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Le responsabilità della libertà
Ormai era nell’aria e, nonostante le contestazioni dell’ultimo minuto e le manovre di qualche pio illuso, non poteva che finire così: il Sinodo valdese, riunito a Torre Pellice, ha votato sì al riconoscimento della benedizione per le coppie gay.
Una decisione che un gruppetto minoritario aveva tentato di evitare nelle ultime settimane, con un appello pubblico al Sinodo affinché ritrovasse la fedeltà alla secolare Confessione di fede valdese e, per quanto possa sembrare scontato, al vangelo, evitando decisioni destinate ad allontanare i valdesi dalle altre realtà evangeliche.
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Consigli di lettura – 9
Turismo, musica, società, strategie belliche, teologia tra i consigli di lettura di questa settimana.
Si comincia con “In viaggio con Lutero” (Claudiana) di Reinhard Dithmar. Sono numerosi ogni anno i protestanti che si recano in visita ai luoghi della Riforma: a disposizione hanno ovviamente i manuali di storia e le classiche guide turistiche. Mancava, in italiano, un volume che raccogliesse le informazioni utili per un viaggio sulle tracce di Lutero: ci ha pensato la chiesa luterana in Italia che ha pubblicato, in collaborazione con la casa editrice Claudiana, “In viaggio con Lutero”, testo di Reinhard Dithmar, studioso di teologia, germanistica, filosofia, pedagogia e professore di letteratura.
Nel volumetto, comodo come una guida turistica, vengono presentati fatti storici, dettagli, curiosità sulle località della Turingia e della Sassonia dove visse Lutero.
Una lettura interessante da fare sul campo, ma anche comodamente a casa, per scoprire qualcosa di più su Lutero rispetto a quello che racconta un manuale di storia, senza limitarsi ai dettagli di una comune guida turistica.
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Passando alla musica, nell’estate di vent’anni fa moriva uno dei più grandi direttori d’orchestra del Novecento, Herbert von Karajan. Un genio della bacchetta e allo stesso tempo un personaggio di cui si è parlato molto, ma sul quale mancava una voce “preferenziale”: quella della seconda moglie, Eliette.
Una lacuna colmata da una biografia: “La mia vita al suo fianco”, edito da Giunti, scritto proprio da Eliette Von Karajan l’anno scorso, nel centenario della nascita del direttore.
Si tratta, in realtà, di un’autobiografia della signora Karajan, ma inevitabilmente si trasforma nel racconto della persona cui è stata accanto per oltre trent’anni: trent’anni al fianco di un personaggio pubblico che la signora von Karajan racconta indugiando tra viaggi e “prime”, cerimonie e mondanità, ma rivelando anche il Karajan che poteva conoscere solo lei, privato, umano. Un Karajan che, nel racconto della moglie, piace ritrovare, a tanti anni dall’addio.
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Parlando di vita, non si può non incappare anche nella morte. E la morte è un tema che non si affronta mai molto volentieri. Stefano Lorenzetto, giornalista di lungo corso e ampia sensibilità, le ha dedicato un intero libro: si intitola “Vita morte miracoli. Dialoghi sui temi ultimi”, edito da Marsilio.
Con la consueta formula delle interviste a tema, già sviluppata tra gli altri nel suo precedente e piacevole “Italiani per bene”, Lorenzetto dialoga con una ventina di personaggi sconosciuti ai più, ma con una storia che vale la pena di essere raccontata: c’è l’oncologo affetto da sclerosi che sa quale sarà il suo destino, ma non si rassegna e si presenta ogni giorno a curare i suoi pazienti; c’è il geriatra che accudisce i pazienti in stato vegetativo permanente (e ha visto qualcuno di loro risvegliarsi); ci sono persone comuni colpite da quelle che comunemente chiamiamo “disgrazie”, ma che hanno saputo trovare una nuova speranza o una nuova prospettiva grazie alla fede.
Non tutti i casi proposti sono “da manuale” o del tutto condivisibili, ma il quadro generale che Lorenzetto offre è – come sempre – chiaro e sobrio; il tono è delicato, ma capace di impennarsi e anche di mordere quando cita fatti di cronaca che negano il valore di quella vita la cui importanza viene ribadita, intervista dopo intervista, insieme agli interlocutori.
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Veniamo alla strategia. Sono passati sei anni dalla caduta di Saddam Hussein, ma – come tutti possiamo constatare – al di là del trionfo militare americano, a tutt’oggi la battaglia non è stata vinta del tutto.
Si è trattato – e si tratta – di una guerra diversa da quelle del passato, e proprio per questo richiede – e avrebbe richiesto – un approccio diverso.
