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Consigli di lettura – 6
Anche questa settimana con i consigli per le letture estive proposti nel mio programma radiofonico giornaliero ho tentato di spaziare in maniera più ampia possibile.
Abbiamo cominciato con l’ultima fatica di Camillo Ruini, Rieducarsi al cristianesimo. Il tempo che stiamo vivendo (Mondadori): raccolta di tre recenti discorsi del cardinale incentrati sul ruolo sociale dell’uomo visto in tre prospettive diverse, dal rapporto tra teologia e cultura all’approccio didattico (“Uomo, cultura ed educazione in una nuova fase storica”), fino alla morale nella bioetica (“Quel bene umano a cui non possiamo rinunciare”). Problemi concreti, come ben sappiamo, con i quali ci dobbiamo confrontare sempre più spesso e sui quali spesso, a causa di messaggi contraddittori da parte della società e dei media, è difficile trovare una prospettiva responsabilmente cristiana.
Abbiamo parlato poi di etologia con La bella zoologia di Danilo Mainardi (Cairo editore): l’autore è professore di Ecologia comportamentale all’università Ca’ Foscari di Venezia e – soprattutto – è innamorato del suo mestiere. Nel libro divide in quattro parti le sue ricerche e le sue scoperte: comincia raccontando l’intelligenza degli animali, per poi passare a “storie e ritratti”, “evoluzione e adattamenti”, concludendo con osservazioni “intorno all’uomo” e al suo rapporto con le specie animali. Decine di capitoli tra scoperte e curiosità che rendono davvero una “bella zoologia” quella proposta dall’autore, che – al di là di qualche conclusione personale – ci conferma ancora una volta quanto sia perfetto ogni dettaglio del creato.
Un salto nel passato con un classico della produzione editoriale evangelica: da qualche tempo è di nuovo disponibile Ma il vangelo non dice così. Esposizione delle differenze tra la Chiesa cattolica romana e il vangelo, del pastore valdese Roberto Nisbet. Un volume che ha accompagnato più generazioni ed era sparito dagli scaffali, forse nell’ottica di una prospettiva edulcorata dell’ecumenismo. Si tratta di un vademecum composto da una serie di risposte evangeliche alle domande più comuni sulle differenze tra le due realtà, cattolica ed evangelica (o del cattolicesimo rispetto al vangelo, secondo il titolo); le domande e risposte sono divise in diciotto capitoli che partono dal concetto di chiesa e toccano, tra gli altri argomenti, l’autorità del testo biblico, il papato, la messa, il culto di Maria e dei santi, il purgatorio.
Nel corso degli anni il dialogo ha assunto altri toni rispetto all’epoca in cui il volume è uscito per la prima volta, eppure il testo di Nisbet risulta utile ancora oggi: non tanto per un confronto all’ultimo versetto con gli amici cattolici, né per “convincere” gli interlocutori. Serve al lettore evangelico per comprendere, chiarire, farsi un quadro sul proprio credo. Perché solo dalla consapevolezza della propria posizione può nascere un sereno e proficuo confronto con gli altri.
Da Nisbet a Daniel Maguerat per un libretto agile e interessante: Paolo di Tarso. Un uomo alle prese con Dio (Claudiana). Daniel Marguerat, professore di teologia neotestamentaria a Losanna, definisce l’apostolo delle genti come “L’enfant terrible del cristianesimo”, e nel suo scritto mette subito in guardia contro un’interpretazione basata su filtri deformanti o sulla tentazione di ignorarlo. Anzi: a un certo punto, in barba a chi vede Paolo come un personaggio misogino, lo definirà “più progressista di quanto si creda”.
