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Solitudine da denuncia
Una denuncia. Poi due, tre, sei. Diverse tra loro ma accomunate dallo stesso problema, un problema che le forze dell’ordine non possono risolvere. Succede in Friuli, ma probabilmente anche altrove: «nelle ultime due settimane – raccontano i Carabinieri al Gazzettino, che ha segnalato la questione – abbiamo avuto sei di questi episodi».
Capita infatti sempre più spesso che persone avanti negli anni raggiungano la caserma dei Carabinieri per sporgere denunce poco verosimili: «Mi hanno spinto, fatto cadere a terra e volevano rapinarmi», è stata la storia di un settantaseienne di Pozzuolo (UD). Ai militari non c’è voluto molto per comprendere che c’era poco di vero: l’abitazione risultava in ordine, l’anziano molto meno, con quel tasso alcolico così sospetto.
Consigli di lettura – 9
Turismo, musica, società, strategie belliche, teologia tra i consigli di lettura di questa settimana.
Si comincia con “In viaggio con Lutero” (Claudiana) di Reinhard Dithmar. Sono numerosi ogni anno i protestanti che si recano in visita ai luoghi della Riforma: a disposizione hanno ovviamente i manuali di storia e le classiche guide turistiche. Mancava, in italiano, un volume che raccogliesse le informazioni utili per un viaggio sulle tracce di Lutero: ci ha pensato la chiesa luterana in Italia che ha pubblicato, in collaborazione con la casa editrice Claudiana, “In viaggio con Lutero”, testo di Reinhard Dithmar, studioso di teologia, germanistica, filosofia, pedagogia e professore di letteratura.
Nel volumetto, comodo come una guida turistica, vengono presentati fatti storici, dettagli, curiosità sulle località della Turingia e della Sassonia dove visse Lutero.
Una lettura interessante da fare sul campo, ma anche comodamente a casa, per scoprire qualcosa di più su Lutero rispetto a quello che racconta un manuale di storia, senza limitarsi ai dettagli di una comune guida turistica.
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Passando alla musica, nell’estate di vent’anni fa moriva uno dei più grandi direttori d’orchestra del Novecento, Herbert von Karajan. Un genio della bacchetta e allo stesso tempo un personaggio di cui si è parlato molto, ma sul quale mancava una voce “preferenziale”: quella della seconda moglie, Eliette.
Una lacuna colmata da una biografia: “La mia vita al suo fianco”, edito da Giunti, scritto proprio da Eliette Von Karajan l’anno scorso, nel centenario della nascita del direttore.
Si tratta, in realtà, di un’autobiografia della signora Karajan, ma inevitabilmente si trasforma nel racconto della persona cui è stata accanto per oltre trent’anni: trent’anni al fianco di un personaggio pubblico che la signora von Karajan racconta indugiando tra viaggi e “prime”, cerimonie e mondanità, ma rivelando anche il Karajan che poteva conoscere solo lei, privato, umano. Un Karajan che, nel racconto della moglie, piace ritrovare, a tanti anni dall’addio.
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Parlando di vita, non si può non incappare anche nella morte. E la morte è un tema che non si affronta mai molto volentieri. Stefano Lorenzetto, giornalista di lungo corso e ampia sensibilità, le ha dedicato un intero libro: si intitola “Vita morte miracoli. Dialoghi sui temi ultimi”, edito da Marsilio.
Con la consueta formula delle interviste a tema, già sviluppata tra gli altri nel suo precedente e piacevole “Italiani per bene”, Lorenzetto dialoga con una ventina di personaggi sconosciuti ai più, ma con una storia che vale la pena di essere raccontata: c’è l’oncologo affetto da sclerosi che sa quale sarà il suo destino, ma non si rassegna e si presenta ogni giorno a curare i suoi pazienti; c’è il geriatra che accudisce i pazienti in stato vegetativo permanente (e ha visto qualcuno di loro risvegliarsi); ci sono persone comuni colpite da quelle che comunemente chiamiamo “disgrazie”, ma che hanno saputo trovare una nuova speranza o una nuova prospettiva grazie alla fede.
Non tutti i casi proposti sono “da manuale” o del tutto condivisibili, ma il quadro generale che Lorenzetto offre è – come sempre – chiaro e sobrio; il tono è delicato, ma capace di impennarsi e anche di mordere quando cita fatti di cronaca che negano il valore di quella vita la cui importanza viene ribadita, intervista dopo intervista, insieme agli interlocutori.
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Veniamo alla strategia. Sono passati sei anni dalla caduta di Saddam Hussein, ma – come tutti possiamo constatare – al di là del trionfo militare americano, a tutt’oggi la battaglia non è stata vinta del tutto.
Si è trattato – e si tratta – di una guerra diversa da quelle del passato, e proprio per questo richiede – e avrebbe richiesto – un approccio diverso.
A rileggere oggi, a distanza di sei anni dall’uscita, il libro del generale Wesley Clark, “Vincere le guerre moderne. Iraq, terrorismo e l’impero americano” (edito da Bompiani), si può restare sorpresi. Clark, eroe di guerra in Vietnam, è stato comandante supremo delle forze alleate in Europa dal 1997 al 2000, direttore del dipartimento piani strategici del Pentagono e a capo della delegazione per gli accordi di pace nei Balcani a Daytona. Insomma, è uno che conosce l’argomento militare e diplomatico.
Nel libro, Clark presenta la sua posizione critica sulle scelte effettuate dall’amministrazione Bush in relazione alla guerra in Iraq; racconta i retroscena e ventila le “reali motivazioni” della strategia americana. Una posizione, quella di Clark, probabilmente non del tutto disinteressata, visto il suo tentativo di avviare una carriera politica con la candidatura alla presidenza USA nelle file dei democratici nel 2004 (finita con un nulla di fatto); tuttavia, vista la sua esperienza, non si può non prendere in considerazione le sue osservazioni.
