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La vacanza ai tempi della crisi

«Record di italiani in vacanza (15 milioni) e per un periodo più lungo (mediamente 11 giorni, 2 in più rispetto all’anno scorso)»: così scrive Nino Materi sul Giornale.

Pare infatti che, dai primi dati, anche quest’anno la villeggiatura registri un +5%: una tendenza che prosegue dal 2006. Se sono veri i dati commentati dal Giornale, c’è davvero da chiedersi dove sia la crisi.

Naturalmente, a margine delle statistiche, non mancano coloro che anche quest’anno non andranno in vacanza per problemi economici, o le famiglie che limiteranno al minimo le giornate fuori casa, magari avvalendosi della benevolenza di parenti che vivono in zone di vacanza.

Proprio qualche giorno fa una lettrice segnalava che numerose famiglie avevano deciso di non inviare i figli al campo estivo organizzato dalla loro chiesa: per nove giorni erano stati chiesti 235 euro a bambino, ma si sono tutti lamentati che la cifra era troppo alta.

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Giovani di ritorno

Famiglia Cristiana questa settimana dedica un servizio a un interessante fenomeno: si parla delle “sempre più numerose coppie di anziani che si dedicano al volontariato”.

Il titolo è accattivante: “Il pensionato va in missione. Dopo una vita intera dedicata al lavoro, ai figli e ai nipoti, prendono il largo in spirito evangelico e vanno ovunque ci sia bisogno di loro. Magari per aiutare preti amici”.

Si racconta la storia di due “ottantacinquenni, ingegnere elettronico lui, architetto lei, 57 anni di matrimonio, quattro figli e 12 nipoti. Questa coppia ha conservato uno spirito così giovanile da essere stata di recente due volte in Ruanda“.

E poi c’è il 65.enne che racconta: «Sulla soglia della pensione, dopo una vita lavorativa intensa, con un gruppo di amici ci siamo chiesti: “E adesso cosa facciamo?”. Abituati a girare il mondo per lavoro, abbiamo continuato a farlo a nostre spese per gratuità, senza inventarci niente, solo rispondendo ai bisogni che ci siamo trovati davanti».

L’ex direttore della Sea, «da sempre impegnato nella sua società a ottenere spedizioni a costo zero di generi di prima necessità in Kazakhstan, oggi che è in pensione ha “adottato”, insieme all’amico Scarfone, una trentina di giovani kazaki, organizzando corsi in Italia per manager, così da favorire poi la nascita di un’imprenditorialità locale».

E poi un ex dirigente HP, che sta portando avanti progetti «fuori dagli schemi e riflettono l’imprevedibilità della vita e degli incontri: una scuola in Cile per 150 ragazzi disabili, corsi professionali alla periferia di Nairobi, la clinica per malati terminali».

Infine un ex amministratore delegato che spiega come «L’opera che più mi ha entusiasmato è stata in Uganda, dove siamo riusciti a collegare in rete 46 centri medici sparsi in tutto il Paese con l’ospedale centrale di Kampala».

Insomma: anziani, ma per niente fuori dai giochi. Persone che hanno visto il ritiro dalla scena lavorativa come una nuova sfida, e non come una sconfitta.

Nessun sintomo di depressione, ma tante energie e il desiderio di spenderle nel modo migliore: mettendo a disposizione i propri talenti di amminsitratori, le proprie competenze, i propri ex contatti professionali in maniera disinteressata per il bene degli altri.

Quant’è diversa l’immagine di questi giovani di ritorno da quella del classico pensionato disteso sul divano, che macina talk show e reality, chiama per nome i conduttori, si appassiona alle gesta dei corteggiatori televisivi, si commuove di fronte alle lacrime preconfezionate dei postini catodici.

Temiamo di conoscerne più di qualcuno, purtroppo. E allora vorremmo proporre un ulteriore impegno a chi ha saputo mettere la propria vita post-lavorativa al servizio degli altri: non limitatevi ad aiutare chi ha bisogno, ma siate testimoni di ciò che si può fare a fine carriera; raccontate sogni e opportunità ai tanti pensionati che tirano sera senza uno scopo.

Date una vera speranza a quanti vedono in una chiave egoistica e limitata il loro “meritato riposo”.

Fatelo, per favore, e non sentitevi sminuiti: anche questo, in fondo, è dare al prossimo un futuro migliore.

