Archivi Blog

La crisi del volontariato

L’altruismo sta morendo. A segnalarlo è Riccardo Bonacina, direttore editoriale di Vita Magazine, che in un intervento sul Corriere della Sera lamenta un dato preoccupante: negli ultimi tre anni il numero di coloro che si dedicano al volontariato è diminuito del 10%.

Un crollo che si spiega con l’assenza di una politica adeguata da parte delle autorità preposte, una linea capace di valorizzare l’impegno di chi dedica il suo tempo ai bisognosi, incoraggiando altri a seguirne l’esempio. Ma non solo.

Leggi il resto di questa voce

Pubblicità

Le paure della Fifa

Riecco la Fifa inflessibile, severa, rigida ed equidistante. Ne sentivamo la necessità: in un mondo del calcio dove la furbata è all’ordine del giorno, dove i soldi portano a intrallazzi e malversazioni, dove i problemi dello sport si sommano a quelli della geopolitica, ecco che la Fifa riprende il suo ruolo di custode della pace e dell’ortodossia.

Sì, ne sentivamo il bisogno: faceva troppo male sapere che Blatter e soci avevano glissato con un sorriso sul caso Henry, su quel colpo di mano voluto e rivendicato, grazie al quale la Francia aveva segnato il gol decisivo per accedere alla fase finale della Coppa del mondo. L’Irlanda aveva rivendicato i suoi diritti, esponendo le sue ragioni e chiedendo giustizia: la ripetizione della partita o l’accesso ai Mondiali come 33.ma squadra.
Blatter, come sempre, aveva sfoderato il suo sorriso da politico promettendo di pensarci, e poi come sempre aveva detto che no, non si poteva fare: chi aveva avuto, aveva avuto; chi aveva dato, aveva dato. Così parlò la Fifa in quell’occasione, e la soluzione puzzava di opportunismo, o di interessi sporcati da principi diversi rispetto a quelli rivendicati – d’accordo, erano le Olimpiadi e non i Mondiali di calcio – da De Coubertain.

Leggi il resto di questa voce

Una flottiglia di dubbi

Chissà se mai sapremo davvero quel che è successo l’altra notte sulla Mavi Marmaris, la nave della “Flotilla” pacifista diretta a Gaza per “portare aiuti umanitari”.

Chissà se ha ragione la deputata arabo-israeliana Hanin Zuabi quando sostiene che a bordo non c’erano armi, o i filmati che girano insistentemente in rete e testimoniano il sequestro di casse di munizioni, missili e altro. Chissà se sono vere o se si tratta di un banale montaggio video tra immagini della nave sotto accusa e riprese più datate (ma non per questo false).

Leggi il resto di questa voce

Il giusto atteggiamento

Il terremoto ad Haiti è all’ordine del giorno sui quotidiani, sui siti, nei telegiornali.

Una tragedia immane e ancora difficilmente quantificabile che ha visto scattare subito la solidarietà del mondo intero, rimasto scosso da un dramma che – riflette Gramellini sulla Stampa – si teme possa un giorno toccare anche a noi.

Leggi il resto di questa voce

Un messaggio frainteso

«Il punto centrale è che il cristianesimo non lo difendi brandendolo come un’ideologia, ma testimoniandolo nella vita quotidiana come risposta ai bisogni dell’uomo. La grande forza del cristianesimo, quella che colpisce e “contagia” il prossimo che incontriamo, è la possibilità per l’uomo di sperimentare una novità di vita»: la constatazione, molto evangelica, è di Giorgio Vittadini.

Nei giorni della polemica leghista contro le esortazioni espresse dal cardinale di Milano, il fondatore della Compagnia delle Opere centra meglio degli altri la questione e la sua frase, da sola, vale quanto un discorso: Cristo non può essere un’ideologia, un mezzo, un alibi per giustificare comportamenti che si scontrano con il suo insegnamento.

Leggi il resto di questa voce

Se Sarah Palin convince Graham

Mentre Rick Warren sbarca in Europa per promuovere il suo “Purpose & peace plan” dedicato alle chiese, negli USA un redivivo Billy Graham incontra Sarah Palin.

Vista la sua età – 91 anni – le uscite pubbliche del predicatore più noto del Novecento si sono giocoforza rarefatte, e per questo la presenza della ex governatrice dell’Alaska, nonché ex candidata alla vicepresidenza USA insieme a John McCain, fa ancora più rumore.

Leggi il resto di questa voce

Minoranze fastidiose

Tempi duri per i pentecostali. Non passa quasi giorno senza che la denominazione – che, ormai, comprende sul piano numerico la stragrande maggioranza degli evangelici in Italia e nel mondo – subisca riferimenti e allusioni ingenerosi da parte dei media, ispirati dagli eccessi di qualche esagitato o dalla singolarità di certe pratiche.

