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Quell'occasione chiamata tecnologia
Il 31 marzo 1949 una piccola rivoluzione aspettava il mondo ancora dolorante dopo i drammi della seconda guerra mondiale.
C’era bisogno di riprendersi, di tirarsi su, e anche di ritrovare un po’ di serenità: le case discografiche si resero conto che era necessario modernizzare la musica, rendendola una compagna di viaggio in una società dove la mobilità stava diventando un must.
Così sessant’anni fa usciva il primo 45 giri. Più solido e maneggevole del 78 giri, cambiò per sempre la fruizione della musica, rendendola qualcosa di quotidiano, vicino, facilmente utilizzabile.
Nel leggere la notizia sorge spontanea una riflessione su come anche le rivoluzioni più radicali sono destinate a venire sorpassate, e anche la tecnologia più all’avanguardia diventerà un’anticaglia buona per un numero di appassionati sempre più ristretto.
Un disco dal diametro di una ventina di centimetri sarà sembrato ai nostri genitori e nonni un’innovazione clamorosa rispetto al padellone a 78 giri: nessuno avrebbe mai potuto pensare che, quindici anni dopo, sarebbe arrivata la musicassetta, solida e resistente agli urti, dove il nastro magnetico permetteva un ascolto di durata più ampia e meno compromesso dai sobbalzi dell’auto; un supporto che, oltretutto, avrebbe permesso l’ascolto non solo in auto o durante i pic nic al parco, ma perfino camminando per la strada o praticando sport.
Una meraviglia della tecnica che però avrebbe ceduto il passo, nei primi anni Ottanta, a un supporto chiamato compact disc, destinato a risultare ancora più solido (“indistruttibile”, esageravano i venditori) e più notevolmente fedele nella riproduzione del suono.
All’epoca, come per ogni passo avanti, nessuno avrebbe potuto immaginare gli ulteriori sviluppi: soprattutto nessuno di noi avrebbe pensato che il futuro, vent’anni dopo, avrebbe permesso di arrivare alla musica senza supporto fisico, fatta di impulsi elettronici e per questo completamente diversa da ogni precedente soluzione.
Curiosamente, nel mio archivio, un’opera ha attraversato indenne tutti i passaggi: la Nona sinfonia di Beethoven diretta da Herbert von Karajan. La possiedo su 33 giri, su cassetta, su cd e, ora, in digitale.
L’opera, va da sé, è sempre la stessa: stesso autore, stesso direttore, perfino stessa orchestra. Cambia il supporto, e con il supporto la resa. Ma anche la fruibilità. Il 33 giri offre sfumature che un cd non può proporre; la cassetta, con i suoi limiti che indignano l’orecchio fine dei puristi può garantire un ascolto più ampio, mentre il digitale, così pratico e diffuso, non avrà la qualità di un 33 giri né di un cd, ma permette una diffusione semplice, rapida, fedele.
Mi sono ritrovato a constatare che, per la diffusione del vangelo, vale lo stesso ragionamento.
C’è chi considera indispensabile parlare come si usava sessant’anni fa, e usare traduzioni dell’epoca: sono più fedeli, ma inevitabilmente la diffusione del messaggio ne risente.
C’è chi, all’estremo opposto, non vuole rinunciare agli strumenti più moderni per comunicare il messaggio della salvezza: la completezza del messaggio forse lascerà a desiderare, ma di converso avrà un’immediatezza e una rapidità che gli altri mezzi non permettono.
C’è chi si è affezionato a strumenti antichi – volantini, predicazioni in piazza – e traduzioni datate, e si ritrova nel ruolo di quei collezionisti che tutti apprezzano per il loro purismo, pochi capiscono e pochissimi condividono nel loro puntiglio.
Forse quindi la storia del 45 giri e dei suoi successori rende l’idea di quale debba essere il nostro approccio nei confronti della chiamata cristiana.
Se vogliamo essere testimoni di Cristo nel nostro tempo dobbiamo rimanere fedeli al messaggio del vangelo, mantenendo l’elasticità necessaria ad adottare, di volta in volta, la forma, il metodo, il sistema più adatto al contesto in cui ci troviamo.