Fine e principio

Siamo arrivati al 31 dicembre. E, come ogni anno, viene spontaneo lanciare uno sguardo a quello che è successo nel corso dell’anno che si sta concludendo.

Lo abbiamo fatto stamattina in onda, come nostra abitudine, sfogliando le notizie di evangelici.net, che nel suo piccolo ormai da cinque anni segue l’impegno di informare i cristiani su quello che avviene nel mondo e, in tutto o in parte, li riguarda.

Come ogni anno, il 2008 non fa eccezione: fatti tristi, drammatici, penosi si alternano a situazioni gioiose, positive, costruttive che offrono buone speranze per il futuro. Non possiamo non cominciare ricordandoci dei nostri fratelli che soffrono. E il 2008, come gli anni precedenti, ha visto un continuo, martellante assalto alla libertà di espressione e di culto dei cristiani nel mondo.

Un mondo piccolo, accomunato dalla persecuzione. Già a gennaio piangevamo i cinquanta cristiani morti in Kenia a seguito dell’incendio della loro chiesa, e la situazione non è per niente migliorata con il passare dei mesi, con una lunga fila di tragedie e persecuzioni dalla Nigeria all’Iraq, dall’Iran alla Cina, dalle Filippine all’Arabia Saudita, dall’India al Bangladesh, per citare solo alcuni dei Paesi interessati. Ma potremmo estendere l’elenco anche alla civilissima Milano, dove una chiesa viene regolarmente vessata dai vandali, e solo a distanza di anni comincia a vedere un intervento da parte delle autorità.

Non sono mancate anche le buone notizie. Abbiamo assistito alle testimonianze pubbliche di personaggi noti, sportivi in primo luogo, ma anche artisti: Ornella Vanoni, per esempio, nel cinquantenario del suo esordio musicale, ha avuto occasione di parlare ampiamente della sua fede e del suo rapporto con Dio. Ma anche il giornalista Magdi Allam e il leader pentito delle “Bestie di Satana”, Andrea Volpe.

Tra tante notizie distorte in relazione alla fede cristiana e al mondo evangelico non sono mancate alcune soddisfazioni: a livello nazionale si sono visti servizi televisivi su chiese e gruppi musicali; sul piano internazionale non si può non ricordare con soddisfazione l’ampio spazio dato a Rick Warren per la sua intervista doppia con Obama e Mc Cain, sfociata poi nell’invito del pastore alla cerimonia di insediamento del nuovo presidente.

Molto più in piccolo è capitato anche a noi di evangelici.net l’occasione di parlare di Dio in diretta a Chi l’ha visto, in occasione di una triste vicenda di cronaca nera cui – purtroppo – ancora non si è giunti a capo.

Abbiamo dimenticato sicuramente più di qualcosa, ma dobbiamo fermarci qui, per non rischiare di sforare nel 2009.

Perché ormai ci siamo: tra poche ore saremo tutti, o quasi tutti, intenti a festeggiare il nuovo anno che viene.
Non dimentichiamoci di rimanere responsabili, sobri, esemplari nel nostro comportamento. Di essere degni figli di degno Padre.

E poi, una volta smaltite le ore di sonno rimaste in sospeso, cominciamo bene il 2009.
Non dimentichiamoci di chi soffre. Come abbiamo visto non sono pochi, nel mondo, a subire privazioni e vessazioni a causa della loro fede: che, è bene ricordarlo, è anche la nostra fede.

Non dimentichiamoci di chi ci sta attorno: il mondo ha perso di vista i suoi valori, i suoi principi, i suoi punti di riferimento. Ed è disorientato, stanco, disilluso. Ha fame, sete di qualcuno che possa dargli una speranza. Quel qualcuno siamo noi: perché non siamo stati posti a caso nella città, nella cerchia di amicizie, nella posizione (professionale, umana, politica) in cui ci troviamo.

Non dimentichiamoci che la fede nasce e si rafforza nel rapporto quotidiano, costante, intimo con Dio. Dio ci ama come siamo, ma ci vuole per sé. Sta a noi impegnarci in questa sfida per essere più vicini a lui, consapevoli che è il meglio per noi.

