinti del contrario). Nessuno mette in dubbio che non siano le caratteristiche esteriori a garantire un risultato accademico (anche se, dalle cronache degli ultimi anni, la si potrebbe pensare diversamente).
Il fatto è che suona ridicolo indignarsi perché «il concorso esclude le ragazze che non hanno le caratteristiche per comparire sulle pagine delle riviste glamour».
Non siamo tutti uguali (e meno male). L’importante è non considerare questa differenza un handicap e non vivere la differenza con invidia, quanto piuttosto come arricchimento.