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Un percorso di attenzioni

La depressione post partum sta assumendo dimensioni preoccupanti. A lanciare l’allarme è il Corriere che segnala come “Molte più donne di quanto si immagini hanno provato l’impulso di eliminare il bambino appena nato. Dipende dall’incapacità mentale di inserire il piccolo nel loro schema relazionale. E’ come se lo sentissero un estraneo”.

Il problema, indubbiamente, esiste e non va sottovalutato: ogni anno tra le 50 e le 75 mila neomamme vengono colpite dal cosiddetto baby blues, e in mille casi il neonato sarebbe in pericolo “a causa delle condizioni mentali precarie di chi l’ha messo al mondo”.

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Distributori di illusioni

Ha ragione chi dice che il distributore automatico di profilattici non è la soluzione ai problemi dei giovani. Semmai una pezza che però, come spesso capita in questi casi, rischia di venir vista come un incoraggiamento verso una condotta che, si vuole far credere, è comune alla stragrande maggioranza dei giovani e quindi – per un sillogismo bacato – è automaticamente “giusta” per i tempi in cui viviamo.

Sbaglia, dunque, chi incoraggia la libertà di costumi: basterebbe uno sguardo responsabile sulle statistiche per farsene un’idea. O, magari, basterebbe guardare in faccia questi giovani che crescono troppo in fretta perdendosi il meglio dell’infanzia, dell’adolescenza e – temiamo – dell’età adulta.

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Uscite a rischio

Ha fatto discutere, giovedì scorso, il commento di Nicola Legrottaglie sul conflitto mediorientale: il calciatore – evangelico – della Juventus ha dichiarato «Sapevo già che sarebbe successo, è una profezia della Bibbia. Il popolo di Israele era quello prediletto da Dio. Ma non l’ha riconosciuto e ora ne sta pagando le conseguenze».

Immancabile il vespaio di polemiche che ne è seguito, tanto da richiedere una precisazione da parte dell’atleta in una lettera pubblicata sullo stesso giornale il giorno dopo: «non era mia intenzione utilizzare la Bibbia per giustificare il conflitto in corso», ha spiegato Legrottaglie, precisando che «Lo Stato di Israele è un Paese che rispetto e che mi auguro possa trovare la pace».

Come ha affermato un giornalista di Radio24, “mettendola così, si giustifica tutto”: Israele non ha “riconosciuto Dio”, e quindi si è addossato tutti i mali di cui ha sofferto in questi ultimi due millenni.

Non ci addentriamo nella contesa: sulla questione si sono affrontati generazioni di storici e teologi ebrei, cristiani e laici, e non sarà certo un post di poche righe a dirimere la questione, con tutti i rischi che si corrono a generalizzare o a trarre conclusioni affrettate.

Ecco, appunto: ci sono temi di cui dovrebbero parlare gli esperti. Non i calciatori, e nemmeno i credenti, se non hanno competenze specifiche in materia. Naturalmente esiste la libertà di espressione, ma è necessario essere consapevoli che, avvalendosene, si corre il rischio di vedere il proprio pensiero frainteso, equivocato, distorto.

Con un pericolo ulteriore: le parole espresse nel momento, nel posto o nel modo sbagliato rischiano di compromettere quel che di buono si è detto, fatto, dimostrato fino a quel momento.

In questi mesi i giornali hanno testimoniato interesse e restituito una buona impressione per il cambiamento di Legrottaglie sul piano umano, morale, spirituale; la sua conversione ha fatto notizia, e il suo messaggio sull’importanza di rivolgersi a Gesù facendone il proprio salvatore ha avuto una risonanza notevole.

Nonostante questi risvolti positivi, non ci stupiremmo se da oggi Legrottaglie venisse ricordato per questa infelice uscita – che, alle orecchie di un pubblico distratto, può suonare addirittura antiebraica – più che per le belle dichiarazioni di fede date in precedenza. E non ci stupiremmo nemmeno se qualche malevolo (non sono pochi) cogliesse l’occasione per generalizzare: “gli evangelici, quelli che…”.

Sarebbe triste se una frase detta a cuor leggero si trasformasse in un pesante autogol.