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L’uomo nella rete
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Non ci sono molti dubbi sul fatto che Internet, e la tecnologia in generale, ci stanno cambiando la vita: i tempi si accorciano, le opportunità aumentano, i contatti si estendono, le informazioni si diffondono su scala globale con ritmi e dimensioni impensabili fino ad appena vent’anni fa. Questi sono i “pro”; ci sono, poi, i “contro”, che un articolo sulla Stampa di oggi riassume in una domanda angosciata: “Internet ci rende stupidi?”.
Citando lo studioso americano Nicholas Carr, il quotidiano torinese avvisa che «nell’arco di pochi anni saremo tutti superficiali, incapaci di concentrarci per più di qualche minuto o di distinguere una informazione importante da quelle irrilevanti».
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La tentazione del virtuale
Pubblicato da pj
La tecnologia ha cambiato l’uomo contemporaneo, le sue relazioni e le sue abitudini: come rifletteva l’antropologo Franco La Cecla su Avvenire, parlando dell’ultima frontiera – i navigatori satellitari – abbiamo ormai perso l’abitudine di affidarci al prossimo, al passante che ci indica la via. Ormai, scrive, viviamo nella nostra “solitudine autosufficiente”.
Potremmo aggiungere che forse – ed è perfino peggio – siamo convinti di essere progrediti, moderni, aggiornati.
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Il natale che non è
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La migliore riflessione relativa a questo natale probabilmente l’ha scritta Claudio Magris, intellettuale laico, che lunedì 21 sul Corriere rifletteva su “Il natale e l’obbligo della felicità” (l’intervento completo è qui).
«A Lima – scrive Magris -, negli ultimi anni, durante la settimana di Natale la percentuale dei suicidi aumenta del 35%… Natale è una celebrazione degli affetti familiari, di una raccolta felicità, e chi se ne sente privo o povero ne soffre certo sempre, ma particolarmente in quei giorni. Giorni in cui si ostenta quel calore che gli manca e la cui mancanza si fa più acuta e talora insostenibile. Quel 35 per cento in più di morti disperati pesa come un dies irae».
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Un disperato bisogno di ascolto
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I dati raccolti da Telefono Azzurro dicono che pericoli e maltrattamenti sui minori continuano purtroppo con intollerabile frequenza.
Negli ultimi anni però si è profilato un cambio di prospettiva: oltre ai rischi che provengono dagli sconosciuti è aumentato il numero di casi in cui le malsane attenzioni nascano all’interno della cerchia familiare: genitori, ma anche insegnanti, amici di famiglia (titolo decisamente poco azzeccato), parenti, vicini, guide spirituali. Un quadro desolante cui Telefono Azzurro risponde come può, ma che apre uno squarcio su un mondo diverso da quello che vedono molti di noi.
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Ma quanto mi costi
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Trenta euro per frequentare il catechismo. Una parrocchia cattolica di Chivasso si è trovata di fronte a una scelta: chiedere un contributo alle famiglie o chiudere.
Si tratta di una parrocchia con annesso oratorio “che toglie i ragazzi dalla strada”; un’attività nobile che però non esenta la struttura religiosa da spese di gestione a più zeri (“solo il riscaldamento l’anno scorso è costato 11 mila euro”, spiega a La Stampa padre Bruno).
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Se anche Bill dice basta
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Se si è stufato lui, figurarsi noi. Bill Gates, fondatore dell’informatica di consumo, autore dei programmi e dei problemi dei nostri computer, annuncia la sua decisione di lasciare Facebook: il suo profilo sul social network più diffuso al mondo, infatti, era diventato ingestibile, con le diecimila richieste di amicizia che lo hanno raggiunto.
«Mi sono reso conto che si trattava di un’enorme perdita di tempo… Era diventato ingestibile, alla fine ho dovuto rinunciare» ha spiegato.
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Bellezze a confronto
Pubblicato da pj
Può esistere un concorso di bellezza in cui l’estetica non giochi un ruolo dominante?
Se la vostra risposta è “no”, sappiate che vi state sbagliando. Ma non fatevene una colpa, le nostre convinzioni nascono dalla società in cui viviamo: siamo occidentali, e nella nostra società la forma (fisica) risulta determinante in molte aree della vita.
