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Quelle Porte aperte sul dramma

Una volta all’anno, il convegno di Porte Aperte fa bene.

Fa bene, perché è organizzato bene: abbastanza denso da dare informazioni precise sulla condizione dei cristiani perseguitati, ma sufficientemente leggero da permettere l’interazione tra i presenti (quest’anno a Rimini erano oltre trecento: meno dello scorso anno, ma comunque un numero ragguardevole in tempi di crisi) e la riflessione sul nostro ruolo di cristiani occidentali, privilegiati da una condizione di libertà e da diritti impensabili fuori dal nostro continente.
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Allergia alla Bibbia

D’accordo, la Bibbia non è un testo scientifico: non possiamo dare a ogni sua affermazione in campo medico, astronomico, geologico la valenza di un test a doppio cieco, proprio come non possiamo prendere alla lettera, sul piano cronologico, il libro Giudici, e non possiamo dare un peso teologico a una singola affermazione.

Non possiamo farlo, e dobbiamo dirlo a chiare lettere: la Bibbia, d’altronde, è un testo che ha scopi diversi dall’impartire all’uomo una conoscenza enciclopedica, e proprio leggendolo nell’ottica del suo vero significato – la salvezza dell’uomo, non il suo acculturamento – si può fare luce su apparenti stranezze, contraddizioni, profezie oscure.
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L’anonimo di Adro

Spesso ciò che conta non è tanto il gesto, quanto le motivazioni. In molti hanno visto con scetticismo l’imprenditore che ha versato diecimila euro al comune di Adro pagando il servizio mensa al posto dei genitori morosi: sarà un riccone in cerca di fama, avrà pensato qualche malizioso, o un radical chic deciso a seppellire l’immagine delle autorità locali (e nazionali), surclassandoli sul fronte della solidarietà ed eclissando un “partito dell’amore” che, per ora, esiste solo nelle parole del suo fondatore.

E invece no: l’identikit del generoso benefattore è molto diverso da quello ipotizzato. A illuminare sul senso della sua azione e sulle sue ragioni è una lettera di due pagine che lo stesso personaggio ha recapitato in municipio: due pagine di sobrietà e di buonsenso, a partire dalla scelta di restare nell’anonimato, firmandosi semplicemente “un cittadino di Adro”. Uno come tanti, verrebbe da sperare, se fosse garanzia di impegno, generosità e basso profilo.

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Albergare angeli

Forse la signora Antonietta Curcio non lo sa, ma dietro al suo gesto – raccontato dal Corrierec’è qualcosa di biblico.

60 anni, salernitana di origine ma da quarant’anni albergatrice a Rimini, da quattro anni, nella settimana più fredda dell’anno, la signora riserva il suo hotel ai bisognosi: barboni, senzatetto, ragazze madri. Trentatré camere tutte per loro, colazione a buffet e personale inclusi.

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Fiducia mal riposta

«Fatevi amici con le ricchezze ingiuste»: chissà se la direttrice di banca di Bornheim, che tanto fa discutere in questi giorni la Germania, nel compiere le sue operazioni da Robin Hood ha mai pensato alla celebre affermazione di Gesù. Sta di fatto che ha seguito alla lettera l’indicazione, e in preda a un impulso di pietà ha concesso fidi e crediti bancari a persone che non rispondevano agli standard richiesti.

Attraverso un abile gioco delle tre carte, rivisto in versione bancaria, riempiva i conti vuoti attingendo da quelli più fortunati, e in questo modo è riuscita a sfuggire ai periodici controlli che la banca – non va dimenticato che stiamo parlando della Germania – effettuava.

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Pentimenti poco convincenti

Cesare Battisti, “ex terrorista”, scrive una lettera aperta al nostro Paese, chiedendo: «L’Italia cristiana mi perdoni».

Ricorderete la vicenda: Battisti si macchiò di alcuni delitti molto poco politici negli anni di piombo, venne condannato in seguito a processo, e per non finire in carcere si rifugiò in Francia, che da decenni ormai ospita senza crearsi troppi problemi i terroristi nostrani, negando l’estradizione in quanto le nostre sarebbero sentenze politiche seguite a una guerra civile, e non volgari atti di terrorismo.

Dopo la Francia Battisti è migrato in Brasile, dove aspetta la sentenza dei supremi giudici sulla richiesta di estradizione avanzata dal nostro Paese.

Dal carcere di Brasilia Battisti scrive a tutti noi; nella lettera, letta pubblicamente durante una sessione del Senato brasiliano, il terrorista si chiede «se non è giunta l’ora che l’Italia mostri il suo lato cristiano», per il quale «il perdono è un atto di nobiltà». Parla di una «moltitudine manipolata» e ribadisce la sua innocenza: «non ce la faccio a pensare a me come a qualcuno capace di fare nemmeno un centesimo di tutto ciò che mi attribuiscono… Sono vittima di un bombardamento mediatico».

C’è una sentenza e ci sono numerose testimonianze che inchiodano Battisti alle sue responsabilità; tuttavia potremmo anche accettare che si tratti solo di un drammatico malinteso, di una congiura che ha voluto prendere un innocente, magari più ingenuo degli altri, per farne il capro espiatorio di una vicenda. Non sarebbe il primo caso, e nemmeno l’ultimo.

Anche ammettendo che sia così, qualcosa non torna.

Siamo consapevoli che chiedere perdono stia diventando una moda, più che una necessità: a ogni delitto bastano pochi minuti per sentire uno sprovveduto dotato di microfono chiedere ai familiari delle vittime se “hanno perdonato”.

È un’abitudine figlia di un’informazione malata, ma anche di una prospettiva concettuale distorta.

Chiedere perdono comporta, cristianamente parlando, alcuni passaggi. La riflessione sulle proprie azioni, innanzitutto, e poi il pentimento: ossia il riconoscimento dell’errore, di aver causato dolore, cui segue un cambiamento interiore in base al quale è possibile affermare con sincerità “non lo rifarei”.

Battisti si professa innocente, e questo – paradossalmente – crea un problema in relazione alla sua richiesta: per qualcosa che non si è commesso non può esistere perdono, ma solo giustizia.

E poi, l’atteggiamento di Battisti non sembra particolarmente conciliante. Non sembra pentito, ma polemico come al solito: rivendica la sua innocenza, lamenta congiure contro di lui, attacca l’Italia «governata dalla mafia».

Sicuramente è un uomo amareggiato e dolente, ma in una richiesta di perdono ci saremmo aspettati un approccio diverso: forse non un pentimento, ma almeno un briciolo di rammarico; forse non un riconoscimento delle proprie responsabilità, ma almeno qualche parola per il dolore per le vittime.

Forse non ci aspettavamo umiltà, ma nemmeno arroganza.