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Lo scrupolo del “perché io?”
È passato poco più di un mese, e come tutti i casi di cronaca, per quanto gravi siano, anche questo è stato ormai archiviato. Nessuno ne parla più, e in effetti non ce ne sarebbe motivo: un uomo, roso da un’instabilità mentale e da problemi familiari, ha ucciso la ex moglie e altre due persone con cui aveva un contenzioso, trasformando la Bassa padana in un far west e scatenando il panico tra la popolazione per un pomeriggio intero.
Loro sono morti, lui è in carcere (o in cura), il caso è chiuso. Eppure qualche domanda, a distanza di un mese, bisogna porsela: perché, rispetto a tanti uxoricidi, questo è complicato da due elementi che impensieriscono, o almeno dovrebbero farlo.
Quelle Porte aperte sul dramma
Una volta all’anno, il convegno di Porte Aperte fa bene.
Fa bene, perché è organizzato bene: abbastanza denso da dare informazioni precise sulla condizione dei cristiani perseguitati, ma sufficientemente leggero da permettere l’interazione tra i presenti (quest’anno a Rimini erano oltre trecento: meno dello scorso anno, ma comunque un numero ragguardevole in tempi di crisi) e la riflessione sul nostro ruolo di cristiani occidentali, privilegiati da una condizione di libertà e da diritti impensabili fuori dal nostro continente.
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Minoranze fastidiose
Tempi duri per i pentecostali. Non passa quasi giorno senza che la denominazione – che, ormai, comprende sul piano numerico la stragrande maggioranza degli evangelici in Italia e nel mondo – subisca riferimenti e allusioni ingenerosi da parte dei media, ispirati dagli eccessi di qualche esagitato o dalla singolarità di certe pratiche.
Una strategia, quella dei media, che potrebbe anche non essere del tutto consapevole, ma che porta l’opinione pubblica ad accostare la diversità alla bizzarria, e la bizzarria al pericolo tout court. Se poi a questi elementi si aggiunge la diffidenza verso lo straniero, ci sono tutti gli elementi per fare di una onesta denominazione il capro espiatorio ideale per le paure, i fastidi, le intolleranze del nostro Paese.
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Cameron e lo slalom legale
Scandalo dei rimborsi per il Parlamento britannico, dopo che alcuni deputati hanno presentato note-spese gonfiate. La scoperta della malversazione ha fatto discutere la Gran Bretagna, evidentemente poco abituata a situazioni che ad altre latitudini sono ordinaria amministrazione in quasi tutte le istituzioni e le realtà produttive.
La vicenda ha coinvolto anche vari parlamentari conservatori e per questo il leader del partito, Davide Cameron, ha deciso di prendere provvedimenti seri: ha invitato i parlamentari coinvolti a rimborsare quanto dovuto, minacciando altrimenti di espellerli dal partito.
«La gente – ha detto Cameron in conferenza stampa – ha ragione ad arrabbiarsi con dei deputati che hanno utilizzato denaro pubblico per pagare cose che pochi possono permettersi: si sono comportati in modo poco etico e sbagliato, non importa se entro le regole, comunque sbagliato».
Senso etico, giusto e sbagliato, regole: già verrebbe da complimentarsi per il coraggio di aver osato l’inosabile, evocando tre concetti che normalmente a molti politici – e a molti di noi con loro – danno l’itterizia anche qualora presi singolarmente e in piccole dosi.
Ma c’è di più. Controcorrente fino in fondo, Cameron ha sfatato un mito, demolendo nel suo piccolo una roccaforte della excusatio più comune.
Dopo la pubblicazione del volume “La Casta” e le polemiche che ne sono seguite, i politici e le istituzioni sotto tiro si sono difesi normalmente con concetti apparentemente inattaccabili, come: “tutto è stato fatto secondo la legge”, “non sono riscontrabili violazioni”, “non è colpa nostra se la normativa è lacunosa”.
Cameron ha dimostrato che anche un politico può avere un’anima etica, strigliando i suoi deputati nonostante siano rimasti “entro i limiti previsti dalla legge”: «si sono comportati in modo poco etico e sbagliato, non importa se entro le regole, comunque sbagliato».