Non è così ovunque, però – e questo, per inciso, dimostra che dovremmo smetterla di considerarci al centro dell’universo, e soprattutto di crederci i migliori -: in Arabia Saudita sono capaci di organizzare un concorso di bellezza, o meglio un reality, cui partecipano centinaia di ragazze coperte dalla testa ai piedi. Spiccano solo gli occhi, e qualcuna delle giurate (tutte donne, va da sé) particolarmente schizzinosa sostiene che si dovrebbero oscurare anche quelli.
Le valutazioni delle candidate si basano su qualcosa che noi europei abbiamo dimenticato: ciò che uno è dentro, ciò in cui una persona crede, come si comporta. Blanditi dai guru del relativismo abbiamo cancellato dal nostro immaginario tutto ciò che c’era di nobile, profondo, significativo, e che proprio per questo poteva apparire poco politicamente corretto.
In Arabia Saudita, a quanto pare, sono più avanti. O più indietro, a seconda dei punti di vista. Basano un concorso di bellezza – l’unico del paese – su educazione, conoscenza della morale (e, supponiamo, dell’educazione), qualità del rapporto familiare. Quasi una bestemmia per una società come la nostra, dove il massimo dell’espressione intellettuale emersa agli ultimi concorsi di bellezza è stata una dotta disquisizione sul “lato b”.
Sia chiaro: non vogliamo dimenticare che stiamo parlando dell’Arabia Saudita, un paese che non può essere additato come fulgido esempio di democrazia. Basti ricordare la condizione subalterna della donna, la mancanza di libertà religiosa, o il divieto di importare libri cristiani o simboli di una fede diversa dall’islam.
Premesso questo, però, viene da chiedersi se questa sorta di ballo delle debuttanti in salsa berbera, sia davvero così ridicolo come, a un primo sguardo, ci potrebbe sembrare.
In fondo abbiamo poco da ridere. Guardandoci attorno, camminando per la strada, navigando in rete troviamo una gioventù triste, delusa, senza punti di riferimento né valori: nemmeno l’ombra di quello che un tempo si definiva buona creanza, senso civico, buona educazione.
I miti di oggi sono sguaiati, arroganti, falsi, arrivisti, senza scrupoli né pietà, privi del benché minimo senso di opportunità.
Difficile stupirsi se poi i giovani si ritrovano a tirare avanti un’esistenza pigra, arrabbiata, sciatta, se tra un sms e l’altro niente li entusiasma e nulla riesce ad attirare la loro attenzione.
Pochi adulti se ne preoccupano davvero: “Sono solo ragazzi”, “è un’età difficile”, “hanno diritto a divertirsi” sono le frasi che ricorrono più spesso.
Nel declinare ogni responsabilità nei loro confronti dimentichiamo che tra qualche anno questi stessi ragazzi saranno, a loro volta, genitori. Con obblighi e responsabilità di cui, oggi, non vogliono nemmeno sentir parlare.
E allora una soluzione va trovata, e in fretta. Aiutarli a trovare un senso alla loro vita, spirituale e sociale, è un obbligo morale per tutti noi.
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I palliativi e la soluzione
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A Londra «Per far fronte a migliaia di casi di adolescenti rimaste precocemente incinta il governo britannico si appresta a autorizzare le cliniche per l’interruzione di gravidanza a fare pubblicità in tv e in radio… saranno confezionati anche pubblicità “progresso” per insegnare il corretto uso del profilattico. Ovviamente il tutto trasmesso nelle ore di maggior ascolto».
Nella provincia inglese «Le studentesse di scuola secondaria inglese, poco più che bambine tra gli 11 e i 13 anni di età, potranno richiedere la pillola del giorno dopo, e per evitare imbarazzi potranno farlo via sms» senza che i genitori vengano informati. Il progetto parte «dopo un aumento inquietante di quasi il 10 per cento del numero delle ragazze minorenni rimaste incinte negli ultimi due anni» nell’Oxfordshire.
Alle obiezioni di chi crede che si stia dando un messaggio sbagliato alle giovanissime, i sostenitori del progetto ribattono che si tratta di moralismi, che bisogna stare al passo con i tempi.
Non ci si chiede, naturalmente, se non siano proprio i tempi moderni ad aver causato questa situazione, e si preferisce il corto circuito delle soluzioni-tampone, evitando accuratamente di affrontare il problema alla radice.
