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Distrazione fatale

Due temi diversi, oggi, hanno stimolato due commenti molto simili nella sostanza da parte della Stampa e di Repubblica.

Sul quotidiano torinese Gramellini commentava l’allusione del senatore Ciarrapico sull’equazione ebreo=traditore, espressa nel suo intervento a Palazzo Madama: «Fino a quando – si chiede Gramellini – si continuerà a considerare un esercizio di folklore lo scempio dei valori con i quali siamo cresciuti, che credevamo condivisi? […] Non so voi, ma io non lo trovo divertente. E neppure innocuo. Qualcuno dirà che certa gente ha sempre pensato certe cose, senza trovare il coraggio di dirle. Ecco, vorrei tanto sapere chi glielo ha dato, adesso, quel coraggio. Forse ci siamo distratti un attimo. Per favore, non distraiamoci più».

In sintonia Michele Serra nella sua rubrica quotidiana su Repubblica: in merito alle parole del docente milanese che inneggiava alla Rupe Tarpea, fa il punto della situazione-volgarità: «Il punto è che,negli anni, sono saltati come vecchi tappi tutti o quasi gli argini che impedivano o sconsigliavano di scavalcare alcuni – almeno alcuni – argini. Convenzioni rispettate, forse ipocrite, forse solo ragionevoli, suggerivano di non varcare certe soglie verbali… Ha poi prevalso, lentamente ma inesorabilmente, l’idea che niente possa o debba essere rimosso e occultato. Schiodati dalle loro prigioni di profondità, sono emersi uno a uno gli istinti più asociali e aggressivi e “scorretti”» Con l’abbandono del buonismo (o, forse, anche della buona educazione?), «ogni fanatico ma anche ogni debole, e ogni rancoroso, si sente in diritto di esternare il suo male. Il “cattivismo” fa molte più vittime del “buonismo”».

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Buoni maestri

Ricomincia la scuola. Tornano in aula otto milioni di ragazzi e 700 mila docenti, e si apre con i consueti problemi: strutture inadeguate, precari senza certezze, regole poco certe e una certa dose di disinformazione su cause e rimedi, proposte e riforme.

Eppure, nonostante gli acciacchi e i rattoppi, malgrado in troppi la vedano come un parcheggio per i figli o un diplomificio, una sorta di Facebook non virtuale o una palestra di bravate, la scuola resta un pilastro nella nostra società.
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La crisi del volontariato

L’altruismo sta morendo. A segnalarlo è Riccardo Bonacina, direttore editoriale di Vita Magazine, che in un intervento sul Corriere della Sera lamenta un dato preoccupante: negli ultimi tre anni il numero di coloro che si dedicano al volontariato è diminuito del 10%.

Un crollo che si spiega con l’assenza di una politica adeguata da parte delle autorità preposte, una linea capace di valorizzare l’impegno di chi dedica il suo tempo ai bisognosi, incoraggiando altri a seguirne l’esempio. Ma non solo.

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Le paure della Fifa

Riecco la Fifa inflessibile, severa, rigida ed equidistante. Ne sentivamo la necessità: in un mondo del calcio dove la furbata è all’ordine del giorno, dove i soldi portano a intrallazzi e malversazioni, dove i problemi dello sport si sommano a quelli della geopolitica, ecco che la Fifa riprende il suo ruolo di custode della pace e dell’ortodossia.

Sì, ne sentivamo il bisogno: faceva troppo male sapere che Blatter e soci avevano glissato con un sorriso sul caso Henry, su quel colpo di mano voluto e rivendicato, grazie al quale la Francia aveva segnato il gol decisivo per accedere alla fase finale della Coppa del mondo. L’Irlanda aveva rivendicato i suoi diritti, esponendo le sue ragioni e chiedendo giustizia: la ripetizione della partita o l’accesso ai Mondiali come 33.ma squadra.
Blatter, come sempre, aveva sfoderato il suo sorriso da politico promettendo di pensarci, e poi come sempre aveva detto che no, non si poteva fare: chi aveva avuto, aveva avuto; chi aveva dato, aveva dato. Così parlò la Fifa in quell’occasione, e la soluzione puzzava di opportunismo, o di interessi sporcati da principi diversi rispetto a quelli rivendicati – d’accordo, erano le Olimpiadi e non i Mondiali di calcio – da De Coubertain.

