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Consigli di lettura – 9
Turismo, musica, società, strategie belliche, teologia tra i consigli di lettura di questa settimana.
Si comincia con “In viaggio con Lutero” (Claudiana) di Reinhard Dithmar. Sono numerosi ogni anno i protestanti che si recano in visita ai luoghi della Riforma: a disposizione hanno ovviamente i manuali di storia e le classiche guide turistiche. Mancava, in italiano, un volume che raccogliesse le informazioni utili per un viaggio sulle tracce di Lutero: ci ha pensato la chiesa luterana in Italia che ha pubblicato, in collaborazione con la casa editrice Claudiana, “In viaggio con Lutero”, testo di Reinhard Dithmar, studioso di teologia, germanistica, filosofia, pedagogia e professore di letteratura.
Nel volumetto, comodo come una guida turistica, vengono presentati fatti storici, dettagli, curiosità sulle località della Turingia e della Sassonia dove visse Lutero.
Una lettura interessante da fare sul campo, ma anche comodamente a casa, per scoprire qualcosa di più su Lutero rispetto a quello che racconta un manuale di storia, senza limitarsi ai dettagli di una comune guida turistica.
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Passando alla musica, nell’estate di vent’anni fa moriva uno dei più grandi direttori d’orchestra del Novecento, Herbert von Karajan. Un genio della bacchetta e allo stesso tempo un personaggio di cui si è parlato molto, ma sul quale mancava una voce “preferenziale”: quella della seconda moglie, Eliette.
Una lacuna colmata da una biografia: “La mia vita al suo fianco”, edito da Giunti, scritto proprio da Eliette Von Karajan l’anno scorso, nel centenario della nascita del direttore.
Si tratta, in realtà, di un’autobiografia della signora Karajan, ma inevitabilmente si trasforma nel racconto della persona cui è stata accanto per oltre trent’anni: trent’anni al fianco di un personaggio pubblico che la signora von Karajan racconta indugiando tra viaggi e “prime”, cerimonie e mondanità, ma rivelando anche il Karajan che poteva conoscere solo lei, privato, umano. Un Karajan che, nel racconto della moglie, piace ritrovare, a tanti anni dall’addio.
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Parlando di vita, non si può non incappare anche nella morte. E la morte è un tema che non si affronta mai molto volentieri. Stefano Lorenzetto, giornalista di lungo corso e ampia sensibilità, le ha dedicato un intero libro: si intitola “Vita morte miracoli. Dialoghi sui temi ultimi”, edito da Marsilio.
Con la consueta formula delle interviste a tema, già sviluppata tra gli altri nel suo precedente e piacevole “Italiani per bene”, Lorenzetto dialoga con una ventina di personaggi sconosciuti ai più, ma con una storia che vale la pena di essere raccontata: c’è l’oncologo affetto da sclerosi che sa quale sarà il suo destino, ma non si rassegna e si presenta ogni giorno a curare i suoi pazienti; c’è il geriatra che accudisce i pazienti in stato vegetativo permanente (e ha visto qualcuno di loro risvegliarsi); ci sono persone comuni colpite da quelle che comunemente chiamiamo “disgrazie”, ma che hanno saputo trovare una nuova speranza o una nuova prospettiva grazie alla fede.
Non tutti i casi proposti sono “da manuale” o del tutto condivisibili, ma il quadro generale che Lorenzetto offre è – come sempre – chiaro e sobrio; il tono è delicato, ma capace di impennarsi e anche di mordere quando cita fatti di cronaca che negano il valore di quella vita la cui importanza viene ribadita, intervista dopo intervista, insieme agli interlocutori.
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Veniamo alla strategia. Sono passati sei anni dalla caduta di Saddam Hussein, ma – come tutti possiamo constatare – al di là del trionfo militare americano, a tutt’oggi la battaglia non è stata vinta del tutto.
Si è trattato – e si tratta – di una guerra diversa da quelle del passato, e proprio per questo richiede – e avrebbe richiesto – un approccio diverso.