A rileggere oggi, a distanza di sei anni dall’uscita, il libro del generale Wesley Clark, “Vincere le guerre moderne. Iraq, terrorismo e l’impero americano” (edito da Bompiani), si può restare sorpresi. Clark, eroe di guerra in Vietnam, è stato comandante supremo delle forze alleate in Europa dal 1997 al 2000, direttore del dipartimento piani strategici del Pentagono e a capo della delegazione per gli accordi di pace nei Balcani a Daytona. Insomma, è uno che conosce l’argomento militare e diplomatico.
Nel libro, Clark presenta la sua posizione critica sulle scelte effettuate dall’amministrazione Bush in relazione alla guerra in Iraq; racconta i retroscena e ventila le “reali motivazioni” della strategia americana. Una posizione, quella di Clark, probabilmente non del tutto disinteressata, visto il suo tentativo di avviare una carriera politica con la candidatura alla presidenza USA nelle file dei democratici nel 2004 (finita con un nulla di fatto); tuttavia, vista la sua esperienza, non si può non prendere in considerazione le sue osservazioni.
Nel volume, dopo una disamina della situazione, Clark offre anche qualche spunto per una soluzione, e qualche consiglio per il futuro: in primis il fatto che nelle “guerre moderne” i terroristi vanno sconfitti “dall’interno” con un puntuale lavoro di intelligence, e non sul campo.
Naturalmente le tesi di Clark non sono state prese in considerazione da Bush nel corso del suo secondo mandato. Ma, nell’era obamiana, e di fronte a una situazione in Iraq ancora critica, chissà che le idee del generale non abbiano maggiore fortuna.
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Chiudiamo con uno spunto di lettura teologico.
La predestinazione è un tema su cui, nel corso dei secoli, la chiesa cristiana si è interrogata a lungo. La salvezza si realizza, si attua o si accetta come un dono?
In base alla risposta sono nati movimenti, sono scoppiate dispute, si sono consumate divisioni, probabilmente più che per qualsiasi altro tema dottrinale.
Giorgio Tourn, pastore e già presidente della Società di studi valdesi, ha toccato il delicato argomento con un libro pubblicato da Claudiana. Si intitola semplicemente “La predestinazione nella Bibbia e nella storia”, e si propone di fare il punto in maniera chiara e senza spirito di parte sulla questione.
Tourn parte ovviamente dalla Bibbia e dalla temperie culturale in cui il problema si è posto per la prima volta; analizza il modo di affrontare la predestinazione dei cristiani nell’età apostolica, gli sviluppi nella teologia cristiana (dai padri alla scolastica). Numerosi capitoli sono dedicati, ovviamente, alla posizione assunta nel tempo dalle correnti evangeliche (dalla Riforma alla Ginevra di Calvino, dal Calvinismo al protestantesimo moderno).
Affronta, infine, la dottrina della predestinazione analizzandola in chiave teologica, fino a concludere considerando la necessità di “reinventare” un tema che oggi, dopo secoli di dispute, è paradossalmente fin troppo trascurato.
Tesi dimenticate
Dai giornali alle vetrine, in questi giorni è un dilagare di spazio dedicato ad halloween. Alcuni gentili ascoltatori mi hanno chiesto di parlarne anche in onda per spiegare che si tratta di una festa pagana, che è aliena dalla nostra cultura, che è un pericolo per i più piccoli: i genitori dovrebbero evitare di liquidare la questione con superficialità (“se mio figlio è felice, io sono felice”) e preoccuparsi per la valenza giustificativa che halloween offre al macabro (scheletri e cimiteri), all’esoterico (streghe e demoni), al ripugnante (cadaveri e mostri). Se i più piccoli sono davvero “entusiasti” di mostri e streghe, come dice Valentina Vezzali di suo figlio, forse è il momento di un esame di coscienza per quei genitori che non sanno, o non vogliono, o non trovano il tempo per indirizzare i figli verso esempi, eroi, valori positivi.
A forza di parlare di Halloween, però, ci stiamo dimenticando come ogni anno di un 31 ottobre che per chi ama la Bibbia dovrebbe significare molto.
Il 31 ottobre 1517 Martin Lutero affiggeva alle porte della cattedrale di Wittemberg le sue 95 tesi; non voleva essere un atto rivoluzionario, ma di fatto quel suo intervento cambiò la storia della cristianità. L’anniversario, come sempre, passa inosservato sui media nazionali (nessun accenno sui quotidiani o nei palinsesti televisivi), ma sorprendentemente nemmeno le chiese evangeliche sono particolarmente affezionate a questo ricordo. Eppure è significativo e potrebbe essere un ottimo spunto per letture pubbliche della Bibbia, per la proiezione di Luther (la Rai, purtroppo, l’ha mandato in onda di recente a notte fonda, e quindi non lo riproporrà oggi), per interrogarsi e interrogare la società sul significato e l’eredità di quella riforma.