Ultimo testo della settimana, Libere chiese in libero stato. Memoria in favore della libertà dei culti (Edizioni GBU) di Alexandre Vinet, libro recentemente pubblicato anche in italiano a 180 anni dalla sua prima edizione e salutato con soddisfazione anche sulle colonne del Corriere della Sera. L’autore è Alexandre Vinet, pastore e studioso evangelico vissuto in Svizzera nella prima metà dell’Ottocento, e nel 1826 pubblicò “Libere chiese in libero stato”, sull’importanza della separazione tra Stato e chiesa. Se la frase non vi suona probabilmente nuova è perché uno dei fondatori dell’Italia unitaria, Camillo Benso conte di Cavour, insistette sulla necessità di dividere le sfere d’azione di stato e chiesa, e viene ricordato sui libri di storia con la frase “Libera Chiesa in libero Stato” a sintetizzare questo concetto. Concetto che, pare, sia stato ispirato a Cavour proprio dagli scritti del pastore Vinet.
Gli estremi dei consigli di lettura sono nello Spazio libri
Il bluff delle letture mancate
In Gran Bretagna un interessante sondaggio ha rivelato che il 65% degli inglesi millanta letture in realtà mai fatte.
Spiega Repubblica: «Una classifica del tutto particolare dove il 65% degli intervistati ammette di aver pronunciato ben più di una bugia, raccontando ad esempio di aver letto “1984” di George Orwell, “Guerra e pace” di Tolstoj (31%), “Ulisse” di James Joyce (25%), o la Bibbia (24%). Motivo della bugia? Vergogna per la propria refrattarietà a capolavori così noti, ma soprattutto così lunghi».
In merito alle Sacre Scritture, riflette la giornalista Maria Novella De Luca, «quante sono le case dove non esiste una Bibbia, il libro più venduto al mondo? Poche, almeno nell’universo occidentale, ma dall’acquistarla a leggerla il passo è lunghissimo».
Che la lettura non sia l’hobby preferito per gli europei del XXI secolo non è una novità: leggere comporta impegno, costanza, concentrazione, talvolta perfino fatica; non è come guardare la televisione, che permette di assopirsi, o come navigare in rete, che permette di distrarsi, di guardare senza vedere.
Il libro è qualcosa di diverso, ci mette a confronto con i nostri limiti; non chiede solo di essere letto, ma anche vissuto. Non ci mette fretta, ma ci incoraggia a un approccio regolare e frequente, per non perdere il filo, per non dimenticare. E, magari, incoraggia anche la rilettura dopo tempo, per ritrovare concetti e vicende dimenticate o, semplicemente, per ritrovare il gusto di certe atmosfere.
Leggere non è un pregio, è un privilegio. Non leggere non è una vergogna, ma un’occasione mancata.
E fingere di aver letto non è la soluzione. Non lo è con i classici, e lo è ancora meno con la Bibbia che, per venir compresa e applicata correttamente, richiede un’applicazione costante.
Si può scegliere di non leggerla, ma è difficile fingere di leggerla quando non lo si fa.
È difficile sul piano culturale; è ancora più difficile sul piano umano e spirituale.
Rasserena e stupisce
Lettura pura. A volte stentorea, altre volte stentata. Disinvolta o imbarazzata. Smozzicata o ben scandita. Sorprese come una Claudia Koll, attrice, che legge emozionata il Cantico dei Cantici, e Nicola Legrottaglie, calciatore, che emoziona leggendo il Salmo 119.
La Bibbia giorno e notte, maratona televisiva della Rai, è tutto questo. Rasserena e stupisce.
In un’epoca di voci confuse e provvisorie, rasserena e stupisce ascoltare una parola definitiva.
In un momento storico che considera le notizie vecchie a dieci minuti dal lancio, rasserena e stupisce un libro uguale da secoli e secoli.
In una società dove la visibilità è un must, rasserena e stupisce vedere una fila di personaggi noti che si mescolano a persone comuni e attendono, pazientemente, il proprio turno per una semplice lettura pubblica.
In un mondo che non sa più tacere, rasserena e stupisce assistere a sette giorni di letture e di canti a tema senza nemmeno un cenno di applauso, o quasi.
Sarà banale, ma mi sono rasserenato e stupito. La Bibbia ha compiuto un altro miracolo.
L'ultima spiaggia
Ormai i sondaggi imperversano, a prescindere dalla rilevanza del tema: torme di intervistatori tormentano persone che di rispondere a domande più o meno banali non hanno nessuna voglia.
