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Oltre i carboni ardenti
La vita di una celebrità è strana: a volte ci si prepara coscienziosamente per anni, si attraversano tutti i gradi del cursus honorum, dalla gavetta al nome in cartellone, e poi si finisce per venir ricordati per qualcosa di anomalo, talvolta perfino di poco attinente con la propria specializzazione.
I quotidiani, in questi giorni, ci ricordano che qualcosa di simile è successo a Mino Damato: giornalista, persona colta e di gran cuore, che i più ricordano per aver camminato sui carboni ardenti in una lontana edizione di Domenica In (quando Elisabetta Gardini non era un parlamentare della Repubblica, ma una giovane conduttrice televisiva).
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Lo scrupolo del “perché io?”
È passato poco più di un mese, e come tutti i casi di cronaca, per quanto gravi siano, anche questo è stato ormai archiviato. Nessuno ne parla più, e in effetti non ce ne sarebbe motivo: un uomo, roso da un’instabilità mentale e da problemi familiari, ha ucciso la ex moglie e altre due persone con cui aveva un contenzioso, trasformando la Bassa padana in un far west e scatenando il panico tra la popolazione per un pomeriggio intero.
Loro sono morti, lui è in carcere (o in cura), il caso è chiuso. Eppure qualche domanda, a distanza di un mese, bisogna porsela: perché, rispetto a tanti uxoricidi, questo è complicato da due elementi che impensieriscono, o almeno dovrebbero farlo.
La solitudine dell’uomo telematico
A leggere il titolo di Repubblica, pare che sia arrivata l’apocalisse della rete: «Facebook sotto assedio: “Cancelliamoci tutti”».
Al centro delle polemiche c’è il sito più cliccato della rete, dove 400 milioni di internauti hanno creato una propria scheda e interagiscono con amici (veri, presunti o fittizi) raccontando senza riserve gusti, passioni, idee: un catalogo di vizi (molti) e virtù (poche) che ha fatto rabbrividire i garanti della privacy a ogni latitudine.
La crociata del latte
L’allattamento è osceno? La domanda si ripropone in questi giorni in seguito a una polemica nata in seno a Facebook, il più noto social network del web.
«Lo scorso ottobre Heather Farley, utente di Facebook – scrive l’agenzia Zeusnews -, pubblicò una foto di sé stessa che allattava il figlio appena nato. L’immagine venne prontamente rimossa, e Heather Farley ne postò un’altra. Allora ricevette una nota da Facebook, che le intimava di rimuovere la fotografia pena la chiusura dell’account».
La donna, per tutta risposta, ha dato vita a un gruppo di interesse – un club telematico – chiamandolo “Hey, Facebook, breastfeeding is not obscene!” (“Ehi, Facebook, l’allattamento non è osceno!”).
L’allattamento è certamente qualcosa di assolutamente naturale, e da incoraggiare. Probabilmente potremmo considerare qualcosa di simile anche il concepimento, il parto e molte altre fasi cruciali della vita; come si può però intuire, questo non giustifica una loro esibizione in luogo pubblico.
Forse il problema andrebbe affrontato a monte, chiedendosi cosa spinga a mostrarsi mentre si allatta. Succede sempre più spesso nei parchi, nei centri commerciali e in altri luoghi di passaggio di vedere una madre che tira fuori il seno e nutre il pargolo. Così, senza problemi, in pubblico. Se qualcuno osa obiettare, emergono spontanee le argomentazioni più classiche sulla gioia della maternità che si vorrebbe negare, sull’incoerenza di chi vorrebbe vedere nascere più bambini ma non accetta che le madri allattino (come se non fosse possibile adottare soluzioni diverse dal farlo ovunque).
Naturalmente a queste si aggiunge la solita spruzzata di “benaltrismo”, così comune ormai ogni volta che veniamo colti in fallo: immancabile l’obiezione sul fatto che “la volgarità è altrove”, che la televisione è peggio, che ormai i bambini vedono di tutto e una mamma che allatta non è poi peggio delle veline, anzi.
Insomma, si prospetta una situazione ormai classica: contro la semplice richiesta di una maggiore sobrietà parte una crociata che addita, denuncia, lancia allarmi. Inutili, perché la richiesta di non allattare in pubblico non riguarda la sostanza, ma la forma. Non è questione di oscenità, ma di buona educazione. Non è sintomo di intolleranza, ma di buona creanza. E in ogni caso – almeno per quanto ci riguarda – è una richiesta, non un’imposizione: speriamo che i paladini del diritto di espressione per tutti non ci neghino il piacere di rivendicare il buonsenso.
Facebook probabilmente ha usato gli argomenti sbagliati. Ma la neomamma, per parte sua, dovrebbe forse riscoprire l’intimità di un momento intenso e riservato come la maternità.
Il ritocco della discordia
Ago 5
Pubblicato da pj
Gisele Bundchen è stata protagonista, ieri, di una vicenda quantomeno curiosa che la riguarda peraltro solo indirettamente.
La famosa e ricercatissima modella brasiliana ha posato per la campagna pubblicitaria di una marca di abbigliamento. Nella foto compare a dire il vero poco vestita, e questo potrebbe già essere motivo di ironia, se la pubblicità in questi anni non ci avesse abituato a paradossi peggiori.
La cosa che ha fatto discutere è che compare magra. Niente di strano per una modella, se non fosse che Gisele Bundchen è incinta. Un colpo di videoritocco, ed ecco sparire il pancione.
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4 commenti
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