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Si può dare di più

I Salwen sono una classica famiglia americana, di quelle che i film hanno reso un simbolo degli Stati Uniti: padre, madre, due figli (ovviamente maschio e femmina), una villa comoda con quattro stanze e altrettanti bagni, e poi il giardinetto, un’auto confortevole e tutto il resto.

In questo resto era compresa anche una vita da buoni cristiani, di quelle che noi dovremmo guardare sentendoci inadeguati: facevano beneficenza, il padre organizzava aste di abiti usati per raccogliere fondi da dare ai poveri, i figli svolgevano ore di volontariato (da noi, invece, se un figlio si propone di dedicare tempo ai bisognosi, perfino il cristiano più maturo è tentato di replicare: “cosa ci guadagni?”. Segno che la cultura materialistica forse è un problema più marcato di quanto vorremmo credere).

Insomma, come sopra: la classica famiglia americana. Fino a quando una domanda ha attraversato la loro mente e (soprattutto) la loro vita.

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L’evoluzione della fedeltà

Qualche mese fa La Stampa scriveva di un sito web francese nato con l’esplicito scopo di organizzare tradimenti: le condizioni per iscriversi al servizio, infatti, comprendevano solo “essere sposati e desiderare un’esperienza extraconiugale“.

Il consueto esperto chiamato in causa per giustificare l’ingiustificabile spiega che «il sito conferma la tendenza delle coppie a essere sempre più flessibili. Si va sempre più verso la poligamia».

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Giuda, il gatto e la volpe

Lunedì scorso a “Chi vuol essere milionario” è andata in onda l’ennesima testimonianza della drammatica condizione in cui versa, nel nostro Paese, la cultura biblica.

La domanda era “Cosa fece Giuda iscariota dei soldi presi per tradire Gesù?”; le possibili risposte, “Comprò un campo dove si impiccò”, “Li sotterrò”, “Li diede a un povero”, oltre alla corretta “Li restituì”.

La concorrente di turno ha optato per la seconda opzione, mentre gli sfidanti, interpellati, non sono andati oltre l’improbabile ipotesi dell’acquisto di un campo.

Insomma, nessuno sapeva che Giuda restituì, peraltro in maniera drammatica, i trenta denari frutto del suo tradimento.

Davvero desolante pensare che gli italiani confondano i vangeli con Pinocchio.

Tradimenti sdoganati

Per carità: ogni giornale è libero di esprimere il proprio pensiero, e di connotare le notizie come meglio crede. Il lettore, da parte sua, è libero di riconoscere queste inclinazioni e di scegliere se avvalersi o no di quello strumento per la sua informazione quotidiana.

Insomma: se un giornale non mi piace, non sono obbligato a leggerlo.

La premessa è doverosa di fronte a un articolo uscito oggi su Repubblica, dove si parla di adulterio. Fino a oggi abbiamo sentito definire il tradimento come un dramma che rischia di compromettere la relazione di coppia e far crollare una famiglia, con ripercussioni psicologiche e sociali sia per i coniugi, sia per gli eventuali figli.

E invece, guarda un po’, Repubblica scopre che l’adulterio non è poi così tetro come lo si dipinge. Anzi: può essere perfino terapeutico. Chiaro fin dal titolo: “La scappatella? È anti-stress”.

Si comincia con una presunta consolazione per i fedifraghi: «Solo tre coppie su dieci sarebbero fedeli, secondo le ultime statistiche». Ah be’, viene da pensare: allora in fondo non sono così crudele se per caso mi capita. La società non si crea problemi di fronte a una relazione extramatrimoniale, e poi i colleghi parlano solo di quello; se ci mettiamo anche le statistiche accondiscendenti, il gioco è fatto.

D’altronde «Siamo un popolo di fedifraghi e l’adulterio appare ormai come una pratica igienica, spogliata di ogni senso di colpa». Ecco sdoganato il tabù.

E poi è «Un’abitudine accettata. In Italia l’adulterio non è più la ragione principale per cui ci si lascia». In fondo ci sono cose più gravi, come “le incompatibilità caratteriali”. E poi ci chiediamo come mai i matrimoni oggi non reggono più.

Non manca qualche istruzione per l’uso: «Gli italiani tradiscono soprattutto in pausa pranzo. Almeno un adulterio su tre, infatti, viene consumato fra mezzogiorno e mezzo e le due e mezzo del pomeriggio».

