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Se Sarah Palin convince Graham
Mentre Rick Warren sbarca in Europa per promuovere il suo “Purpose & peace plan” dedicato alle chiese, negli USA un redivivo Billy Graham incontra Sarah Palin.
Vista la sua età – 91 anni – le uscite pubbliche del predicatore più noto del Novecento si sono giocoforza rarefatte, e per questo la presenza della ex governatrice dell’Alaska, nonché ex candidata alla vicepresidenza USA insieme a John McCain, fa ancora più rumore.
Quattro cose sul voto
Domani e domenica si vota per rinnovare la nostra rappresentanza al Parlamento europeo e, in molte zone del Paese, per eleggere presidenti (e consigli) di province e comuni.
I politici e i giornali, per questa tornata elettorale, hanno preferito concentrarsi su scandali e cadute di stile, piuttosto che dare spazio a programmi e opinioni dei candidati: forse è meglio così, dato che magari molti dei candidati nemmeno sanno cos’è l’Europa.
Però, da cristiani e da elettori, il dilemma resta: devo votare? E per chi?
Forse qualche spunto di riflessione può tornare utile.
1. persona e personaggio.
Spesso nei candidati la morale vissuta in privato e i principi sostenuti in pubblico non coincidono, e questo porta al paradosso di politici che sostengono la causa della famiglia pur avendone un paio alle spalle.
La scelta non è proprio così ovvia. Se la politica è l’arte del compromesso, è meglio puntare su un candidato capace, con le idee chiare ma con un curriculum personale non ineccepibile, o votare un candidato di specchiata moralità ma poco capace o poco in linea con il nostro modo di vedere la società?
Qualcuno obietterà che se il candidato non vive ciò che sostiene non sarà davvero in grado di portare avanti la causa. In teoria il discorso fila; nel concreto, però, va rilevato che non sono rari i casi di politici “non credenti” che hanno fatto per i valori cristiani molto di più rispetto ai politici “credenti”.
2. per cosa si vota.
Prima di entrare in cabina è importante capire per cosa si sta votando.
La rappresentanza europea è una questione politica: quindi riguarda i grandi temi, i principi, i valori che vorremmo dare all’Europa.
Le elezioni amministrative, invece, riguardano la gestione del territorio, che con la politica ha (o, almeno, dovrebbe avere) poco in comune: non mi interessa in cosa creda l’amministratore del mio condominio, purché svolga bene il suo lavoro. In una città, strade pulite e giardini accoglienti non sono di destra, di sinistra o di centro.
3. una questione di democrazia.
In campo cristiano c’è chi sostiene che non dovremmo interessarci alle questioni politiche e sociali, in quanto “non siamo di questo mondo”; in risposta c’è chi obietta che comunque “viviamo in questo mondo”, e che interessarci a chi ci sta attorno sia la testimonianza più efficace dell’amore che siamo chiamati a mostrare.
Va rilevato anche che la democrazia è un privilegio, e non è per niente scontato: la libertà di vivere la propria fede in privato e in pubblico è preziosa e, purtroppo, rara. Smettere di tutelarla potrebbe rivelarsi, in un futuro più o meno remoto, una scelta poco saggia.
4. votare o non votare.
Certo, onestamente parlando, spesso è difficile decidere per chi votare. Talvolta pare che i candidati facciano di tutto per non farsi scegliere, e il teatrino dei politici non aiuta le istituzioni a mantenere il dovuto contegno e la necessaria autorevolezza.
In questo contesto anche l’astensione può essere una forma di scelta. Estrema, ma legittima.
L’importante è che venga esercitata in seguito a una decisione consapevole e non per pigrizia. Quello, sì, sarebbe inaccettabile: come elettori e come cristiani.
Effetti collaterali
Una volta i ministri erano azzimati. Anziani, se preferite. Vecchi, per molti versi. Tanto vecchi che, dopo decenni di politica attiva, li si accusava di aver perso il contatto con il territorio, talvolta perfino con la società, e sicuramente con i giovani, di cui non riuscivano a capire le speranze.
Si è invocato per intere legislature un cambio generazionale, agitando sui giornali il virtuoso esempio – così si voleva far considerare – di tutti i paesi europei, dove presidenti e ministri erano giovani o giovanissimi, a ovest come a est. Insomma, si faceva presto a maliziare sul fatto che dopo la caduta del Muro, e con lui dei politburo, l’Italia era il paese con i governi e i parlamenti più vecchi.
L’accusa è caduta da quando il nuovo presidente del consiglio, per altri motivi, ha preso alla lettera questa argomentazione, proponendo un baby governo dove i trentenni la fanno da padroni. Una ventata di novità che ha dato vita a interessanti proposte alternative, a scelte meno politiche e più coraggiose, a uno svecchiamento nei tempi e nei modi. Se poi i risultati siano all’altezza delle attese, o se almeno lo saranno a fine mandato, è un’altra questione: intanto qualcosa è cambiato, e si vede.
Si vede, purtroppo, anche sui giornali: in questa estate 2008 il pettegolezzo di Stato ha avuto un’impennata che ha oscurato anche le vicende della vipperia televisiva in salsa sarda, quella che ogni anno delizia i rotocalchi con legami, tradimenti e abbandoni degne del peggiore Olimpo letterario.
In primavera hanno avuto buon gioco, i giornali stranieri, a ricordare il passato velinaro di una giovane ministra, eletta – magra consolazione – la più affascinante del continente: il ritorno di foto e calendari risalenti a una vita (gaudente) fa deve essere stato imbarazzante per lei, ma lo è stato soprattutto per il ruolo che ricopre.
Poi, con i primi caldi, si è aperta la caccia al “Pinco Pallino”, presunto compagno che un’altra ministra pudicamente celava agli occhi dei media.
A chiudere il cerchio mancava solo il ministro all’istruzione. Forse per il suo ruolo, forse per la sua immagine, la facevamo inflessibile e austera nonostante i suoi trent’anni: una via di mezzo tra la maestrina dalla penna rossa e la signorina Rottenmeier.
E invece no: ecco che anche lei, formalmente single come le altre, è stata sorpresa – e prontamente paparazzata – in affettuose effusioni con un aitante immobiliarista.
Sono giovani, verrebbe da commentare benevolmente con un sorriso paterno. E, in fondo, è vero. Se oggi si è giovani fino a cinquant’anni, a trenta si viene considerati poco più che adolescenti: nei negozi ti danno del “tu” e nessuno si scandalizza se vivi ancora in casa con i genitori. E, si potrebbe aggiungere, i coetanei delle nostre ministre oggi in pubblico fanno ben di peggio di qualche tenero bacio ai tavolini di un bar.
Il punto è che le tre trentenni al Governo non sono solo giovani: sono ministri. Hanno accettato, in scienza e coscienza, un certo incarico, ben consapevoli del peso, dell’impegno, degli effetti collaterali, dell’esposizione mediatica. Dai ministri ci si aspetta un certo lavoro e un certo decoro, e il fatto che i cattivi esempi siano stati troppi – in Italia e all’estero – non cambia la questione di fondo.
Non basta infatti dire che “lo fanno tutti”. Forse sì, e forse è entrato nell’uso comune tanto che, ormai, nessuno si scompone più per così poco. Ma restiamo convinti del fatto che un servitore dello Stato dovrebbe rappresentare un esempio virtuoso: come chiunque abbia un ruolo di riferimento per la società, dai ministri di culto alle forze dell’ordine, dal magistrato al sindaco. A prescindere dall’età.