Non dimentichiamoci che viviamo nel 2009. E il 2009 non è il 1959. E nemmeno il 1979 o il 1999. Non cambia solo il modo di vestire, il colore di moda, i tormentoni musicali.
Ogni anno ha il suo linguaggio, i suoi mezzi di comunicazione, i suoi modi e strumenti. Il nostro messaggio è sempre lo stesso: c’è speranza in Gesù Cristo. Ma dobbiamo comunicarlo a persone diverse rispetto a dieci anni fa. Forse più deluse, forse incattivite. O forse più furbe, più colte, più preparate. In ogni caso, diverse.

Non trattiamo il 2009 come un anno qualsiasi. Sarà un anno importante, nel bene e nel male. Lo sarà perché siamo chiamati a farlo diventare importante. Non perdiamo il tempo che ci resta, sia poco o tanto. Non perdiamo le opportunità che abbiamo. Non sprechiamo i talenti, i doni su cui possiamo contare. Diamoci da fare. Che il 2009 sia un anno di impegno cristiano senza riserve, di intensa comunione – perché solo insieme si possono ottenere risultati -, di solidarietà, di riflessione, di onestà intellettuale. Per comprendere il punto a cui siamo arrivati, per riconoscere i nostri limiti e, con l’aiuto di Dio e dei nostri fratelli, superarli. Che il 2009 sia davvero tutto questo.

In questo caso sarà, davvero, un buon 2009.

Buona fine e buon principio a tutti. A chi festeggia, a chi riposa, a chi lavora. A chi spera e a chi prega. A chi si affida a Dio con tutto il suo cuore, e a chi sta imparando a farlo.

Noi ci fermiamo qui. Speriamo di avervi fatto buona compagnia. Anche scomoda, a volte, richiamando all’impegno cristiano e alla coerenza. Tutto quello che abbiamo fatto e detto, lo abbiamo fatto e detto con il cuore. Speriamo che sia servito.

Dio vi benedica.

Benedetti imprevisti

Com’è strana la vita. Ricorderemo il 2008 anche (o soprattutto?) per le immagini della drammatica crisi economica scoppiata negli USA: giovani yuppies escono mestamente, con uno scatolone in mano, da aziende che fino a poche settimane prima sembravano solidissime, e che in pochi giorni sono crollate miseramente lasciando sgomenti investitori e dipendenti.

Una consolazione per questi giovani rampanti è che negli USA la flessibilità nel mondo del lavoro è qualcosa di serio, non come da noi: chi è valido trova presto un nuovo posto, e riprende il discorso con nuove prospettive.

Di fronte a un trauma come quelli recenti, più di qualcuno ha pensato di cambiare vita. Panorama, per esempio, racconta la vicenda di Victor Miller, un credente evangelico impegnato come analista finanziario del settore dei media presso la Bear Stearns: quando ha perso il lavoro ha deciso «di farsi guidare dalla fede»: è diventato uno dei responsabili di GodTube, definito come «una sorta di YouTube del mondo cristiano».

«La fine della Bear Stearns – ha dichiarato – è stata come un lungo funerale, ma ogni perdita nasconde un’opportunità: per me si tratta della possibilità di conciliare le mie competenze lavorative con la mia fede cristiana».

E allora viene da pensare. Viene da pensare come troppi cristiani, anche coerenti nella loro vita di fede, non trovino il tempo di mettere le proprie competenze al servizio di Dio. Probabilmente vorrebbero, magari per qualcuno “sarebbe un sogno” poterlo fare.

Si sa, un professionista lavora 18 ore al giorno e poi c’è la famiglia, la vita di chiesa, un po’ di relax. Dove trovare il tempo per rendersi utili in base alle proprie competenze?

Eppure ce ne sarebbe bisogno. Eccome: sarebbe stato bello, in occasione di questa tempesta finanziaria, un commento stilato da qualche broker con un’etica evangelica, capace di spiegarci non solo come siamo arrivati fin qui, ma come possiamo uscirne cristianamente.

Sarebbe stato interessante, di fronte alle polemiche su staminali, morte assistita, testamento biologico, sentire una voce cristiana autorevole diversa, capace di dare una prospettiva evangelica su temi che ci coinvolgono, ci interrogano, ci lasciano perplessi.

Sarebbe stato interessante trovare professionisti validi, capaci di interpretare e presentare al meglio l’impegno di tante realtà evangeliche italiane, che per ingenuità o inconsapevolezza non sanno valorizzare il proprio lavoro.