Perché è innegabile che il sola fide, sola gratia, sola scriptura non è retaggio esclusivo del mondo protestante, ed è evidente che anche chi non si considera figlio di quella riforma – ma ama la Bibbia – ha un debito d’onore nei confronti di quel monaco tedesco che, coraggiosamente, proclamò per primo l’importanza di una lettura personale e diretta della Bibbia, senza intermediari, dove la tradizione (religiosa) lascia spazio alla traduzione (in lingua corrente).
In occasione dell’anniversario la casa editrice Claudiana propone la riedizione di un interessante volume di Giovanni Miegge. Si intitola Lutero. L’uomo e il pensiero fino alla dieta di Worms (1483-1521) e racconta, con dovizia di particolari anche poco noti, la vicenda umana e spirituale del monaco agostiniano che avviò la riforma protestante.
Miegge è stato uno dei più importanti teologi protestanti italiani del Novecento; l’opera uscì nel 1946 e viene ristampata ancora oggi in quanto è diventata, nel tempo, un punto di riferimento per la comprensione di un periodo fondamentale nella vita di Lutero, ossia il lasso di tempo che va dalla crisi convenutale alla ribellione.
Non deve spaventare il linguaggio un po’ datato del testo: la lettura è scorrevole e interessante, sia nel suo complesso – Miegge concentra l’attenzione sui motivi spirituali della scelta di Lutero – sia nei gustosi aneddoti sulla vita del riformatore, che accompagnano le quasi cinquecento pagine della narrazione.
La struttura del libro propone una divisione in capitoli che parte dall’infanzia di Lutero, passando per la carriera monastica, la crisi spirituale, la scoperta dell’evangelo, la questione delle indulgenze (causa scatenante, ricordiamolo, della ribellione di Lutero), il processo, i dibattiti teologici dell’epoca, gli scritti teologici di Lutero, fino appunto alla difesa davanti ai principi alla dieta di Worms nel 1521, che si concluse per lui con un editto di scomunica.
In fondo al volume, un’utile appendice propone il testo integrale delle celebri 95 tesi, in latino con testo italiano a fronte, per comprendere nel concreto quello che fu l’inizio di una riforma che avrebbe cambiato la storia.
Primogeniture contese
Una rivelazione sorprendente arriva dalla Germania: contrariamente a quanto si credeva fino a oggi, Lutero non fu il primo a tradurre la Bibbia in tedesco.
A dare la notizia è il quotidiano Die Welt, secondo cui «Martin Lutero non aveva a disposizione solo testi della Bibbia in latino, greco ed ebraico quando cominciò a lavorare alla versione in tedesco nel 1521: secondo alcuni studiosi, ne aveva già una copia scritta in questa lingua».
E non basta: non c’era solo la versione tradotta da Guenter Zainer e apparsa nel 1475 ad Augusta, di cui Lutero riprese lessico e grammatica.
Nel periodo giravano nei paesi germanofoni addirittura diciotto traduzioni delle Sacre Scritture prima della nota versione di Lutero, datata 1534.
«La particolarità di Lutero – concede Die Welt – rimane comunque che tradusse principalmente dall’ebraico e dal greco, cercando di rimanere il più vicino possibile alle fonti e non basandosi solamente sulla vulgata latina».
E non solo, viene da aggiungere. Non si può dimenticare che la Bibbia, come ogni libro (e più di ogni altro libro) ha un valore nel momento in cui la si legge: altrimenti diventa un simbolo, un feticcio, un idolo tra i tanti.
Lutero non ha avuto solo il merito di tradurre la Bibbia nella lingua del popolo, e di farlo con accuratezza filologica: ha diffuso su larga scala la consapevolezza di quanto sia importante per ogni cristiano di leggerla, comprenderla, viverla.
La conoscenza della Bibbia è diventata un caposaldo della riforma protestante e ancora oggi è un punto d’onore nelle culture (evangeliche) del nord Europa e del nord America, dove – contrariamente a quanto avviene nell’area mediterranea – fa parte del bagaglio culturale di base del cittadino medio.
Lutero non ha solo tradotto la Bibbia: l’ha accreditata nuovamente, dopo secoli, come la fonte e il motore della fede. Per questo, nonostante tutti i limiti che ogni personaggio umano può incarnare, come cristiani non possiamo non provare riconoscenza nei suoi confronti. Anche se la sua traduzione non dovesse essere la prima.