Ecco. Di fronte alle tante giustificazioni accampate da politici e amministratori di ogni ordine e grado, dovremmo essere in grado di opporre un sonoro “non importa”. Perché non è la legge che descrive la persona, ma il modo in cui la persona stessa la applica.
Certo, per farlo dovremmo, a nostra volta, riconoscere l’esistenza di un “giusto” e di uno “sbagliato”, di un “bene” e di un “male”: nell’operato dei politici, ma anche nella nostra vita.
Si sa, è più semplice proporsi di cambiare gli altri che tentare di cambiare noi stessi. E forse è proprio per questo che, anche se a parole vorremmo cambiare tutto, alla fine tutto resta com’è.
I vagoni della discordia
Le agenzie hanno appena battuto le dichiarazioni del questore di Napoli, Antonino Puglisi, in relazione ai penosi fatti di ieri: la inane epopea di un’orda di facinorosi che, sotto le mentite spoglie di tifosi di calcio, hanno preso a forza un treno per poi devastarlo nel percorso tra il capoluogo partenopeo e Roma.
«Quando quel treno si è mosso da Napoli, non c’era alcun pericolo di ordine pubblico», spiega Puglisi in un’intervista. «Cosa avrei dovuto fare, un processo alle intenzioni?»
Secondo il questore «quando il treno si è mosso non c’erano segnali di allarme al di là del naturale disagio dei passeggeri costretti a viaggiare in carrozze affollate di tifosi. Tanto che in molti hanno cambiato treno, ma l’hanno fatto in modo autonomo e spontaneo, senza alcuna pressione o violenza».
Oltretutto «I circa 1.500 tifosi in partenza con l’intercity, sottolinea il questore, erano muniti di biglietto ferroviario e per lo stadio»
Dalle parole del questore gli ultrà sembrano quasi dei distinti gentiluomini dal profilo dickensiano e dai modi gentili che, provvisti di regolare biglietto, salgono sul treno, magari chiedendo “per favore” e scusandosi con gli altri viaggiatori per il disagio arrecato.
Peccato che le cronache del giorno prima – ah, questi cronisti, sempre così poco obiettivi – dicano qualcosa di diverso. E parlino di «due stazioni assaltate, viaggiatori messi in fuga da petardi e fumogeni».
«All’Olimpico ancora scene di violenza, con lancio di petardi e cancelli sfondati», che secondo il questore alla stazione di Napoli non erano per nulla prevedibili: secondo Repubblica invece «Le intenzioni bellicose però s’intuivano sin dai primi cori: “Bruciamo la Capitale”, gridavano i tifosi radunati sulla piattaforma». Che pavidi, questi cronisti, temere il peggio per un paio di coretti da stadio.
In merito ai famosi biglietti, in effetti i controlli delle forze dell’ordine in stazione hanno retto, ma solo fino a un certo punto: «Il filtro ha funzionato finché uno dei tifosi ha avuto un malore. Allora i controlli sono saltati e un centinaio di persone si sono infiltrate senza biglietto». Che pignoli, questi cronisti: che differenza faranno cento biglietti in più.
Ma la frase più fastidiosa, forse, riguarda i passeggeri. Che, nel giorno del grande rientro dalle vacanze, erano «Anziani, bambini, gente che doveva riprendere il lavoro».
Si sono allontanati volontariamente, secondo il questore: oppure, come si legge sui giornali oggi, «dopo essersi ribellati al sopruso, si sono allontanati sottraendosi alla calca dei tifosi».
Tanto che il treno è partito in seguito a un’ordinanza prefettizia urgente «mentre infuriava la protesta dei viaggiatori, costretti a scendere per far posto ai 500 sostenitori del Napoli in attesa». Qualcuno terrorizzato e in lacrime, come quella madre che portava il figlio a Torino per un ricovero ospedaliero.
Non dubitiamo della buonafede del questore, che avrà visto i fatti stando nel mezzo della mischia, com’era giusto che fosse. E forse i cronisti presenti erano davvero dei tragediografi nati con qualche secolo di ritardo.
Resta il fatto che centinaia di cittadini onesti sono stati costretti – con le buone o con le cattive – ad abbandonare un treno per il quale avevano biglietto e posto, cedendo i vagoni a una manica di impuniti urlanti che nessuno vuole o può fermare.