A rileggere oggi, a distanza di sei anni dall’uscita, il libro del generale Wesley Clark, “Vincere le guerre moderne. Iraq, terrorismo e l’impero americano” (edito da Bompiani), si può restare sorpresi. Clark, eroe di guerra in Vietnam, è stato comandante supremo delle forze alleate in Europa dal 1997 al 2000, direttore del dipartimento piani strategici del Pentagono e a capo della delegazione per gli accordi di pace nei Balcani a Daytona. Insomma, è uno che conosce l’argomento militare e diplomatico.
Nel libro, Clark presenta la sua posizione critica sulle scelte effettuate dall’amministrazione Bush in relazione alla guerra in Iraq; racconta i retroscena e ventila le “reali motivazioni” della strategia americana. Una posizione, quella di Clark, probabilmente non del tutto disinteressata, visto il suo tentativo di avviare una carriera politica con la candidatura alla presidenza USA nelle file dei democratici nel 2004 (finita con un nulla di fatto); tuttavia, vista la sua esperienza, non si può non prendere in considerazione le sue osservazioni.
Nel volume, dopo una disamina della situazione, Clark offre anche qualche spunto per una soluzione, e qualche consiglio per il futuro: in primis il fatto che nelle “guerre moderne” i terroristi vanno sconfitti “dall’interno” con un puntuale lavoro di intelligence, e non sul campo.
Naturalmente le tesi di Clark non sono state prese in considerazione da Bush nel corso del suo secondo mandato. Ma, nell’era obamiana, e di fronte a una situazione in Iraq ancora critica, chissà che le idee del generale non abbiano maggiore fortuna.
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Chiudiamo con uno spunto di lettura teologico.
La predestinazione è un tema su cui, nel corso dei secoli, la chiesa cristiana si è interrogata a lungo. La salvezza si realizza, si attua o si accetta come un dono?
In base alla risposta sono nati movimenti, sono scoppiate dispute, si sono consumate divisioni, probabilmente più che per qualsiasi altro tema dottrinale.
Giorgio Tourn, pastore e già presidente della Società di studi valdesi, ha toccato il delicato argomento con un libro pubblicato da Claudiana. Si intitola semplicemente “La predestinazione nella Bibbia e nella storia”, e si propone di fare il punto in maniera chiara e senza spirito di parte sulla questione.
Tourn parte ovviamente dalla Bibbia e dalla temperie culturale in cui il problema si è posto per la prima volta; analizza il modo di affrontare la predestinazione dei cristiani nell’età apostolica, gli sviluppi nella teologia cristiana (dai padri alla scolastica). Numerosi capitoli sono dedicati, ovviamente, alla posizione assunta nel tempo dalle correnti evangeliche (dalla Riforma alla Ginevra di Calvino, dal Calvinismo al protestantesimo moderno).
Affronta, infine, la dottrina della predestinazione analizzandola in chiave teologica, fino a concludere considerando la necessità di “reinventare” un tema che oggi, dopo secoli di dispute, è paradossalmente fin troppo trascurato.
Farewell, mr. President
Ultimo giorno di lavoro per George Walker Bush: martedì, dopo il giuramento di Obama, verrà portato in Texas, dove comincerà per lui una nuova vita da ex presidente. La Stampa spiega che si impegnerà «alla guida del “Freedom institute”, presso l’Università metodista del sud», istituto da lui fondato ad hoc per il dopo-Casa Bianca.
Prima di dare spazio a Obama – che, a dire il vero, in questi ultimi mesi si è già impadronito della ribalta – e chiudere il capitolo dell’era Bush ci sembra corretto ricordare un presidente che negli ultimi mesi è stato fatto oggetto di un intenso e ingeneroso tiro al bersaglio.
