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Se Sarah Palin convince Graham

Mentre Rick Warren sbarca in Europa per promuovere il suo “Purpose & peace plan” dedicato alle chiese, negli USA un redivivo Billy Graham incontra Sarah Palin.

Vista la sua età – 91 anni – le uscite pubbliche del predicatore più noto del Novecento si sono giocoforza rarefatte, e per questo la presenza della ex governatrice dell’Alaska, nonché ex candidata alla vicepresidenza USA insieme a John McCain, fa ancora più rumore.

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Antenati come armi

«Fuorilegge del west: così risulta essere il nonno materno del candidato repubblicano John McCain nei primi anni del Novecento. Non un cow boy killer alla Billy the kid né un ladro di bestiame, ma il classico spacciatore di alcool, giocatore d’azzardo, sfruttatore degli indiani e speculatore del petrolio di mille film western», scrive il Corriere oggi.

Ben strana la società americana. Da un lato chiunque può realizzare il sogno di diventare presidente partendo da umili origini (anche se, a ben guardare, avere una famiglia potente è d’aiuto); dall’altro ogni errore viene ricordato per decenni, a prescindere dalla sua gravità e dal contesto.

Gli americani hanno votato George Bush junior, ma non hanno dimenticato – e perdonato – il frequente stato di ebbrezza che ha caratterizzato la sua adolescenza. E così per i trascorsi politici, familiari, umani.

A ogni tornata i candidati alla presidenza USA vengono analizzati ai raggi x sotto tutti i punti di vista, e nessuno si scandalizza di questo: anzi, la pratica viene considerata una garanzia di trasparenza su colui che dovrà guidare il Paese e, per certi versi, il mondo intero. Arrivare ai nonni, però, è piuttosto raro. Tutto sommato, anziché rammaricarsi, McCain dovrebbe considerarlo un motivo d’orgoglio: se è così irreprensibile da richiedere ricerche genealogiche per scoprire qualcosa di scandaloso, forse è davvero sulla buona strada per la Casa Bianca.

Quello scoglio chiamato Dobson

L’avevamo preventivato, anche se non ci voleva poi molto: la campagna elettorale per la presidenza degli Stati Uniti entra nel vivo, e i due candidati fanno a gara per conquistare il favore degli evangelici.

Non sarà facile per nessuno dei due: per le sue posizioni molto possibiliste su tematiche primarie per il mondo cristiano (la difesa della vita, il matrimonio), il candidato repubblicano John McCain ha già subito il veto di James Dobson, fondatore di Focus on the family, una delle organizzazioni evangeliche USA più influenti (realizza programmi radiofonici che contano 220 milioni di ascoltatori in 164 Paesi del mondo). Dobson ha detto che non avrebbe mai votato per McCain – e infatti, alle primarie repubblicane, ha sostenuto il simpatico pastore battista Huckabee -, ma sull’altro fronte probabilmente non pensava di trovare un personaggio altrettanto controverso.

O meglio, Obama ha dimostrato di essere un perfetto liberal, e ha saputo trarre vantaggio da questa sua apertura per tracciare una nuova figura di evangelico “di sinistra”, aperto sulle questioni scottanti, tanto da affascinare quei giovani evangelici che – come abbiamo visto nei giorni scorsi – sembrano dare peso al significato sociale della sua possibile elezione, più che ai suoi valori morali.

Se con McCain Dobson non ride, con Obama potrebbe anche piangere: e se n’è accorto lui stesso, ripescando in questi giorni un sermone (o un discorso, non si è capito esattamente) che Obama avrebbe tenuto nel giugno 2006 dal pulpito di una chiesa evangelica progressista.

«Anche se fra noi non vi fossero altro che cristiani, anche se avessimo espulso tutti i non cristiani dall’America, quale cristianesimo insegneremmo nelle scuole, quello di James Dobson o di Al Sharpton?» si chiedeva Obama, in un paragone che vedeva il battista Al Sharpton come esempio positivo di evangelico impegnato nel sociale, e James Dobson come standard dell’evangelico bigotto, chiuso, letteralista.

Dobson ha avuto buon gioco a contestare un approccio confuso al testo biblico da parte del candidato democratico, che mette sullo stesso piano i precetti contenuti nel Levitico e il Sermone sul monte del Nuovo Testamento.

Se ripescare il discorso di Obama sia stato un jolly di Dobson o un’imboccata del suo concorrente, non lo sappiamo. Né sappiamo se, paradossalmente, Obama potrebbe giovarsi di questo ruolo liberal, in un momento storico che – come si diceva qualche giorno fa – vede gli evangelici americani piuttosto disorientati in fatto di prorità.
Non sappiamo nemmeno se questo (grave) incidente di percorso per Obama contribuirà a riavvicinare Mc Cain a Dobson e quindi agli evangelici più tradizionali, e come farà in questo caso Mc Cain a far convivere le varie anime dei gruppi che lo sostengono.

Sia come sia, l’interesse sollevato da questo discorso dimostra che, nonostante più di qualcuno accrediti negli USA la crescita degli evangelici progressisti, nessun candidato si permette ancora di disdegnare il sostegno dei più tradizionalisti.

Forse non saranno più quanti erano quattro, otto, dodici anni fa, ma nell’equilibrio tra i due contendenti riescono da varie tornate elettorali a risultare decisivi nel determinare chi debba essere il nuovo inquilino della Casa Bianca. E questo non sfugge né a McCain, né a Obama, nonostante nessuno dei due li possa digerire.