Nel volume, dopo una disamina della situazione, Clark offre anche qualche spunto per una soluzione, e qualche consiglio per il futuro: in primis il fatto che nelle “guerre moderne” i terroristi vanno sconfitti “dall’interno” con un puntuale lavoro di intelligence, e non sul campo.
Naturalmente le tesi di Clark non sono state prese in considerazione da Bush nel corso del suo secondo mandato. Ma, nell’era obamiana, e di fronte a una situazione in Iraq ancora critica, chissà che le idee del generale non abbiano maggiore fortuna.
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Chiudiamo con uno spunto di lettura teologico.
La predestinazione è un tema su cui, nel corso dei secoli, la chiesa cristiana si è interrogata a lungo. La salvezza si realizza, si attua o si accetta come un dono?
In base alla risposta sono nati movimenti, sono scoppiate dispute, si sono consumate divisioni, probabilmente più che per qualsiasi altro tema dottrinale.
Giorgio Tourn, pastore e già presidente della Società di studi valdesi, ha toccato il delicato argomento con un libro pubblicato da Claudiana. Si intitola semplicemente “La predestinazione nella Bibbia e nella storia”, e si propone di fare il punto in maniera chiara e senza spirito di parte sulla questione.
Tourn parte ovviamente dalla Bibbia e dalla temperie culturale in cui il problema si è posto per la prima volta; analizza il modo di affrontare la predestinazione dei cristiani nell’età apostolica, gli sviluppi nella teologia cristiana (dai padri alla scolastica). Numerosi capitoli sono dedicati, ovviamente, alla posizione assunta nel tempo dalle correnti evangeliche (dalla Riforma alla Ginevra di Calvino, dal Calvinismo al protestantesimo moderno).
Affronta, infine, la dottrina della predestinazione analizzandola in chiave teologica, fino a concludere considerando la necessità di “reinventare” un tema che oggi, dopo secoli di dispute, è paradossalmente fin troppo trascurato.
Quieto (con)vivere
“Convivere, nuovo fidanzamento italiano”: il titolo del focus che il Corriere venerdì dedicava a un’abitudine attecchita anche in Italia, dove i matrimoni in dieci anni si sono quasi dimezzati e le unioni di fatto hanno preso il loro posto.
Con un calcolo forse opinabile, ma probabilmente non troppo azzardato, Maria Antonietta Calabrò segnala che «ormai vive insieme al partner senza alcuna formalità una donna su tre tra quelle nate alla fine degli anni Settanta, e quando avranno diciotto anni le bambine nate negli anni Novanta, la percentuale potrebbe quasi raddoppiare».
Quattro i tipi di convivenza: la convivenza prematrimoniale, che sostituisce il vecchio fidanzamento e si conclude – se va bene – con il matrimonio; la convivenza necessaria/utilitaristica (di chi aspetta un divorzio o di chi non vuole perdere i vantaggi pensionistici di un precedente matrimonio); la convivenza come libera scelta per una vita di relazione dinamica (direbbero loro) o disordinata (direbbe la Bibbia).
In Italia, analizza il fondatore del Censis, Giuseppe De Rita, il 40% delle convivenze è di tipo prematrimoniale. Il dato non rassicura, né tutto sommato consola.
Anche perché la Pastorale familiare della Cei – organo ufficiale della chiesa cattolica – sorprende rivelando che «ci sono punte del 70 per cento di coppie che chiedono il matrimonio in Chiesa e che sono già conviventi».
Naturalmente ci sono sempre state coppie che desiderano sanare la propria posizione religiosa in fatto di matrimonio, ma di fronte a una percentuale così elevata non si può non chiedersi quali siano i valori e quale visione della vita la chiesa cattolica e le chiese cristiane in generale – riescano a trasmettere ai giovani.
Chiamiamola assenza di valori, chiamiamola paura del futuro, chiamiamola influenza malata di una società che si finge laica e si dimostra laida: il quadro è preoccupante.
In merito alla questione, una frase di De Rita è significativa e invita – forse inconsapevolmente – a una doppia lettura. Il fondatore del Censis segnala che i Dico si sono arenati perché «non c’è pressione sociale per una regolazione delle convivenze». Insomma, alla gente non interessa, e non preme sui politici per creare una nuova formula di tutela legale per le coppie di fatto.
La frase di De Rita, però, vale anche in una prospettiva etica: se la situazione è questa, è perché la società ha ormai accettato pacificamente la convivenza; è normale decidere di effettuare un test prematrimoniale, è normale finire sotto lo stesso tetto mentre si attende lo scioglimento legale di una unione precedente, è normale percepire emolumenti che, in caso di una nuova unione (di fatto o di diritto) non spetterebbero più.
Probabilmente nessun cristiano coerente intraprende consapevolmente una di queste opzioni.
Ma, allo stesso tempo, praticamente nessuno ormai si sogna di inarcare un sopracciglio obiettando agli amici che, cristianamente parlando, il matrimonio richiede senso di responsabilità nell’approccio, o che la frenesia di inaugurare una nuova relazione prima ancora di chiudere la precedente non risponde ai parametri etici di un cristiano, o che mantenere un diritto economico scaduto significa frodare lo Stato.
Certo, tutto questo è assolutamente “normale” per una società che non ha più punti di riferimento morali ed etici.
Ciò che preoccupa di più è che, ormai, tutto questo suona normale anche per noi.