Forse la domanda di fondo è se la scuola, lo stato, la società debbano formare, o limitarsi a informare.
Nel secondo caso la situazione si fa scivolosa: anche l’informazione più neutrale è parziale, e l’informazione asettica non consente uno sguardo d’insieme sui problemi, portando il soggetto a farsi un quadro parziale.
Dire che la prevenzione è indispensabile non è sbagliato, ma non basta: è necessario far presente che non c’è solamente la prevenzione, ma un’igiene di vita che, irrisa sul piano morale, trova la sua rivincita nei riscontri concreti.
Checché se ne dica, chi vive con responsabilità vive meglio. Non vale solo per il consumo di alcolici, ma in tutti i settori dell’esistenza: dalle relazioni sentimentali alla cucina, dalla sicurezza sulla strada ai rapporti interpersonali.
In fondo l’umanità si interroga da sempre sulla strada da seguire, sul comportamento da tenere, sul modo di relazionarsi.
La risposta – quella vera, non un semplice palliativo – non è fatta di spot, di soluzioni del giorno dopo, di precauzioni.
È contenuta in un concetto più semplice e allo stesso tempo più profondo, sorprendentemente elementare e paurosamente impegnativo: vivi responsabilmente.
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Astinenza, questa sconosciuta
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In questi giorni, inevitabilmente, si parla molto di quaresima, quel tempo di penitenza che precede la Pasqua.
Si tratta di un uso tipicamente cattolico, che viene aggiornato generazione dopo generazione tentando di farlo restare al passo con i tempi: se ieri la penitenza consisteva nella rinuncia alla carne (in tutti i sensi), oggi ci si impegna a cercare nuove formule per dare un significato pregnante al periodo anche per i più giovani.
Nasce così la proposta di un “digiuno tecnologico” fatto di astinenza dagli sms (almeno di venerdì santo, chiede la curia di Modena), una proposta contestata nello stesso ambiente cattolico per l’accostamento tra tecnologia e divertimento che non sarebbe invece così scontato: «Se i messaggini sono un corretto modo di comunicare, perché ce ne dobbiamo privare?» chiede, tra gli altri, il direttore dell’Osservatore romano, Gian Maria Vian.
Da sempre l’ambiente evangelico vede in chiave molto critica il concetto di penitenza per una questione dottrinale di fondamentale importanza: biblicamente parlando, infatti, non è attraverso la nostra sofferenza o i nostri meriti che possiamo venire salvati, ma per il sacrificio unico e irripetibile di Gesù Cristo, che ha pagato per i nostri peccati morendo sulla croce.
Questa certezza dottrinale ha messo in una luce equivoca qualsiasi forma di astinenza, vista paradossalmente non come una forma di spiritualità, ma come un comportamento religioso sospetto.
Eppure, di suo, l’astinenza non è sbagliata. È sbagliato imporla dall’alto ed è sbagliato fossilizzarsi in un obbligo, trasformando un gesto d’amore verso Dio in un vuoto obbligo formale portato avanti per tradizione.
Però, allo stesso tempo, potrebbe essere significativo darsi un’occasione per consolidare il proprio rapporto spirituale con Dio. E questa occasione potrebbe essere più o meno casuale, o un periodo dell’anno significativo. O magari, avendone la costanza, potrebbe essere un percorso continuo di crescita spirituale.
Anche online? Perché no.
In questi giorni un sito dedicato alle nuove tecnologie ha offerto un “Decalogo per la Quaresima online” tra il serio e il faceto. Parafrasandolo, potremmo trovarci alcuni spunti interessanti.
1. Iscriviti ad una newsletter di argomento spirituale.
2. Naviga quando puoi nel canale cristiano.
3. Manda un sms a un amico con testo: “Gesù ti ama, parliamone”
4. Telefona a tua mamma e a tuo papà solo per dire loro: “TVB”
5. Invia almeno un sms solidale per beneficenza a settimana.
6. Aderisci all’impegno di chi si occupa dei cristiani perseguitati.
7. Insegna quel che sai sull’uso del pc e della rete a un anziano.
8. Copia e incolla un passo del Vangelo e invialo via email a un amico.
9. Invia un’email ai responsabili della comunità che frequenti (pastore, anziani) e di’ loro come vorresti che fosse la chiesa.
10. Soprattutto, diventa fan di Gesù. E non solo su Facebook.
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