Una strategia, quella dei media, che potrebbe anche non essere del tutto consapevole, ma che porta l’opinione pubblica ad accostare la diversità alla bizzarria, e la bizzarria al pericolo tout court. Se poi a questi elementi si aggiunge la diffidenza verso lo straniero, ci sono tutti gli elementi per fare di una onesta denominazione il capro espiatorio ideale per le paure, i fastidi, le intolleranze del nostro Paese.
Leggi il resto di questa voce

Voci nel silenzio

“Meglio dedicare il minuto di silenzio ai morti sul lavoro”, ha detto il preside di una scuola romana, evidentemente allergico al lutto nazionale di ieri, indetto per piangere i sei soldati italiani caduti in Afghanistan.

Quella del direttore scolastico è una posizione minoritaria, certo, ma non isolata se anche su Facebook – che sempre più si conferma come il regno della superficialità – si chiedeva di condividere piuttosto un più generico lutto «per coloro che muoiono sul lavoro in un paese senza regole, senza controlli, senza giustizia. Senza finire sul giornale, lodati come eroi».

Posizione comprensibile, ma che inevitabilmente si pone in aperta polemica – politica, ideologica o sociale: fa poca differenza – nei confronti di una vicenda drammatica delicata come la morte dei nostri sei militari.

Il punto è proprio questo: in un momento di dolore ha senso la polemica? Ha senso chi urla “pace” al microfono dei funerali di Stato? Ha senso – o, piuttosto, ha cuore – chi scrive “-6” sui muri di Milano?

Qualcuno obietterà che, in altri momenti, la voce della contestazione si perde nell’indifferenza. Ed è innegabile che sia così. Però, esprimendo un disagio in questo modo si perde il senso del rispetto, della pietà, dell’umanità verso chi soffre. Certo, la morte è uguale per tutti e il dolore non conosce ufficialità, ma se passa l’assioma che ogni lutto è uguale, allora si perde il senso delle proporzioni e il significato del gesto. Se ogni sofferenza è uguale, allora ha ragione chi mette sullo stesso piano il dolore della vittima e del carnefice.

Se ogni morte è uguale, allora non ha senso guardare con gratitudine chi si è sacrificato per darci la libertà. E, forse, nemmeno chi ci ha donato la Vita.

Sia chiaro, non è giusto sminuire la fine di chi perde la vita per l’assenza di sicurezza sul posto di lavoro. Ma è un problema diverso, e non gli si rende onore sfruttando la scia di un altro lutto.

Una voce nel silenzio si sente forte. Ma chi parla rivela tutta la sua debolezza.

Passione quanto basta

La Stampa ci spiega che si può impazzire, letteralmente, per Internet: l’uso della rete può trasformarsi da dipendenza a patologia.

Ci sono «11 manifestazioni di incipiente follia» elaborate dagli esperti: «Giorno dopo giorno si passa sempre più tempo online, in un crescendo innaturale. L’umore non è quello solito, ma gli attacchi di rabbia diventano standard. Addio affetti e amici: li si trascura per stare incollati al pc. Non c’è attività capace di emozionare che non sia una di quelle provenienti dal Web… Si mente spudoratamente sul numero dei clic con cui si guarda il video preferito. “Navigare” diventa la scusa per mettere in secondo piano i compiti scolastici o le responsabilità di lavoro. Il pensiero corre sempre alle tentazioni del cybermondo, anche quando ci si dovrebbe concentrare su altro. Cresce il macigno dei sensi di colpa, perfino la vergogna, quando si è online e non si riesce a smettere. Si dorme sempre meno, perché la notte si tramuta nel momento magico delle evasioni internettiane.».

Leggi il resto di questa voce

I limiti della libertà

A Milano la Corte d’Appello ha sancito che «Non soltanto il matrimonio tra marito e moglie, ma anche il rapporto di convivenza, se intenso e protratto nel tempo, possono fare scaturire lo stesso “dovere di cura”, gli stessi “reciproci obblighi di assistenza morale e materiale” che la legge pone a carico dei soli coniugi e presidia con pene da 1 a 8 anni in caso di “abbandono di persona incapace”».

Tutto nasce da una triste vicenda che, nel 2002, vide morire una cinquantaseienne a causa dell’assenza di cure da parte del compagno; la sentenza odierna capovolge quanto stabilito nel primo grado di giudizio, dove si sanciva che «la legge limitava ai soli coniugi l’obbligo all’assistenza morale e materiale», e se «le due persone non erano marito e moglie ma conviventi… all’uomo non poteva essere applicata… la norma penale che punisce l’abbandono».
Leggi il resto di questa voce