Da chi riduce un vagone a un carro bestiame non si può pretendere un atto civile come le scuse a chi ha dovuto subire i loro comodi.
Almeno il questore, però, potrebbe pensarci. Quelle centinaia di “signori viaggiatori” che si sono trovati loro malgrado in mezzo a una brutta avventura, si sono visti minacciati senza motivo, hanno concluso le vacanze con un’odissea indegna di un paese civile.
Hanno sopportato, bene o male, il “disagio” che nessuno ripagherà loro in termini economici. Forse sarebbero contenti di risparmiarsi almeno parole poco generose da parte di un servitore dello Stato, prima di perdere ogni fiducia nei confronti dello Stato stesso.
Indignazione a senso unico
Feb 13
Pubblicato da pj
Sosta breve per Geert Wilders in Gran Bretagna: «A Londra non è stato che poche ore. Appena sbarcato all’aeroporto di Heatrow, Geert Wilders, il deputato di estrema destra olandese sotto processo nel suo Paese per dichiarazioni giudicate offensive nei confronti dell’Islam, è stato riaccompagnato alle partenze da due funzionari del servizio immigrazione e fatto salire sul primo volo per Amsterdam».
Era stato invitato da un parlamentare inglese per assistere alla proezione del suo film-documentario, Fitna, che da quando è uscito (poco meno di un anno fa) non ha smesso di creargli problemi: d’altronde, come spiega Repubblica, «Con lo short movie “Fitna” (in arabo “scontro”), della durata di 17 minuti, prodotto in proprio dal deputato olandese e diffuso su internet, Wilders aveva denunciato la natura violenta del Corano, esprimendo il concetto che il mondo musulmano è intollerante e violento e rappresenta una minaccia per la civiltà occidentale. Il film paragona il libro sacro dell’Islam al “Mein Kampf” di Adolf Hitler».
Un film a sostegno di tesi scomode, che sono costate al parlamentare «l’incriminazione per odio religioso da parte del tribunale olandese, l’atto di insofferenza del governo inglese, gli strali dell’Onu e le proteste del mondo islamico, così come avvenne dopo la diffusione in Danimarca delle vignette su Maometto».
Se il film sia valido, documentato, serio o solo un’accozzaglia di luoghi comuni accostati in maniera fuorviante alla Michael Moore, non possiamo dirlo. Però fa riflettere che un paese di tradizioni liberali come la Gran Bretagna respinga alle frontiere una persona – un rappresentante del popolo olandese, se vogliamo dirla in maniera pomposa – per una questione che riguarda solo pensieri e opinioni.
Certamente nell’accogliere un personaggio controverso c’era da aspettarsi problemi di ordine pubblico; probabilmente si sarebbero viste manifestazioni di protesta, e magari si sarebbe rischiato anche qualche atto estremo da parte di fanatici che con la libertà hanno poca familiarità.
Tutto questo era da mettere in conto, certo; se però il rischio è tanto forte da comportare una limitazione così clamorosa della libertà di parola, forse è il caso di chiedersi se la legge, oggi, sia ancora uguale per tutti.
Pare infatti che, in Gran Bretagna come in Italia e in tutta Europa ci siano particolari categorie, gruppi, confessioni che possono permettersi di minacciare e zittire gli altri, con il benestare di chi dovrebbe affrontare il problema ma preferisce non farlo.
Sarebbe fin troppo facile far presente che nessuna autorità europea blocca i film, i libri, i pensieri che criticano la cristianità, e speriamo vivamente che nessuno pensi seriamente di chiederlo; il problema, però, è che di fronte a queste vicende non è concesso nemmeno il diritto di indignarsi senza venir bollati come fondamentalisti liberticidi, mentre sull’altro fronte una banale vignetta su Maometto (in Danimarca) o un semplice commento storico (a Ratisbona) vengono considerati alla stregua di una “grave provocazione”, e giustificano a mettere sottosopra mezzo mondo.
Tolleranza, libertà, democrazia, solidarietà sono concetti cardine nella nostra cultura. Continuare a esercitarli a senso unico, però, potrebbe rivelarsi l’inizio della loro fine.
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