Ci sono situazioni in cui è necessaria una maggiore chiarezza, magari a discapito della completezza; o una maggiore precisione, anche tralasciando per un momento il quadro generale. Sta a noi cercare la luce ed esercitare l’intelligenza che Dio ci ha donato, per capire di volta in volta quali strumenti usare, e comprendere quando e come esprimerci.
Quell’occasione chiamata tecnologia
Il 31 marzo 1949 una piccola rivoluzione aspettava il mondo ancora dolorante dopo i drammi della seconda guerra mondiale.
C’era bisogno di riprendersi, di tirarsi su, e anche di ritrovare un po’ di serenità: le case discografiche si resero conto che era necessario modernizzare la musica, rendendola una compagna di viaggio in una società dove la mobilità stava diventando un must.
Così sessant’anni fa usciva il primo 45 giri. Più solido e maneggevole del 78 giri, cambiò per sempre la fruizione della musica, rendendola qualcosa di quotidiano, vicino, facilmente utilizzabile.
Nel leggere la notizia sorge spontanea una riflessione su come anche le rivoluzioni più radicali sono destinate a venire sorpassate, e anche la tecnologia più all’avanguardia diventerà un’anticaglia buona per un numero di appassionati sempre più ristretto.
Un disco dal diametro di una ventina di centimetri sarà sembrato ai nostri genitori e nonni un’innovazione clamorosa rispetto al padellone a 78 giri: nessuno avrebbe mai potuto pensare che, quindici anni dopo, sarebbe arrivata la musicassetta, solida e resistente agli urti, dove il nastro magnetico permetteva un ascolto di durata più ampia e meno compromesso dai sobbalzi dell’auto; un supporto che, oltretutto, avrebbe permesso l’ascolto non solo in auto o durante i pic nic al parco, ma perfino camminando per la strada o praticando sport.
Una meraviglia della tecnica che però avrebbe ceduto il passo, nei primi anni Ottanta, a un supporto chiamato compact disc, destinato a risultare ancora più solido (“indistruttibile”, esageravano i venditori) e più notevolmente fedele nella riproduzione del suono.
All’epoca, come per ogni passo avanti, nessuno avrebbe potuto immaginare gli ulteriori sviluppi: soprattutto nessuno di noi avrebbe pensato che il futuro, vent’anni dopo, avrebbe permesso di arrivare alla musica senza supporto fisico, fatta di impulsi elettronici e per questo completamente diversa da ogni precedente soluzione.
Curiosamente, nel mio archivio, un’opera ha attraversato indenne tutti i passaggi: la Nona sinfonia di Beethoven diretta da Herbert von Karajan. La possiedo su 33 giri, su cassetta, su cd e, ora, in digitale.
L’opera, va da sé, è sempre la stessa: stesso autore, stesso direttore, perfino stessa orchestra. Cambia il supporto, e con il supporto la resa. Ma anche la fruibilità. Il 33 giri offre sfumature che un cd non può proporre; la cassetta, con i suoi limiti che indignano l’orecchio fine dei puristi può garantire un ascolto più ampio, mentre il digitale, così pratico e diffuso, non avrà la qualità di un 33 giri né di un cd, ma permette una diffusione semplice, rapida, fedele.
Mi sono ritrovato a constatare che, per la diffusione del vangelo, vale lo stesso ragionamento.
C’è chi considera indispensabile parlare come si usava sessant’anni fa, e usare traduzioni dell’epoca: sono più fedeli, ma inevitabilmente la diffusione del messaggio ne risente.
C’è chi, all’estremo opposto, non vuole rinunciare agli strumenti più moderni per comunicare il messaggio della salvezza: la completezza del messaggio forse lascerà a desiderare, ma di converso avrà un’immediatezza e una rapidità che gli altri mezzi non permettono.
C’è chi si è affezionato a strumenti antichi – volantini, predicazioni in piazza – e traduzioni datate, e si ritrova nel ruolo di quei collezionisti che tutti apprezzano per il loro purismo, pochi capiscono e pochissimi condividono nel loro puntiglio.
Forse quindi la storia del 45 giri e dei suoi successori rende l’idea di quale debba essere il nostro approccio nei confronti della chiamata cristiana.
