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Un papà vero
“Una mamma chiamata papà” è il titolo di un servizio che la Stampa, oggi, dedica a un “boom silenzioso”: sono sempre di più i papà che ottengono dal tribunale l’affido dei figli. Nel 2008 erano già 350 mila i minori cresciuti dal padre.
Non saranno padri «sereni come quelli che, ogni giorno, si vedono sorridere nelle pubblicità, in tv, a mangiare allegri attorno a un tavolo, accanto ai figli», ma ci sono e si impegnano ogni giorno nel loro nuovo ruolo.
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Grammatica e pratica
Sono giovanissimi, educati, vestiti sobriamente, con l’aria da bravi ragazzi. Li si riconosce da lontano: pantaloni scuri, camicia chiara, capelli corti, zaino nero, aria da americano yes-we-can. E, a distinguerli, un cartellino appuntato sul petto con nome, cognome e carica.
Sono i missionari mormoni, che vediamo girare nelle nostre città e, con garbo, avvicinarsi per raccontarci della loro fede e della loro dottrina. Non sempre, a dire il vero, sanno affrontare al meglio il contesto culturale italiano, ma ci provano sempre, con le armi che la scuola biblica ha dato loro e, quando non basta, con una dose di impegno pratico che va dai corsi d’inglese alle ripetizioni per studenti.
Qualcuno, forse, si sarà chiesto che fine facciano questi ragazzi una volta tornati in patria: anche se i mormoni sono una realtà numerosa, sarebbero comunque troppi per impegnarsi come responsabili di chiesa.
E allora? Il mistero è stato svelato sabato in un servizio sulla Stampa: «In gioventù i mormoni hanno l’obbligo di servire per almeno 24 mesi nelle missioni in giro per il mondo», un’esperienza che consente loro di imparare e raffinare le strategie comunicative fino a diventare ottimi venditori.
La Pinnacle Security, racconta il quotidiano, ha successo grazie a «prodotti competitivi, ma anche a una straordinaria rete di vendita diffusa su tutto il territorio americano e gestita sovente da ex missionari che mettono le esperienze maturate con la fede al servizio del business».
«È una missione trasformata in lavoro», spiega uno degli ex missionari che «come molti dei suoi colleghi si è fatto le ossa professando il suo credo, parla tre lingue, e ha sviluppato una capacità di convincimento degna del più abile negoziatore… Durante le missioni si apprendono vere e proprie tecniche di comunicazione» e «alcuni fondamenti validi in ogni situazione».
L’esempio mormone è una lezione utile.
Non sono in pochi a essere convinti che bastino la teoria e la conoscenza biblica per raggiungere le persone con il messaggio di speranza del vangelo. Hanno le loro risposte preconfezionate, che prescindono dalle possibili domande dell’interlocutore, e che si rifanno sempre agli stessi temi, alle stesse citazioni bibliche, e perfino allo stesso linguaggio. Un monologo dai toni passatisti che, comprensibilmente, non coinvolge troppo la controparte, e talvolta perfino la irrita.
Se provate a obiettare a questi evangelisti retrò che sarebbe opportuno adattarsi al contesto in cui vivono, risponderanno che “il messaggio del vangelo non cambia”. Questo, nella loro prospettiva, li autorizza a usare lo stesso linguaggio aulico di Luzzi, e talvolta perfino gli arcaismi di Diodati.
Ma solo quando parlano di Dio, ovviamente. Non certo al supermercato, in ufficio, a casa. Il tono formale scatta solo in certe specifiche occasioni.
Per il resto, curiosamente, quelle stesse persone non disdegnano di impegnarsi a usare i termini più corretti per rendere interessante un annuncio sul giornale, o di usare la formula più efficace per convincere l’assemblea condominiale.
A quanto pare solo quel vangelo che sta tanto a cuore non può giovarsi di questo privilegio: il privilegio della comprensibilità.
E dire che la società avrebbe bisogno di una risposta e, in fondo, sta solo cercando qualcuno che gliela sappia presentare in maniera comprensibile. I mormoni, nel loro piccolo, qualcosa hanno capito.
Quella radio fastidiosa
Ascoltare la radio a un volume troppo alto disturba gli altri, a prescindere dai contenuti. Se poi si tratta di una radio di ispirazione cristiana, dove i contenuti risultano piuttosto scomodi, la questione può degenerare e finire in tribunale. Oppure a Forum, il programma di Canale 5, come è capitato mercoledì 28 a un giovane foggiano, tale Grant, trascinato davanti al giudice (non era Santi Licheri, purtroppo) dalla collega Arianna, che lavora nel suo stesso ufficio ed è stufa di doversi sorbire ogni giorno i programmi di un’emittente evangelica «che trasmette esclusivamente programmi mirati al proselitismo», sparati a tutto volume.
Naturalmente il giudice Francesco Riccio, con ragionevolezza, ha riconosciuto in via preliminare che il diritto di professare liberamente la propria religione rientra «tra i diritti inviolabili della persona previsti dalla Costituzione»; riconosce tale diritto a tutti i cittadini, «facendo eventualmente anche opera di proselitismo»; lo statuto dei lavoratori, ha ricordato poi, riconosce inoltre il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero sul posto di lavoro.
Dall’altra parte, però, la legge riconosce il diritto di non professare nessuna fede e di non ricevere «alcun indottrinamento religioso», dato che «l’atto di fede è, per sua natura, libero e volontario».
Per questo il giudice ha accolto la richiesta della ragazza, e disposto che Grant riduca, «entro i limiti della normale tollerabilità, l’ascolto ad alto volume dei suoi programmi radiofonici».
Una sentenza decisamente equa, nulla da dire, che comunque solleva almeno un paio di riflessioni.
Da un lato viene da chiedersi se Arianna, o chi per lei, si sarebbe lamentata allo stesso modo in caso la stazione ascoltata da Grant fosse stata una radio secolare, e avesse quindi trasmesso la voce di Gerry Scotti, Federico l’olandese volante, Linus al posto di quella di Èlia Xodo, Maria Spinelli, Ellero Balzani. Il problema molto probabilmente erano i contenuti, non il volume.
Dall’altro lato potremmo interrogarci su quanto valida sia la testimonianza cristiana di un credente che, ovviamente in perfetta buona fede, disturba i suoi colleghi. Con qualcosa di pulito e magari utile, ci mancherebbe: ma facendo comunque la figura del vicino importuno, del Ned Flanders di simpsoniana memoria, che va oltre i limiti e diventa lo zimbello del paese senza nemmeno rendersene conto, e rallegrandosi anzi per la “persecuzione” che gli porta il suo atteggiamento asfissiante.
Non cadiamo nello stesso equivoco, perdendo il senso della misura. L’esempio concreto deve venire prima del messaggio, e dimostrare la propria fede deve essere sempre prioritario sul comunicarla.
Altrimenti potremo alzare il volume quanto vorremo, ma senza riuscire a raggiungere il nostro scopo.