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L’uomo nella rete

Non ci sono molti dubbi sul fatto che Internet, e la tecnologia in generale, ci stanno cambiando la vita: i tempi si accorciano, le opportunità aumentano, i contatti si estendono, le informazioni si diffondono su scala globale con ritmi e dimensioni impensabili fino ad appena vent’anni fa. Questi sono i “pro”; ci sono, poi, i “contro”, che un articolo sulla Stampa di oggi riassume in una domanda angosciata: “Internet ci rende stupidi?”.

Citando lo studioso americano Nicholas Carr, il quotidiano torinese avvisa che «nell’arco di pochi anni saremo tutti superficiali, incapaci di concentrarci per più di qualche minuto o di distinguere una informazione importante da quelle irrilevanti».

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Dimensione etica

Forse hanno ragione i cinesi, che scrivono “crisi” e leggono “opportunità”: non possiamo considerare in termini positivi il dissesto economico degli ultimi due anni e il domino di drammi che ne è seguito, ma non possiamo nemmeno, a guardare con onestà gli sviluppi, non riconoscere che lo scossone è stato inevitabile e necessario per curare un sistema troppo malato, cui non sarebbe bastato a un intervento per quanto drastico (cui nessuno, comunque, avrebbe avuto coraggio e intenzione di mettere mano).

E così il mondo dell’economia, dopo decenni passati nel segno del profitto a ogni costo, ha dovuto fermarsi e riflettere, rivalutare, porsi questioni ineludibili, che si era pensato di poter accantonare tra le anticaglie e che invece si sono rivelate più attuali che mai.

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Benedizioni 2.0

Secoli fa era abbastanza normale imbattersi in funzioni religiose per la “benedizione” del lavoro: nei periodi strategici per la campagna i contadini confluivano nelle chiese, dove veniva elevata una invocazione a Dio per un raccolto benedetto.

Il fatto che la benedizione comprendesse gli strumenti di lavoro era in fondo una metafora – – o una sineddoche, se preferite -, identificando il mezzo con il fine, l’attrezzo con il suo uso.

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Albergare angeli

Forse la signora Antonietta Curcio non lo sa, ma dietro al suo gesto – raccontato dal Corrierec’è qualcosa di biblico.

60 anni, salernitana di origine ma da quarant’anni albergatrice a Rimini, da quattro anni, nella settimana più fredda dell’anno, la signora riserva il suo hotel ai bisognosi: barboni, senzatetto, ragazze madri. Trentatré camere tutte per loro, colazione a buffet e personale inclusi.

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Cuore e denari

L’Istat conta un presidente, un direttore generale, 18 direttori centrali, 60 capi servizio: praticamente ottanta persone. E allora – si chiede Raphael Zanotti sulla Stampa – com’è che solo tre contribuenti hanno destinato il loro 5×1000 all’istituto? «A sottoscrivere sarebbero dovuti essere almeno in 80, per spirito di corpo. Forse la credibilità dell’istituto è bassissima anche tra i suoi vertici

Domanda forse un po’ ficcante, ma interessante. Fino a quando possiamo dividere equamente energie e risorse il problema non si pone; ma quando dobbiamo fare una scelta di campo si vede qual è il nostro vero interesse. Probabilmente i dirigenti dell’Istat non tengono particolarmente all’istituto per cui lavorano. O, banalmente, hanno pensato che i contributi sarebbero stati spesi meglio in altre sedi.
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Un papà vero

“Una mamma chiamata papà” è il titolo di un servizio che la Stampa, oggi, dedica a un “boom silenzioso”: sono sempre di più i papà che ottengono dal tribunale l’affido dei figli. Nel 2008 erano già 350 mila i minori cresciuti dal padre.

Non saranno padri «sereni come quelli che, ogni giorno, si vedono sorridere nelle pubblicità, in tv, a mangiare allegri attorno a un tavolo, accanto ai figli», ma ci sono e si impegnano ogni giorno nel loro nuovo ruolo.
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Area di servizio (cristiano)

Onestamente non pensavo di trovare spunti di riflessione, qualche giorno fa, in un articolo di Panorama titolato “Gli italiani visti da Madame pipì”, dove un cronista del settimanale raccontava le storie delle donne addette alle pulizie degli autogrill.

Spaziando per i bagni delle aree di servizio sparse per le autostrade di mezza Italia, Raffaele Panizza incontra «Ann, nigeriana di 31 anni che passa le giornate al Ristop di San Giacomo sud leggendo la Bibbia e cantando ad alta voce i versi gospel che scrive per il coro della chiesaGes ù vive di Maddalusa, Brescia.
“Mi è capitato poco tempo fa un uomo disperato, che aveva perso 23 mila euro al Casinò di Venezia”, racconta. Lei per consolarlo ha attaccato a leggere un passo del Vangelo di Giovanni, paragrafo [sic] 15, versetti 1-7: “Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco…”. Gli ha parlato, con una mano sulla spalla, in mezzo ai viavai di gente. “Non so se la sua vita sia cambiata” dice in inglese, “ma quel giorno se n’è andato felice…”».

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Il pericolo delle porte scorrevoli

A volte è davvero questione di un minuto.

A margine dello scontro aereo sul fiume Hudson tra un aereo da turismo e un elicottero, il Corriere dedicava un articolo a “Quelli che devono la vita a un minuto di ritardo”: come la madre che ha perso il volo fatale grazie al figlio adolescente che indugiava da Starbucks. In occasione di altre tragedie aeree è stato merito di «un ritardo, la sveglia difettosa, il traffico sulla strada dell’aeroporto».

La nostra vita, viene davvero da pensare, è appesa a un filo, e la differenza tra vivere e morire è questione di apparenti coincidenze. C’è chi, fatalisticamente, sostiene che “se è il momento, succederà comunque“, e chi ritiene che siano le nostre scelte a fare la differenza, perché tutto sarebbe stato diverso “se non fossi stato lì, se non avessi incontrato quella persona, se non mi fossi attardato…”.

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La vacanza ai tempi della crisi

«Record di italiani in vacanza (15 milioni) e per un periodo più lungo (mediamente 11 giorni, 2 in più rispetto all’anno scorso)»: così scrive Nino Materi sul Giornale.

Pare infatti che, dai primi dati, anche quest’anno la villeggiatura registri un +5%: una tendenza che prosegue dal 2006. Se sono veri i dati commentati dal Giornale, c’è davvero da chiedersi dove sia la crisi.

Naturalmente, a margine delle statistiche, non mancano coloro che anche quest’anno non andranno in vacanza per problemi economici, o le famiglie che limiteranno al minimo le giornate fuori casa, magari avvalendosi della benevolenza di parenti che vivono in zone di vacanza.

Proprio qualche giorno fa una lettrice segnalava che numerose famiglie avevano deciso di non inviare i figli al campo estivo organizzato dalla loro chiesa: per nove giorni erano stati chiesti 235 euro a bambino, ma si sono tutti lamentati che la cifra era troppo alta.

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