Secondo la vulgata benpensante la reazione è stata inevitabile conseguenza delle decisioni sbagliate prese da Bush nel corso del suo mandato, ma probabilmente la verità è un’altra, ed è legata all’immagine del suo successore. Nel suo ultimo anno di mandato, infatti, Bush è stato oscurato dalla stella di Obama: nero e giovane, brillante e tecnologico come nessun altro, fin dagli inizi della campagna elettorale 2008 Obama ha finito per incarnare agli occhi del mondo l’immagine del nuovo e della novità. Bush, di conseguenza, è apparso a un tratto banale, antico, demodé, diventando all’improvviso padre di tutte le colpe e le nevrosi dell’Occidente.
Eppure, nel suo conservatorismo solidale, nella sua ordinarietà, in quella mediocrità che tanto ha fatto discutere il mondo, Bush è stato un presidente innovativo. In un paese dove Dio e la fede stanno diventando qualcosa di cui vergognarsi, Bush ha invertito la tendenza, dichiarandosi serenamente cristiano. Ha raccontato senza remore il suo passato da rampollo viziato e dipendente dall’alcol, e come Dio lo avesse ripescato, alla soglia dei quarant’anni, servendosi di quel Billy Graham che per i Bush è un amico di famiglia.
Una scelta, spirituale e morale, confermata anche alla Casa Bianca: a voler essere onesti si deve riconoscere che la presidenza Bush non ha visto scoppiare scandali personali, dopo l’allegra gestione cui ci aveva abituati Bill Clinton.
Esattamente quattro anni fa, alla vigilia della cerimonia di insediamento (la seconda, dopo quella del gennaio 2001), Bush aveva dichiarato «non vedo come si possa essere presidente senza avere uno stretto rapporto con il Signore», e il suo secondo mandato più del primo ha confermato questo “filo diretto con Dio”, come ebbe a definirlo, raccontandoci della preghiera comunitaria alla Casa Bianca, gli inni cantati insieme ai suoi ministri, la lettura dei salmi al mattino, i culti domenicali, i mille riferimenti cristiani nei suoi discorsi.
Questa sua esposizione – troppo controproducente, sul piano dell’immagine, per non essere sincera – ha avuto le sue ripercussioni anche da noi: perfino le testate più influenti si sono dovute interrogare su chi siano questi evangelici, ribattezzati spesso evangelisti, evangelicali, rinati, a seconda della fantasia del giornalista di turno.
Non è mancata da parte dei media una buona dose di malizia, come ha rilevato a suo tempo il suo consigliere (cattolico) James Towey: «Secondo me, su questo punto si fanno due pesi e due misure. Il presidente Kennedy ha più volte invocato Dio nei suoi discorsi. Il presidente Carter ha perfino provato a convertire al Cristianesimo il presidente sudcoreano. Anche Bill Clinton non nascondeva mai la sua partecipazione a riti religiosi. Pensiamo a Lincoln: è impossibile comprendere la sua presidenza, distaccandola dalla sua fede personale. Ma quando si parla di Bush le cose cambiano. Ritengo che chi lo attacca su questo aspetto è in realtà a disagio con la propria fede. Porto un esempio: se il presidente ha un incontro con la comunità musulmana o ebraica, nessuno dice niente. Se però riceve un gruppo cristiano evangelico, ecco che subito qualcuno lancia l’allarme: che cosa starà facendo? Li sta favorendo? Questo è semplicemente falso».
Il tempo ci dirà se sarà opportuno ricordare Bush per aver detronizzato Saddam Hussein o per le conseguenze drammatiche delle lotte tra bande irachene; se gli afghani avranno saputo sfruttare la cacciata dei taliban o l’impegno americano sarà stato inutile; se le drastiche misure di Guantanamo saranno servite a prevenire nuovi attacchi terroristici contro l’Occidente.
Per il momento, ci piacerà ricordarlo con una sua confessione di qualche anno fa: «Ho pianto molto, [di lacrime] ne ho versate molte di più di quanto si possa pensare che accada a un presidente… In quei momenti mi sono appoggiato alla spalla di Dio».