Se vogliamo essere testimoni di Cristo nel nostro tempo dobbiamo rimanere fedeli al messaggio del vangelo, mantenendo l’elasticità necessaria ad adottare, di volta in volta, la forma, il metodo, il sistema più adatto al contesto in cui ci troviamo.
Ci sono situazioni in cui è necessaria una maggiore chiarezza, magari a discapito della completezza; o una maggiore precisione, anche tralasciando per un momento il quadro generale. Sta a noi cercare la luce ed esercitare l’intelligenza che Dio ci ha donato, per capire di volta in volta quali strumenti usare, e comprendere quando e come esprimerci.
Bibbia a colori
«La natura attraversa la Bibbia come una vite. Ci sono il giardino dell’Eden e il ramoscello d’olivo di Noè. Le querce presso cui Abramo si è incontrato con gli angeli e l’albero piantato presso i rivi d’acqua citato nei Salmi».
Adesso questa presenza verde ha avuto un suo riconoscimento con una nuova versione della Bibbia che verrà lanciata negli USA il prossimo 7 ottobre da Harper Collins. A caratterizzarla non è solo la carta riciclata e l’inchiostro ecologico (a base di soia), ma il testo stesso: «una versione della Scrittura – scrive Time – che richiama l’attenzione su più di mille versetti relativi alla natura e li sottolinea stampandoli in un piacevole colore verde foresta, come la “red letter edition” della Bibbia enfatizza le parole di Gesù».
Una versione che coglie la sensibilità sempre maggiore degli evangelici USA nei confronti della salvaguardia del creato, ma che probabilmente incontrerà qualche resistenza. E non perché usa la New Revised Standard Version, traduzione non amata dai conservatori: è il senso stesso del progetto a lasciare perplessi i battisti del sud, la corrente più conservatrice nel contesto evangelico. Rileva infatti Richard Land che l’ecologia «certo è importante, ma quando è stato chiesto a Gesù quale sia la cosa più importante, lui ha risposto “Ama il tuo Dio, e ama il tuo prossimo come te stesso”. Non ha detto nulla riguardo la creazione”».
Iniziativa interessante sotto vari punti di vista.
Intanto, ben venga una nuova versione della Bibbia che sia in grado di allargarne ulteriormente la diffusione e la lettura, purché la traduzione sia leggibile, fedele, accurata.
Tanto meglio se, come pare, la versione di cui parliamo potrà riuscire raggiungere un target appassionato ai temi sociali più che alla lettura delle Sacre Scritture.
In merito all’interesse dei cristiani per la salvaguardia del creato, va ricordato che non è una moda né un concetto nuovo. Apprezzare ciò che Dio ha creato, scoprire la perfezione di ciò che ci circonda, sorprenderci di fronte alle meraviglie della natura spinge il cristiano ad amare e a ringraziare con maggiore intensità il suo Salvatore.
Nello specifico, la salvaguardia del creato è un tema affascinante. E dei temi affascinanti non bisogna avere paura, anche se bisogna riconoscerne la pericolosità. Bene, quindi, l’attenzione alla tutela della natura, all’aiuto del prossimo, all’impegno sociale e magari anche all’azione politica.
Ma l’ecologia, come gli altri temi, non deve diventare una nuova ragione di vita, una nuova denominazione o un tema prevalente nella predicazione. Non va persa di vista la prospettiva: il centro della Bibbia è il rapporto di Dio con l’uomo, il suo scopo è raccontare che esiste per ogni essere umano la possibilità di ottenere la salvezza – quella salvezza che sfugge ai tentativi di raggiungerla con le nostre forze – attraverso l’azione di Gesù Cristo. Il resto è corollario.
Non comprendere la centralità di Cristo porta a considerare sullo stesso piano la “red letter edition”, che pone enfasi posta sulle parole di Cristo, con la nuova “green letter edition”, che sottolinea i temi ecologici contenuti nella Bibbia. E, magari, domani porterà a una nuova edizione che proclamerà con altri colori l’importanza di una dieta alimentare specifica, o dell’impegno sociale, politico, e chissà cos’altro ancora.
Insomma: mentre la Bibbia diventa multicolore, giorno dopo giorno rischiamo di leggerla guardando sempre più alle nostre mode, ai nostri interessi, alle nostre passioni, e smarrendo così il senso più profondo del messaggio di Cristo.