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Il valore di una prospettiva
«Tutto può avere un prezzo, persino il sentirsi dire “ti amo”», spiegano gli autori di “Sei molto ricco, ma ancora non sai di esserlo”, volume uscito in questi giorni nel Regno Unito.
Come si calcola il valore della felicità? I due hanno preso in considerazione un migliaio di persone cui è stato chiesto di dare un punteggio a un particolare aspetto della vita (l’amore, la stabilità, i figli etc). Hanno poi agganciato questo calcolo “alla sensazione che si proverebbe nel vincere alla lotteria”, e hanno quindi trovato il presumibile valore di un momento piacevole, di una sensazione, di un rapporto.
Sul podio tre evergreen: salute, amore, stabilità. Infatti «Al primo posto, con un valore economico di circa 207mila euro, c’è la sensazione che proviamo quando ci viene detto che godiamo di buona salute e che non soffriamo di nessuna malattia. L’amore, in particolare il sentirsi dire “ti amo”, ha un valore stimabile in circa 188mila euro, e si piazza al secondo posto. Segue, a circa diecimila euro di distanza, la sensazione che si prova nel vivere una relazione stabile: poco più di 178mila euro».
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Quella serenità così sfuggente
Quali sono i comportamenti più fastidiosi, in aereo? British Airways ha condotto una serie di interviste a viaggiatori non britannici, ricavando una top ten dei modi di fare più irritanti.
Tra questi, spiccano l’abitudine di dare calci al sedile davanti al proprio, l’uso di lasciar scorrazzare i figli avanti e indietro per i corridoi, la fretta di scendere appena il velivolo apre i portelloni, la loquacità dei viaggiatori che intavolano discorsi inutili, il suono (o, più spesso, il rumore) che esce dalle cuffie di chi sta ascoltando musica.
Nel prontuario che è stato realizzato dopo questo sondaggio, la compagnia di bandiera britannica non ha trovato di meglio che consigliare ai viaggiatori di salire a bordo sereni. Facile a dirsi, dirà qualcuno: chi mai ama viaggiare irritato? Eppure forse il suggerimento, per quanto banale, ci permette di riflettere su un aspetto che spesso trascuriamo.
Ciò che succede quando viaggiamo – ma anche quando stiamo a casa, siamo al supermercato, pazientiamo in fila alla posta, guidiamo, facciamo acquisti – lo percepiamo secondo la nostra prospettiva.
Lo stesso episodio può suscitare una risata o una sfuriata: la reazione dipende dal nostro stato d’animo. Quando siamo irritati o nervosi ci dà fastidio qualsiasi dettaglio, anche il più insignificante: una frase scontata, l’andatura di chi ci precede, il gesto di un collega.
In questi casi ogni imprevisto contribuisce ad amplificare il nostro disagio, e credere che il mondo ce l’abbia con noi diventa un alibi al nostro fastidio interiore.
Sì, perché – a voler essere onesti – possiamo riconoscere che il disagio nasce dentro di noi, non attorno a noi. Ed è sintomo di una significativa mancanza di serenità.
La serenità è una questione delicata.
C’è chi si illude di trovarla negli eccessi, e chi nella cadenza regolare di una vita ordinaria; qualcuno tenta di trovarla negli oggetti o le persone di cui si circonda.
Tutto questo può aiutare, ma non basta. Perché niente e nessuno, in questo mondo, può toccarci – e cambiarci – dentro. Nemmeno noi stessi.
Fino a prova contraria, la serenità non nasce da una vita senza imprevisti né da una situazione economica agiata. E anche una generica ricerca spirituale non basta, fino a quando non comprendiamo un concetto essenziale: la serenità nasce dalla consapevolezza del nostro ruolo.
Osservando le vicende dell’umana commedia, è difficile non intravedere alcuni elementi che accomunano epoche e latitudini. La tendenza umana a migliorare la propria condizione di partenza. Il desiderio di individuare la propria identità. Il bisogno di interagire con gli altri. La ricerca della libertà. La necessità di dare uno scopo ragionevole alla propria vita. L’individuazione di una prospettiva più ampia (e convincente) sul senso dell’esistenza e sul “dopo”.
Solo trovando queste risposte è possibile acquisire una serenità soddisfacente, stabile, non illusoria. Qualcuno potrà obiettare che, quelle risposte, non è difficile trovarle, spaziando tra politica (la libertà), filosofia (l’identità), la solidarietà sociale (lo scopo), le dottrine orientali (il senso della vita). E infatti è vero.
Il problema è trovare una soluzione che riesca, da sola, a rispondere a tutte le domande. La politica, la filosofia, l’impegno sociale, le dottrine orientali riconoscono – con onestà – la parzialità delle loro proposte.