Se siete nella categoria degli irriducibili e tentennate perché vi assale ancora qualche senso di colpa, c’è una soluzione anche per voi: «Il nuovo adulterio ai tempi di Facebook è quello che potremmo definire light». Viene citata Maria Rita Parsi che afferma «Sono tradimenti mordi e fuggi, leggeri, poco impegnativi. C’è una presa d’atto che tanto nel matrimonio tutti tradiscono tutti. E così ci si imbarca in piccole storie collaterali vissute per autogratificarsi, che in genere non mettono in discussione e in vera crisi la famiglia». Come dire, niente di grave: una piccola divagazione sul tema.

Se poi non siete ancora convinti, sembra dire Repubblica, fatelo per la salute: veniamo informati che “sempre più sessuologi” disquisiscono di «”adulterio terapeutico che fa bene all’armonia della coppia”. Da scandalo a motivo di vanto, una trasgressione veniale, sdoganata, derubricata. Quasi un diritto, un’opportunità per esprimersi, in certi casi per risarcirsi, basta scorrere le varie poste del cuore».

Non vi fermi l’idea che, con i tempi che corrono, sia meglio la stabilità: Repubblica precisa che «Crisi e recessione non sembrano influire nel ritmo dei tradimenti. Una pratica sempre più capillare».

Magari abbiamo capito male. Magari la collega voleva mettere in luce una tendenza lanciando un allarme. Eppure non riusciamo davvero a cogliere toni di condanna, né sul piano sociale, né su quello familiare. Tanto che di valori nemmeno si parla: ci si limita ad affastellare commenti, pareri, statistiche più o meno compiacenti, con qualche venatura moraleggiante qua e là, ma incapaci di creare un vero contraddittorio rispetto al tema.

E allora talvolta viene da chiedersi se i media si limitino a raccontare la società, o se la società venga condizionata dai media.

Modernità fraintese

Anche se mio padre e mia madre mi abbandoneranno, il Signore mi accoglierà. Colpisce come un pugno allo stomaco la citazione dai Salmi incisa su una lapide posta sul muro esterno di un ospedale ottocentesco. Si indovina facilmente che, appena sotto, quella fessura murata e pietosamente nascosta alla vista ospitava, cent’anni fa, una “ruota degli esposti”.

Uno strumento figlio di un’epoca ben diversa dalla nostra, ma che è tornato sotto i riflettori in questi anni. Ultimo in ordine di tempo, anche l’ospedale San Gerardo di Monza ripropone la ruota degli esposti: si tratterà naturalmente di una versione aggiornata, dove una culla termica e dotata di sensori sostituirà il piano di legno grezzo e la campanella che accoglieva i neonati abbandonati nell’Ottocento.

Strano pensare che oggi, nel ventunesimo secolo, ce ne sia bisogno. In una società che si vanta della sua apertura mentale, dove è vietato dare regole, dove non è lecito scandalizzarsi per non passare subito per bacchettoni. Una società dove i matrimoni combinati non esistono più, non esistono barriere di classe, dove non viene negata a nessuno una seconda possibilità; una società post-matrimoniale, sentimentalmente disinibita, senza limiti e confini, dove l’unico limite alla casistica delle unioni è l’immaginazione dei suoi componenti.

Una società dove la parola adulterio ha perso il suo significato di fronte alla coppia “progressista” (secondo il termine usato qualche anno fa da un regista, tradito, che si beffava della fedeltà coniugale), dove i figli naturali, nati fuori dal matrimonio, stanno raggiungendo i figli legittimi (anzi, suona strano che questi ultimi si chiamino ancora così).

Una società dove si può partorire e rifiutare il riconoscimento del neonato, senza nemmeno il fastidio di cercare una motivazione.
Una società dove non ci si crea problemi ad allevare in famiglia i figli avuti insieme, quelli di lei, quelli di lui. Una società dove le relazioni interpersonali si incrociano, si perdono, si ritrovano e si mescolano in un crogiolo sentimental-televisivo a metà tra la vita e il reality show.

Eppure proprio questa nostra società, così libera e realizzata, abbandona i neonati: proprio come quando l’adulterio era un marchio d’infamia e una gravidanza fuori del matrimonio una vergogna.

Come una volta, o peggio: almeno nell’Ottocento si aveva la cura di affidarli alla pubblica pietà, o a un monastero, anziché abbandonarli per la strada in pieno inverno o posarli, con un gesto tra i più orrendi per il suo significato intrinseco, in un cassonetto.

È difficile non rilevare l’assurdità di una società come la nostra, da un lato sempre così sensibile di fronte ai diritti umani, dall’altro capace di inculcare un tale disprezzo della vita.

Una società tecnologica ed emancipata, globalizzata ed ecologica, luminosa e proiettata verso il futuro.

Una società convinta di aver superato i fantasmi del passato, e che invece non ha mai perso il suo cuore di tenebra.