Sarebbe stato interessante vedere un’azione comune, forte, mirata degli atleti cristiani per dare una risposta efficace alle tante domande esistenziali, morali, umane dei loro giovanissimi fan.

Sarebbe stato interessante questo, e molto altro. Eppure siamo tutti troppo impegnati.

Non possiamo farcene una colpa, è la vita: quella stessa vita che, ogni tanto, con un colpo di mano imprevisto ci lascia spiazzati, soli, improvvisamente liberi.

Liberi di scegliere se disperarci per quel che abbiamo perso, recriminando verso Colui cui dobbiamo tutto, oppure cogliere l’opportunità e mettere finalmente a disposizione degli altri i nostri talenti per creare un nuovo valore: un valore non soggetto ai rovesci della Borsa.

Un valore stabile. Anzi, in costante crescita.

Talenti impensati

Enrico Franceschini su Repubblica racconta la storia della “vecchietta che cura il mondo con le e-mail”.

Si tratta di una nobildonna inglese che va per la settantina, lady Swinfen, che è in costante contatto da un lato «con una rete di 382 esperti in ogni campo della medicina, tra cui alcuni dei migliori specialisti che si possono trovare in Gran Bretagna, negli Stati Uniti, in Australia, Canada e Nuova Zelanda»; dall’altro con ospedali di «oltre cento paesi, dal Laos alla Lituania, dall’Africa all’America Latina».

In pratica la signora svolge un prezioso ruolo di smistamento. Molte volte, negli ospedali di tutto il mondo, ci si ritrova tra le mani qualche caso particolare, raro, per il quale sarebbe necessario il consulto medico di un luminare. Per gli ospedali dei paesi tecnologicamente più avanzati è semplice, basta un colpo di telefono o una videoconferenza. Ma per gli altri?

Ecco che interviene lady Swinfen: quando un ospedale secondario, sperduto in qualche parte del mondo fuori dalle rotte mediche più battute, ha bisogno di un consulto, si rivolge alla gentile signora, inviando i dettagli, la diagnosi, le analisi. La signora a sua volta smista il caso e il materiale a uno dei trecento medici, ovviamente a quello con la specializzazione più opportuna in relazione al caso specifico, e questo nel giro di qualche ora si impegna a dare un responso. Che, oltre a essere tempestivo, è gratuito.

«All’ inizio – spiega Repubblica – offrivano contatti con specialisti britannici soltanto a due ospedali del Nepal e uno delle isole Solomon, ma ben presto il giro dei loro pazienti si allargò a dismisura», tanto che lady Swinfen e suo marito non hanno più una vita sociale, né vanno in vacanza: ogni giorno piovono nelle loro caselle di posta elettronica decine di casi da risolvere, ovviamente, quanto prima.

Un progetto semplice, banale, a basso costo: quindi un progetto ideale. Anche troppo: «Era un’idea così semplice che non ci aveva pensato nessuno», spiega candidamente la signora.

Supponiamo che Lady Swinfen non fosse un’esperta di reti elettroniche, né un luminare della medicina: eppure, con pochissimi mezzi, è riuscita a creare un sistema che fino a oggi ha salvato la vita a quattrocento persone in dieci anni, e chissà quante altre potranno cavarsela grazie a questa interfaccia telematica tra medici esperti e pazienti lontani.

La storia è edificante. E potremmo dedicarla a tutti coloro che non credono di poter fare granché per gli altri, o temporeggiano in attesa di capire in quale maniera potrebbero mettere i loro talenti a disposizione del prossimo. La vicenda di lady Swinfen testimonia come a volte anche competenze limitate possano dare vita a grandi progetti, o possano venir messe a frutto nell’ambito di strutture che nemmeno sospettiamo abbiano bisogno di noi. Lady Swinfen ha visto un bisogno e si è attivata con quello che aveva.

Come cristiani non possiamo non credere che le nostre competenze, le nostre esperienze, i nostri talenti, le nostre conoscenze abbiano uno scopo benefico. Talvolta non siamo in grado di definirlo con precisione, ma non sarebbe eticamente corretto aspettare di trovarlo prima di mettersi all’opera. E, tantomeno, smettere di cercarlo.