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In partes tres
Confessiamolo: un po’ ci eravamo illusi. Mentre le testimonianze dirette, le domande dei lettori, le prime reazioni al dramma si susseguivano a ritmo continuo sulla nostra scrivania, ci aveva sollevati la notizia di un coordinamento che raccogliesse e aiutasse a ottimizzare l’impegno delle realtà e dei credenti evangelici di fronte al terremoto in Abruzzo. Un coordinamento composto da una quindicina di chiese locali provenienti da varie aree denominazionali, oltre a una missione rilevante e all’Alleanza evangelica, disposte a organizzarsi insieme per servire al meglio i bisogni della gente che ha perso tutto.
Sono bastati pochi minuti per sfatare il mito di un’azione congiunta. Il tempo di ricevere un nuovo comunicato di chi preferiva fare da sé, avvalendosi di competenze specifiche e un’esperienza maturata sul campo. Il tempo di scoprire, poco dopo, che una seconda realtà nazionale di peso aveva deciso di muoversi secondo i propri canali.
Naturalmente abbiamo deciso di non fare distinzioni: l’impegno di fronte a un dramma come questo è sempre benvenuto. Certo, sarebbe davvero amaro scoprire, nei prossimi giorni, che il desiderio di operare per conto proprio potrebbe aver causato sovrapposizioni, doppioni, sprechi.
Non succederà, ne siamo certi, perché la buona volontà e il buonsenso prevarranno, e dall’Alto si metterà una pezza ai nostri limiti. Resta un punto interrogativo. Che, viste le premesse, è destinato a resistere a lungo.
Obiezione, vostro onore
Scrive La Stampa che «Vendere on-line semi di cannabis e materiale per la coltivazione della canapa indiana non istiga all’uso illecito delle droghe, anzi è un’attività protetta dall’articolo 21 della Costituzione per il quale “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. E così la Corte d’Appello di Firenze, rende noto l’associazione dei consumatori Aduc, ha annullato la sentenza di primo grado con cui era stato condannato il gestore di un negozio on-line di semi di cannabis e materiale per la coltivazione come fertilizzanti e bilancini».
Il ragionamento della Corte d’Appello di Firenze è chiaro: vendere semi di canapa è come vendere un coltello da cucina. Peccato che le opportunità di uso pacifico di un coltello da cucina siano numerose, mentre i semi di canapa riportino alla mente – noi, maliziosi – sempre a un uso specifico, che non è propriamente quello terapeutico.
Il sottosegretario Giovanardi si dice “allibito” per la sentenza, che peraltro vanifica un ampio impegno sul fronte della prevenzione e della lotta alle sostanze stupefacenti messo in atto in questi ultimi mesi.
I giudici sono un’autorità, e alle autorità il cristiano è chiamato a sottomettersi; di conseguenza le sentenze vanno rispettate anche quando non piacciono.
Con tutto il rispetto dovuto, quindi, ci permettiamo solo tre innocue obiezioni, lo facciamo perché siamo preoccupati.
L’interpretazione letterale, farisaica (absit iniuria verbis) di una legge comporta l’allontanamento da quello “spirito della norma” il cui rispetto viene indicato dai libri di legge come lo scopo ultimo del giudice.
Perdere di vista questa concezione ed elevare a idolo un singolo articolo non può non turbare l’ingenuo cittadino che, da una corte, si aspetta giustizia, non giurisprudenza.
In secondo luogo è una questione di coerenza: il lunedì ci troviamo a piangere i ragazzi morti in seguito a un incidente causato dall’uso di sostanze stupefacenti; il martedì sentiamo annunciare campagne contro l’uso delle droghe; il mercoledì leggiamo sentenze che, indirettamente, danno alla società un segnale diametralmente opposto, giungendo a usare la Carta costituzionale per giustificare la vendita di prodotti quantomeno sospetti.
A non voler essere malevoli, ci viene da pensare che sia un problema di comunicazione. Per questo sembrerebbe il caso che i poteri – legislativo, esecutivo, giudiziario e chi ha il compito di dare loro applicazione – instaurassero tra loro un sano dialogo.
D’accordo, scherzavamo: probabilmente è un’utopia, stretta tra interessi di parte e chi agiterà lo spettro del pensiero unico; eppure non possiamo fare a meno di pensare che un dialogo aiuterebbe a evitare contraddizioni, equivoci e magari anche sprechi di risorse.
D’altronde non è un mistero per nessuno il fatto che a colpi di leggi non condivise, o di sentenze creative, non si va da nessuna parte.
E forse è davvero il momento di comprendere in quale direzione vogliamo indirizzare questo malandato Paese.