Scartando i vari candidati ne resta uno solo: l’unico che, nella storia dell’umanità, ha avuto il coraggio di affermare “Io sono la via, la verità e la vita”, e ha aggiunto “venite a me… e io vi darò riposo”.
Se sia vero o solo una boutade, lo possono testimoniare milioni di persone che hanno creduto nel suo messaggio e in quel messaggio hanno trovato le risposte. E, con quelle risposte, la pace.
Consigli di lettura – 8
Ago 22
Pubblicato da pj
Storia, società, attualità, sociologia e fede nei suggerimenti di lettura proposti questa settimana nel mio programma radio su crc.fm.
Si comincia con “Evangelici nella tormenta. Testimonianze dal secolo breve” (Claudiana), di Giorgio Bouchard, un libro sulle personalità evangeliche che hanno vissuto i drammi della storia del Ventesimo secolo. È l’ultimo progetto – in ordine di tempo, beninteso – portato a termine dal pastore e saggista, già moderatore della Tavola valdese e autore di numerosi testi sul movimento evangelico (tra cui il mai troppo citato “Movimenti evangelici del nostro tempo”, che continua a essere uno degli strumenti migliori per comprendere il contesto evangelico italiano e internazionale odierno).
“Evangelici nella tormenta” nasce da una serie di conferenze tenute dall’autore nella chiesa battista di Meana di Susa e presenta – per dirla con Marco Brunazzi, autore dell’introduzione – «una serie di medaglioni di personalità evangeliche di vario profilo, dalle più note alle meno, che hanno scandito la storia del Novecento», iniziativa che viene accolta come “opportuna” «in un paese come l’Italia, dove la cultura evangelica… è normalmente confinata in spazi informativi del tutto marginali».
Bouchard nel suo libro racconta le vicende di personaggi che non hanno fatto la storia della chiesa – non direttamente, almeno – ma hanno introdotto la chiesa nella storia: dai paladini anti-apartheid Nelson Mandela e Rosa Parks a un Bonhoeffer africano, Guddinaa Tumsaa, passando per Reinhold Niebuhr e l’ex presidente americano (e pastore evangelico) Jimmy Carter, fino al noto – ma non quanto meriterebbe – missionario Albert Schweitzer e a credenti che hanno vissuto epoche buie, come Ernst Lohmeyer, Madeleine Barot e i ragazzi della Rosa bianca.
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Più “leggera”, invece, la seconda proposta di lettura: si tratta di “Nel catalogo c’è tutto. Per chi va o torna a vivere da solo” (Feltrinelli), del trentenne milanese Francesco Gungui.
Comunemente si dice che le grandi città sono grigie, noiose, impersonali, ma la vita metropolitana, a saperla guardare con la giusta prospettiva, può essere perfino divertente, come dimostra Francesco Gungui. Nei capitoli del libro scorre la vita ordinaria di un giovane di oggi, alle prese con le abitudini da cambiare (andare a vivere da soli è un passo decisivo nella vita di una persona) mentre la propria esistenza comincia a delinearsi tra idee confuse, relazioni carenti, piccole nevrosi e grandi interrogativi.
Il “catalogo” da cui il libro prende il titolo è il catalogo dell’Ikea, che secondo l’autore è un paradigma della generazione di oggi: una generazione “componibile” per una vita “componibile”, proprio come un mobile della famosa azienda. La prosa di Gungui è godibile, e di fronte ad avventure e disavventure che molti di noi hanno affrontato (la ricerca di una casa, il mutuo, le faccende domestiche, il lavoro precario in un mondo di imbroglioni) è difficile non farsi qualche risata. Autocompatendosi, beninteso.
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Si legge uno spaccato di storia recente, invece, in “Da Gerusalemme a Roma. Il Medio Oriente, l’Italia, il mondo: riflessioni di un ambasciatore. 2001-2006” (Mondadori) di Ehud Gol, ex ambasciatore israeliano in Italia dal 2001 al 2006: un periodo non facile per Israele, che ha visto quindi il rappresentante diplomatico in una posizione particolarmente delicata nel difendere il suo paese da un’opinione mediatica mai generosa.
Per rappresentare le ragioni di Israele, Gol ha preso spesso in mano la penna e ha scritto lettere, commenti, corsivi sui principali quotidiani italiani.
Nei suoi contributi, raccolti in questo volume, Gol difende con instancabile energia Israele: di volta in volta di fronte all’ambiguità di Arafat e le omissioni dell’Europa, di fronte alle posizioni poco imparziali dei media e dell’Unione Europea, di fronte alla piaga del terrorismo e del fondamentalismo islamico da cui ha origine, di fronte al pacifismo a senso unico. Temi che ci riportano alla memoria l’amarezza di drammi, stragi, diritti negati, occasioni perse.
