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Tutta salute
Che un divorzio non sia una passeggiata è evidente. Che rischi di provocare danni psicologici (oltre che economici) è altrettanto riconosciuto. Finora però nessuno aveva azzardato l’ipotesi che facesse anche male alla salute.
E invece pare sia così: un team dell’università di Chicago ha riscontrato che il divorzio aumenta le possibilità di ammalarsi. Presi in esame 8.652 persone tra i 51 e i 61 anni, si è verificato che «i soggetti con un matrimonio fallito alle spalle soffrono di malattie croniche (compresi cancro e problemi cardiaci) mediamente con un’incidenza del 20 per cento in più rispetto a quanti invece non si sono mai sposati».
Quelle verifiche latitanti
Viviamo tempi in cui ci si deve sorprendere per l’ordinario. Per questo non possiamo astenerci da un plauso ai colleghi di Avvenire, che hanno fatto qualcosa di straordinario per i nostri tempi: il loro lavoro. Come ogni buon giornalista dovrebbe fare, hanno controllato le fonti delle notizie.
Raro? Abbastanza. Sarà per la fregola di stare sulla notizia, per la fretta di chiudere il giornale senza “bucare” qualche avvenimento per troppo scrupolo, sarà per la pigrizia mentale cui ci hanno abituato le agenzie di stampa (che ci illudiamo controllino tutto al posto nostro prima di proporci un lancio), la conseguenza è evidente: le notizie passano senza conferme anche quando non ci sono elementi di urgenza tali da giustificare una fuga in avanti.
Quelle "giornate" poco condivise
Repubblica racconta l’idea di un pubblicitario francese, Vincent Tondeux, si è preso la briga di raggruppare tutte le “Giornate mondiali” attualmente in vigore nel corso dell’anno: si va dalle commemorazioni più significative come la Giornata del ricordo (27 gennaio), a iniziative settoriali come la giornata dei blog (31 agosto) fino a quelle più effimere e inutili come la festa della risata (3 maggio).
Un lavoro per niente banale, che «è stato complicato – ha confessato l’autore – dalla necessità di verificare se quelle che si proclamavano “giornate mondiali” non diventavano poi il raduno in salotto di pochi entusiasti».
Nonostante la sfoltita delle giornate mondiali meno credibili, nell’elenco ne sono rimaste ben 190, alcune delle quali cadono addirittura nella stessa giornata.
Tra gli affezionati delle giornate mondiali c’è in prima posizione l’ONU, che ne ha istituite una novantina; «dopo l’Onu e le sue agenzie, sono le chiese le più attive nel promuovere le giornate mondiali, poi le ong, le associazioni, i sindacati professionali e infine i semplici cittadini».
La quantità spesso fa a pugni con la qualità. Le Giornate mondiali sono nate con il nobile intento di sensibilizzare le società su temi rilevanti; con il tempo se ne sono aggiunte altre, superflue e di dubbio interesse globale.
Non basta istituire una giornata mondiale per dare visibilità a un’iniziativa: serve la capacità mediatica di promuoverla, la sensibilità organizzativa nel coinvolgere tutte le realtà interessate al tema, la disponibilità a non considerarsi depositari di un’esclusiva.
Scoprire che le chiese cristiane sono tra le realtà più attive nell’istituzione di Giornate mondiali fa riflettere. Allargando il discorso, l’anno solare è tempestato di commemorazioni, convegni, incontri, raduni, manifestazioni, iniziative, campi di ogni genere e per ogni platea.
Naturalmente quasi tutte le iniziative in questione risultano formalmente “nazionali”, senza che però questo comporti una significativa partecipazione di cristiani provenienti da diverse aree d’Italia, né la collaborazione di realtà cristiane diverse tra loro, nemmeno quando sarebbe verosimilmente possibile e, magari, auspicabile.
Sicuramente organizzare in proprio una giornata mondiale, o un convegno “nazionale”, è più comodo. Viene da chiedersi se abbia senso in termini di presenze, di visibilità, di risultati. E anche di opportunità.
D’altronde se nemmeno i cristiani riescono più a vedere il valore della condivisione (o, per dirla biblicamente, della comunione), c’è da chiedersi chi potrà farlo.