L’ultima, in ordine di tempo, ha coinvolto mille italiani tra i 14 e i 79 anni (praticamente tutta la società produttiva, e oltre) con una domanda da salotto annoiato: cosa porteresti con te se dovessi vivere da solo, per cinque anni, su un atollo sperduto nel Pacifico. Ossia sulla classica isola deserta.
Emerge che gli italiani, noti buongustai, non rinuncerebbero alla pasta e al vino per quanto riguarda gli alimenti; porterebbero la radio e l’orologio come prodotti tecnologici, mentre tra i libri, sull’isola deserta porterebbero con sé la Bibbia.
Il responso sorprende. Stando ai sondaggi di settore, gli italiani non sembrano così affezionati alle Sacre Scritture: non le conoscono, non le praticano, non le leggono. Eppure, se dovessero trovarsi soli e isolati, non porterebbero Guerra e pace o l’Odissea, e nemmeno un testo del laico Odifreddi: riscoprirebbero la Bibbia.
Se è così viene da chiedersi come mai, allora, nell’ordinarietà del quotidiano la Bibbia resti ben chiusa su qualche mensola di casa.
Certo, è colpa del logorio della vita moderna, dello stress, degli impegni che non danno respiro: su un’isola deserta, con cinque anni da passare in serenità e senza le scadenze incombenti, magari nel silenzio assordante della solitudine, sarebbe diverso.
Non è vero, quindi, che la Bibbia non abbia importanza per gli italiani. La Bibbia gode di considerazione e rispetto, e viene vista come una soluzione, una consolazione, una risposta; solo che si tratta di un valore di scorta, un impegno in bassa priorità, una chance residuale.
La Bibbia, dall’italiano medio, non viene percepita come uno strumento utile per una vita sana, ma come un rifugio cui guardare nel momento del bisogno. Come il supermercato. Come il medico. Come Dio, purtroppo.
L’ultima spiaggia
Ormai i sondaggi imperversano, a prescindere dalla rilevanza del tema: torme di intervistatori tormentano persone che di rispondere a domande più o meno banali non hanno nessuna voglia.
L’ultima, in ordine di tempo, ha coinvolto mille italiani tra i 14 e i 79 anni (praticamente tutta la società produttiva, e oltre) con una domanda da salotto annoiato: cosa porteresti con te se dovessi vivere da solo, per cinque anni, su un atollo sperduto nel Pacifico. Ossia sulla classica isola deserta.
Emerge che gli italiani, noti buongustai, non rinuncerebbero alla pasta e al vino per quanto riguarda gli alimenti; porterebbero la radio e l’orologio come prodotti tecnologici, mentre tra i libri, sull’isola deserta porterebbero con sé la Bibbia.
Il responso sorprende. Stando ai sondaggi di settore, gli italiani non sembrano così affezionati alle Sacre Scritture: non le conoscono, non le praticano, non le leggono. Eppure, se dovessero trovarsi soli e isolati, non porterebbero Guerra e pace o l’Odissea, e nemmeno un testo del laico Odifreddi: riscoprirebbero la Bibbia.
Se è così viene da chiedersi come mai, allora, nell’ordinarietà del quotidiano la Bibbia resti ben chiusa su qualche mensola di casa.
Certo, è colpa del logorio della vita moderna, dello stress, degli impegni che non danno respiro: su un’isola deserta, con cinque anni da passare in serenità e senza le scadenze incombenti, magari nel silenzio assordante della solitudine, sarebbe diverso.
Non è vero, quindi, che la Bibbia non abbia importanza per gli italiani. La Bibbia gode di considerazione e rispetto, e viene vista come una soluzione, una consolazione, una risposta; solo che si tratta di un valore di scorta, un impegno in bassa priorità, una chance residuale.
La Bibbia, dall’italiano medio, non viene percepita come uno strumento utile per una vita sana, ma come un rifugio cui guardare nel momento del bisogno. Come il supermercato. Come il medico. Come Dio, purtroppo.