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Una pietra nell'anima

È interessante la storia dei due turisti americani che, dopo 25 anni, hanno deciso di restituire un pezzo di Colosseo.

A vedere le immagini si tratta di un sasso grande come un pugno, sottratto al monumento capitolino nel corso di una gita ed esposto fino a qualche giorno fa tra i souvenir di una vita.

Senza soddisfazione, però: ogni volta che lo guardavano, si sentivano in colpa.

Già, la colpa. La storia dei due turisti americani è, in fondo, anche la storia di tutti noi.
Chissà quante volte ci è capitato di prendere una pietra che non ci apparteneva.
Una pietra fisica o metaforica: magari solo una parola di troppo, una discussione sfociata in espressioni sgradevoli che hanno deteriorato un rapporto.

Da quella vicenda è rimasta una pietra nella bacheca della nostra anima. Un ricordo che vorremmo considerare una vittoria, e che invece ci pesa. E che non riusciamo più a liquidare.

Ogni volta che le passiamo davanti, quella pietra rompe gli schemi, gli equilibri, le soluzioni che pensavamo di aver trovato per darci pace.

E la colpa torna periodicamente a tormentarci, ogni volta che ripassiamo davanti alla vetrina di quel sasso.

A farci sentire meno colpevoli non basta nemmeno il semplice pentimento, e lo dimostra il fatto che quella pietra ci guarda dalla sua bacheca senza cambiare prospettiva.

L’unico modo per ritrovare la serenità è rimuovere quella pietra, rispedendola al mittente. Il pentimento, per essere efficace, ha bisogno di un atto concreto: il desiderio di recuperare, di ricucire, di rimediare.

Così, come i due turisti americani, anche noi dobbiamo rimettere la pietra dove l’abbiamo presa. Dobbiamo farlo, per gli altri e per noi stessi.

Anche se ormai è passato un quarto di secolo, non è mai troppo tardi per alleggerirsi.

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Una pietra nell’anima

È interessante la storia dei due turisti americani che, dopo 25 anni, hanno deciso di restituire un pezzo di Colosseo.

A vedere le immagini si tratta di un sasso grande come un pugno, sottratto al monumento capitolino nel corso di una gita ed esposto fino a qualche giorno fa tra i souvenir di una vita.

Senza soddisfazione, però: ogni volta che lo guardavano, si sentivano in colpa.

Già, la colpa. La storia dei due turisti americani è, in fondo, anche la storia di tutti noi.
Chissà quante volte ci è capitato di prendere una pietra che non ci apparteneva.
Una pietra fisica o metaforica: magari solo una parola di troppo, una discussione sfociata in espressioni sgradevoli che hanno deteriorato un rapporto.

Da quella vicenda è rimasta una pietra nella bacheca della nostra anima. Un ricordo che vorremmo considerare una vittoria, e che invece ci pesa. E che non riusciamo più a liquidare.

Ogni volta che le passiamo davanti, quella pietra rompe gli schemi, gli equilibri, le soluzioni che pensavamo di aver trovato per darci pace.

E la colpa torna periodicamente a tormentarci, ogni volta che ripassiamo davanti alla vetrina di quel sasso.

A farci sentire meno colpevoli non basta nemmeno il semplice pentimento, e lo dimostra il fatto che quella pietra ci guarda dalla sua bacheca senza cambiare prospettiva.

L’unico modo per ritrovare la serenità è rimuovere quella pietra, rispedendola al mittente. Il pentimento, per essere efficace, ha bisogno di un atto concreto: il desiderio di recuperare, di ricucire, di rimediare.

Così, come i due turisti americani, anche noi dobbiamo rimettere la pietra dove l’abbiamo presa. Dobbiamo farlo, per gli altri e per noi stessi.

Anche se ormai è passato un quarto di secolo, non è mai troppo tardi per alleggerirsi.