Quelle “giornate” poco condivise
Repubblica racconta l’idea di un pubblicitario francese, Vincent Tondeux, si è preso la briga di raggruppare tutte le “Giornate mondiali” attualmente in vigore nel corso dell’anno: si va dalle commemorazioni più significative come la Giornata del ricordo (27 gennaio), a iniziative settoriali come la giornata dei blog (31 agosto) fino a quelle più effimere e inutili come la festa della risata (3 maggio).
Un lavoro per niente banale, che «è stato complicato – ha confessato l’autore – dalla necessità di verificare se quelle che si proclamavano “giornate mondiali” non diventavano poi il raduno in salotto di pochi entusiasti».
Nonostante la sfoltita delle giornate mondiali meno credibili, nell’elenco ne sono rimaste ben 190, alcune delle quali cadono addirittura nella stessa giornata.
Tra gli affezionati delle giornate mondiali c’è in prima posizione l’ONU, che ne ha istituite una novantina; «dopo l’Onu e le sue agenzie, sono le chiese le più attive nel promuovere le giornate mondiali, poi le ong, le associazioni, i sindacati professionali e infine i semplici cittadini».
La quantità spesso fa a pugni con la qualità. Le Giornate mondiali sono nate con il nobile intento di sensibilizzare le società su temi rilevanti; con il tempo se ne sono aggiunte altre, superflue e di dubbio interesse globale.
Non basta istituire una giornata mondiale per dare visibilità a un’iniziativa: serve la capacità mediatica di promuoverla, la sensibilità organizzativa nel coinvolgere tutte le realtà interessate al tema, la disponibilità a non considerarsi depositari di un’esclusiva.
Scoprire che le chiese cristiane sono tra le realtà più attive nell’istituzione di Giornate mondiali fa riflettere. Allargando il discorso, l’anno solare è tempestato di commemorazioni, convegni, incontri, raduni, manifestazioni, iniziative, campi di ogni genere e per ogni platea.
Naturalmente quasi tutte le iniziative in questione risultano formalmente “nazionali”, senza che però questo comporti una significativa partecipazione di cristiani provenienti da diverse aree d’Italia, né la collaborazione di realtà cristiane diverse tra loro, nemmeno quando sarebbe verosimilmente possibile e, magari, auspicabile.
Sicuramente organizzare in proprio una giornata mondiale, o un convegno “nazionale”, è più comodo. Viene da chiedersi se abbia senso in termini di presenze, di visibilità, di risultati. E anche di opportunità.
D’altronde se nemmeno i cristiani riescono più a vedere il valore della condivisione (o, per dirla biblicamente, della comunione), c’è da chiedersi chi potrà farlo.
Certezze illogiche
I greci la chiamavano “ubris”: era la tracotanza di chi si voleva elevare al livello della divinità (e per questo veniva punito).
La ubris torna in mente di fronte alle parole granitiche, senza la scalfitura del benché minimo dubbio, dello psicoterapeuta Fulvio Scaparro. Intervistato dal Corriere per commentare la vicenda di Stella, bambina nata in questi giorni dal seme paterno congelato 22 anni fa, Scaparro non lascia spazio a obiezioni: «La storia di Stella? Una notizia splendida. Un successo della scienza che non avrà conseguenze psicologiche negative sulla bambina».
Ne è sicuro, nonostante si tratti del primo caso di questo genere, perché «Stella è nata da due genitori che la desideravano. Ed è questo a contare».
La scienza è una materia in continua evoluzione: sviluppa conoscenze, testa risultati, sperimenta soluzioni. Supera ogni giorno i suoi limiti, e questa continua marcia all’avanguardia dell’umanità porta a esplorare campi ancora sconosciuti, a sondare reazioni incognite, in un incrocio continuo tra scienza, società, fede.
Per questo lascia perplessi, e forse un po’ angosciati, sentire uno scienziato esprimersi con tanta certezza. Le certezze ce le aspettiamo da valori sociali consolidati nel tempo, e le cerchiamo nella fede.
Suona piuttosto preoccupante leggere baldanti rassicurazioni da parte di chi può solo sperimentare e verificare le reazioni dei test, né rasserena sentire risposte che vendono certezze assolute in base a schemi che solo in parte si possono applicare al caso specifico.
Non rasserena, anzi: porta a chiedersi se davvero possiamo fidarci di una scienza che non sa ammettere i suoi limiti, e pretende all’occorrenza di farsi anche fede.