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Le paure della Fifa
Riecco la Fifa inflessibile, severa, rigida ed equidistante. Ne sentivamo la necessità: in un mondo del calcio dove la furbata è all’ordine del giorno, dove i soldi portano a intrallazzi e malversazioni, dove i problemi dello sport si sommano a quelli della geopolitica, ecco che la Fifa riprende il suo ruolo di custode della pace e dell’ortodossia.
Sì, ne sentivamo il bisogno: faceva troppo male sapere che Blatter e soci avevano glissato con un sorriso sul caso Henry, su quel colpo di mano voluto e rivendicato, grazie al quale la Francia aveva segnato il gol decisivo per accedere alla fase finale della Coppa del mondo. L’Irlanda aveva rivendicato i suoi diritti, esponendo le sue ragioni e chiedendo giustizia: la ripetizione della partita o l’accesso ai Mondiali come 33.ma squadra.
Blatter, come sempre, aveva sfoderato il suo sorriso da politico promettendo di pensarci, e poi come sempre aveva detto che no, non si poteva fare: chi aveva avuto, aveva avuto; chi aveva dato, aveva dato. Così parlò la Fifa in quell’occasione, e la soluzione puzzava di opportunismo, o di interessi sporcati da principi diversi rispetto a quelli rivendicati – d’accordo, erano le Olimpiadi e non i Mondiali di calcio – da De Coubertain.
In mancanza di meglio
Si può essere fan di un fuorilegge? Certo che si può: l’ultimo caso, in ordine di tempo, è William Stewart, “Billy il fuggitivo”, «il ladro diventato celebre in Nuova Zelanda per le fughe spettacolari e per l’abitudine di rubare cibo da case di campagna, incidendo poi col coltello messaggi di ringraziamento sul tavolo di cucina».
Da quando si è dato alla macchia, a febbraio, «ha raggiunto una certa notorietà, ispirando una serie di magliette con la sua immagine, una canzone in suo onore e diversi siti di ammiratori su Facebook». È stato preso oggi nell’ennesima fattoria, dove cercava di prelevare una moto. Dopo un’ultima fuga, Billy «non ha opposto resistenza e sembra aver accettato la sconfitta».
Raccontata così, sembra quasi la storia di un ladro gentiluomo, nato dalla penna di qualche autore ottocentesco. Quel che viene da chiedersi è come mai abbia attirato l’attenzione e la stima di così tante persone, che probabilmente non avrebbero apprezzato il personaggio se avesse sottratto viveri o altri beni da casa loro. Facile parteggiare per un ladro, fino a quando esercita dall’altra parte del mondo.
Ma non è solo una questione di distanza. L’essere umano è attirato dal bene: lo testimonia il suo desiderio di migliorare la propria condizione e la continua ricerca di qualcosa che lo soddisfi. Allo stesso tempo, però, è anche affascinato dal male. Che, a valori invertiti, è comunque un’eccellenza di cui ci si può infatuare in assenza di un progetto di vita convincente.
William Steward è l’antieroe ideale per una società a modo: ladro ma non troppo, fuorilegge ma educato, fuori dalle regole ma senza raggiungere gli eccessi di un assassino.
Tutto sommato ci piace pensare che sia uno di noi, e ci piace proiettare su di lui i nostri sogni mai realizzati: è uno che ha avuto il coraggio di osare una vita diversa, libera da quelle comodità e da quelle convenzioni che noi abbiamo accettato – e a cui, naturalmente, non rinunceremmo mai – ma che non perdiamo occasione di criticare.
E allora sì, un personaggio catartico come Steward diventa una utile valvola di sfogo, in mancanza di meglio.