Il volume si apre e chiude con due capitoli dedicati al nostro paese: il percorso inizia con “L’Italia può aiutare la pace”, intervento su Repubblica nel 2001, e si conclude con “L’Italia ha capito Israele”, pubblicato sul Corriere nei giorni del congedo dal suo incarico.
Non sappiamo se il nostro Paese abbia davvero avuto o possa avere un ruolo importante nel raggiungimento della pace in Medio Oriente, ma sicuramente l’impegno di Ehud Gol nei sei anni del suo mandato è stato essenziale per la comprensione di Israele da parte del nostro Paese.
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Altro tema di cui abbiamo parlato questa settimana è stata la fede di Indro Montanelli: Montanelli è stato uno dei più significativi giornalisti del nostro paese, che con la sua penna e il suo pensiero ha caratterizzato molti dei dibattiti, degli scontri, dei drammi che l’Italia ha vissuto negli ultimi cinquant’anni.
Montanelli non si considerava un credente, eppure non ha mai rifiutato di riflettere su Dio e sulla fede. Anzi: nel suo considerarsi non credente c’era una sorta di rammarico per qualcosa che, per onestà, non poteva dire di possedere ma che cercava.
Giorgio Torelli, giornalista e discepolo di Montanelli, ha parlato spesso con lui di questo tema, e – a distanza di anni dalla scomparsa del personaggio – ha messo nero su bianco il riscontro di questi dialoghi.
Lo ha fatto in un volume che si intitola “Il Padreterno e Montanelli” (Ancora). Torelli racconta di un Montanelli stoico, ma che rivisitava spesso il tema della fede, sospirando «purtroppo, non ho fede. Magari, ne fossi toccato».
Dopo aver tratteggiato un quadro della sua fede – o “non-fede” -, Torelli si pone e pone una domanda sul “Dopo Montanelli”: “la nostra speranza nella misericordia del Padre ci nega o ci permette di ipotizzare un dialogo franco e decisivo tra Dio” e Montanelli?
Una domanda accademica, ovviamente, che non cambia le cose, e cui – su questa terra, almeno – non avremo mai una risposta. Ma è una domanda che permette a Torelli di scandagliare la posizione di decine di intellettuali (teologi, scrittori, giornalisti, missionari, lettori, pensatori di vario genere, naturalmente non tutti cristiani) su un tema delicato, quello della fede e della salvezza.
Le risposte, naturalmente, risentono dell’influenza culturale e delle convinzioni di ogni interpellato, ma permettono di riflettere e far riflettere.
Quale sia stata la sorte di Montanelli, naturalmente, non possiamo saperlo. A quanto ne sappiamo noi, non ha mai accettato Cristo nella sua vita, né si è mai detto credente. Ma chissà: la sua sincerità e la sua schiettezza nei confronti di Dio possono farci sperare.
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Parlando di sociologia, ci ha incuriosito che sembrava la negazione di sé: si tratta di “Non leggete libri per crescere i vostri bambini. ntimanuale del genitore sereno” (Rizzoli), di Elisabetta Zocchi.
Diventare genitori cambia la vita. E fa nascere nelle neomamme e nei neopapà una serie di dubbi, pensieri, preoccupazioni. Proprio facendo leva sulla inevitabile apprensione dei nuovi genitori, negli ultimi anni si sono moltiplicati i manuali mirati a suggerire metodi di ogni tipo per dare ai figli un’infanzia ottimale.
“Non leggete libri per crescere i vostri bambini” è decisamente controcorrente per il settore ed è scritto da Elisabetta Zocchi, giornalista e vicedirettore di due testate dedicate alle mamme, impegnata da anni nel settore della salute materna e infantile.
Zocchi, più che dare consigli particolari, punta a incoraggiare i genitori, perché – scrive – per essere buoni genitori basta il buonsenso. «Le mamme d’oggi – esordisce la Zocchi – devono sapere… che fanno sempre la cosa giusta. Anche quando incorrono in qualche involontaria svista».
Sottolineando che “un genitore non può smettere di credere in se stesso”, l’autrice guida il lettore attraverso dieci capitoli su aspetti essenziali relativi al rapporto tra genitori e neonato, e accompagna ogni capitolo con la risposta a un dubbio ricorrente – e, decisamente, umano – dei neogenitori stessi.
Insomma, il libro di Elisabetta Zocchi non sarà un manuale, ma riesce comunque a dare consigli. Utili e, soprattutto, di buonsenso.
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