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Un papà vero
“Una mamma chiamata papà” è il titolo di un servizio che la Stampa, oggi, dedica a un “boom silenzioso”: sono sempre di più i papà che ottengono dal tribunale l’affido dei figli. Nel 2008 erano già 350 mila i minori cresciuti dal padre.
Non saranno padri «sereni come quelli che, ogni giorno, si vedono sorridere nelle pubblicità, in tv, a mangiare allegri attorno a un tavolo, accanto ai figli», ma ci sono e si impegnano ogni giorno nel loro nuovo ruolo.
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Libertà in fumo
Vita dura per i fumatori di Belmont, cittadina californiana: scrive il Corriere che il 9 gennaio è entrato in vigore il divieto di fumare su tutto il territorio comunale. Ma il divieto non si limita, come si potrebbe pensare, ai luoghi pubblici, gli uffici, i parchi, le strade: l’amministrazione di Belmont è andata oltre, stabilendo che «è proibito consumare tabacco non soltanto in edifici e locali pubblici o nei luoghi di lavoro, ma anche in qualsiasi appartamento privato che abbia in comune un piano, un tetto o un muro con un altro. Insomma, a meno non abbiate dimora in una villa o in una costruzione isolata, non potete fumare neppure a casa vostra. Pena una multa fino a 100 dollari».
La decisione è stata presa dietro segnalazione di alcuni condomini (le liti di pianerottolo non sono prerogativa italiana, a quanto pare), che hanno lanciato in città una campagna di sensibilizzazione: «Motivo scatenante, il fumo proveniente dagli appartamenti confinanti, che passava da ogni fessura e impregnava le loro case… La protesta si era poi allargata, convincendo infine il City Council a scegliere la soluzione più ardita».
Chi non ha mai acceso una sigaretta ed è quasi allergico al fumo esulterà per questa sentenza: una sorta rivincita, dopo tante serate passate con gli amici e chiuse con gli occhi arrossati, il mal di gola e un fastidioso senso di inferiorità.
Eppure la decisione di Belmont non lascia tranquilli, perché non è solo una questione di fumo.
Fermo restando che la nostra libertà finisce dove comincia quella del vicino, è altrettanto vero che l’unico posto in cui possiamo godere una libertà assoluta, nei limiti della civiltà e del buonsenso, è casa nostra; lì, nel nostro enclave di riservatezza, possiamo comportarci senza i vincoli cui la visibilità pubblica ci obbliga.
Un’autorità pubblica entra nelle case con un divieto così drastico rischia di costituire un pericoloso precedente.
Oggi la decisione di Belmont risulta tutto sommato condivisa, perché suona solo come un intervento esagerato di fronte a un comportamento comunque fastidioso. In questo modo, però, passa il principio che l’interferenza pubblica è legittima anche nella sfera più privata e anche per questioni non vitali.
Oggi sul banco degli accusati c’è la libertà di fumare in casa propria, messa in dubbio da qualche vicino particolarmente sensibile al problema; domani potrebbe esserci la libertà di pregare o di leggere la Bibbia insieme alla propria famiglia, messa in discussione dalla sensibilità di chi, oltre alla parete divisoria, si sente offeso dalle certezze del cristiano.
Esagerazioni? Speriamo di sì. Ma temiamo di no.
La crociata del latte
L’allattamento è osceno? La domanda si ripropone in questi giorni in seguito a una polemica nata in seno a Facebook, il più noto social network del web.
«Lo scorso ottobre Heather Farley, utente di Facebook – scrive l’agenzia Zeusnews -, pubblicò una foto di sé stessa che allattava il figlio appena nato. L’immagine venne prontamente rimossa, e Heather Farley ne postò un’altra. Allora ricevette una nota da Facebook, che le intimava di rimuovere la fotografia pena la chiusura dell’account».
La donna, per tutta risposta, ha dato vita a un gruppo di interesse – un club telematico – chiamandolo “Hey, Facebook, breastfeeding is not obscene!” (“Ehi, Facebook, l’allattamento non è osceno!”).
L’allattamento è certamente qualcosa di assolutamente naturale, e da incoraggiare. Probabilmente potremmo considerare qualcosa di simile anche il concepimento, il parto e molte altre fasi cruciali della vita; come si può però intuire, questo non giustifica una loro esibizione in luogo pubblico.
Forse il problema andrebbe affrontato a monte, chiedendosi cosa spinga a mostrarsi mentre si allatta. Succede sempre più spesso nei parchi, nei centri commerciali e in altri luoghi di passaggio di vedere una madre che tira fuori il seno e nutre il pargolo. Così, senza problemi, in pubblico. Se qualcuno osa obiettare, emergono spontanee le argomentazioni più classiche sulla gioia della maternità che si vorrebbe negare, sull’incoerenza di chi vorrebbe vedere nascere più bambini ma non accetta che le madri allattino (come se non fosse possibile adottare soluzioni diverse dal farlo ovunque).
Naturalmente a queste si aggiunge la solita spruzzata di “benaltrismo”, così comune ormai ogni volta che veniamo colti in fallo: immancabile l’obiezione sul fatto che “la volgarità è altrove”, che la televisione è peggio, che ormai i bambini vedono di tutto e una mamma che allatta non è poi peggio delle veline, anzi.
Insomma, si prospetta una situazione ormai classica: contro la semplice richiesta di una maggiore sobrietà parte una crociata che addita, denuncia, lancia allarmi. Inutili, perché la richiesta di non allattare in pubblico non riguarda la sostanza, ma la forma. Non è questione di oscenità, ma di buona educazione. Non è sintomo di intolleranza, ma di buona creanza. E in ogni caso – almeno per quanto ci riguarda – è una richiesta, non un’imposizione: speriamo che i paladini del diritto di espressione per tutti non ci neghino il piacere di rivendicare il buonsenso.
Facebook probabilmente ha usato gli argomenti sbagliati. Ma la neomamma, per parte sua, dovrebbe forse riscoprire l’intimità di un momento intenso e riservato come la maternità.