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La stagione della pazienza
Adotta un anziano: questa la proposta del Comune di Milano, convinto che “l’affido allunga la vita”. L’iniziativa, avviata in via sperimentale una decina di anni fa, si apre ora a tutte le famiglie desiderose di rendersi utili adottando virtualmente un nonno o una nonna.
L’idea nasce dalla constatazione che nel capoluogo lombardo gli over 65 sono il 24% della popolazione, e che uno su tre (quindi, almeno l’8% dei milanesi) vive in condizioni di solitudine. Da qui l’intenzione di valorizzare un progetto già esistente, in base al quale affidare a famiglie disponibili (e selezionate) gli anziani soli, offrendo nel contempo alle famiglie coinvolte un bonus di duecento euro al mese.
Domeniche diverse
Non è stata il successo sperato, la domenica senz’auto indetta domenica con lo scopo di abbassare il livello di smog in Pianura Padana.
Un’iniziativa sfortunata: partita con l’idea di coinvolgere centinaia di comuni da Torino a Trieste, si è ridotta a uno stop adottato da un numero di municipalità molto limitato (e anche in quel caso con un ampio numero di deroghe), tanto da rendere inefficace la misura.
Tavoli solidi
Scrive il Corriere che «Per otto milioni di famiglie il pranzo della domenica è un rito intramontabile: lo sostiene uno studio dell’Accademia Italiana della Cucina… Sembra, infatti, che tutte le domeniche il 52% delle famiglie italiane si sieda a tavola per gustare un menu che è lo stesso di 50 anni fa».
Il tradizionale pranzo della domenica resta «un cerimoniale amato e diffuso. Che non solo resiste alle nuove tendenze alimentari ma rappresenta il più solido presidio della tradizione gastronomica italiana, il baluardo più autentico contro i fast food e il rito attraverso il quale recuperare l’antica tradizione del desco familiare».
Al di là dei dettagli gastronomici legati alla notizia, sorprende l’inversione di tendenza. Negli anni Ottanta il pasto comune era diventato un optional: ritmi di vita diversi e orari inconciliabili avevano reso arduo per marito, moglie e figli sedersi a tavola allo stesso momento; a dare il colpo di grazia al rito del pranzo familiare è stata la tv, entrata di sottecchi in cucina e diventata ben presto commensale ingombrante e logorroico, capace di azzerare la comunicazione tra familiari per farsi ascoltare da tutti in religioso (si fa per dire) silenzio.
I ritmi di vita non sono cambiati, ma quantomeno le famiglie italiane hanno riscoperto la domenica: un appuntamento settimanale per stare insieme attorno a una tavola imbandita, parlando e scherzando, discutendo e rinsaldando quei legami che la società moderna tende a sfilacciare.
Perché a prescindere dal menù e dalla qualità dei cibi serviti, il pranzo in comune è fin dai tempi biblici un’occasione di interazione, di convivialità (il termine non è casuale), di relazione. È una di quelle piccole buone abitudini che non sono codificate dalla dottrina né enfatizzate dai sociologi, ma che contribuiscono nel loro piccolo a tenere insieme una famiglia, o a segnalare un disagio prima che sia troppo tardi.
Il pranzo in comune non ha valore in quanto simbolo, ma come strumento; ha senso non come rito, ma in funzione di un modo di intendere la famiglia: un nucleo stabile, rassicurante, che offre ai suoi componenti affetto, serenità, certezze.
E, di questi tempi, Dio sa quanto ce ne sia bisogno.