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Un percorso di attenzioni

La depressione post partum sta assumendo dimensioni preoccupanti. A lanciare l’allarme è il Corriere che segnala come “Molte più donne di quanto si immagini hanno provato l’impulso di eliminare il bambino appena nato. Dipende dall’incapacità mentale di inserire il piccolo nel loro schema relazionale. E’ come se lo sentissero un estraneo”.

Il problema, indubbiamente, esiste e non va sottovalutato: ogni anno tra le 50 e le 75 mila neomamme vengono colpite dal cosiddetto baby blues, e in mille casi il neonato sarebbe in pericolo “a causa delle condizioni mentali precarie di chi l’ha messo al mondo”.

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Lo scrupolo del “perché io?”

È passato poco più di un mese, e come tutti i casi di cronaca, per quanto gravi siano, anche questo è stato ormai archiviato. Nessuno ne parla più, e in effetti non ce ne sarebbe motivo: un uomo, roso da un’instabilità mentale e da problemi familiari, ha ucciso la ex moglie e altre due persone con cui aveva un contenzioso, trasformando la Bassa padana in un far west e scatenando il panico tra la popolazione per un pomeriggio intero.

Loro sono morti, lui è in carcere (o in cura), il caso è chiuso. Eppure qualche domanda, a distanza di un mese, bisogna porsela: perché, rispetto a tanti uxoricidi, questo è complicato da due elementi che impensieriscono, o almeno dovrebbero farlo.

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Allergia alla Bibbia

D’accordo, la Bibbia non è un testo scientifico: non possiamo dare a ogni sua affermazione in campo medico, astronomico, geologico la valenza di un test a doppio cieco, proprio come non possiamo prendere alla lettera, sul piano cronologico, il libro Giudici, e non possiamo dare un peso teologico a una singola affermazione.

Non possiamo farlo, e dobbiamo dirlo a chiare lettere: la Bibbia, d’altronde, è un testo che ha scopi diversi dall’impartire all’uomo una conoscenza enciclopedica, e proprio leggendolo nell’ottica del suo vero significato – la salvezza dell’uomo, non il suo acculturamento – si può fare luce su apparenti stranezze, contraddizioni, profezie oscure.
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Dimensione etica

Forse hanno ragione i cinesi, che scrivono “crisi” e leggono “opportunità”: non possiamo considerare in termini positivi il dissesto economico degli ultimi due anni e il domino di drammi che ne è seguito, ma non possiamo nemmeno, a guardare con onestà gli sviluppi, non riconoscere che lo scossone è stato inevitabile e necessario per curare un sistema troppo malato, cui non sarebbe bastato a un intervento per quanto drastico (cui nessuno, comunque, avrebbe avuto coraggio e intenzione di mettere mano).

E così il mondo dell’economia, dopo decenni passati nel segno del profitto a ogni costo, ha dovuto fermarsi e riflettere, rivalutare, porsi questioni ineludibili, che si era pensato di poter accantonare tra le anticaglie e che invece si sono rivelate più attuali che mai.

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La dimensione del dovere

Siamo sicuri che la cittadinanza sia la soluzione di tutti i problemi legati alla convivenza multietnica? Ma soprattutto: siamo sicuri di sapere cosa sia la cittadinanza?

Il problema se lo poneva, qualche settimana fa su Sette, Angelo Panebianco, rilevando che «Uno degli errori che si commettono quando si parla di cittadinanza è di enfatizzarne solo la dimensione dei “diritti”». Essere cittadino italiano, secondo questa prospettiva, consente di godere di alcuni diritti garantiti dalla Costituzione e difendibili anche in sede legale.

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