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Oltre i luoghi comuni

L’ultima Fiera internazionale del turismo, a Milano, oltre a vedere un record di partecipazioni (130 paesi presenti con un loro stand, che si aggiungono agli spazi riservati alle regioni italiane), ha posto l’attenzione su una interessante tendenza: in un’epoca di crisi di valori (economici e spirituali), il vacanziero sceglie il turismo religioso.

«I luoghi delle religioni – riflette il Giornale – saranno le nuove mete turistiche, gli “itinera” spirituali evolvono dalla tradizione alla modernità e coinvolgeranno, nei prossimi mesi, oltre 300 milioni di persone nel mondo», dando vita a un giro d’affari enorme: stando ai dati del Wto-World Tourism Organization, le “forme di turismo motivazionale fondate su valori” spostano 18 miliardi di dollari.

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Mete etiche

Già pensare a un football americano femminile suona male: uno sport rude, per maschiacci dalle spalle robuste e senza paura. Pensare che lo possano praticare delle posate ebree ortodosse suona quasi surreale. Eppure succede.

Tutto è cominciato nel 2001, quando il responsabile dell’American Football Association ha invitato mogli e sorelle dei giocatori, sempre presenti sugli spalti per seguire i loro familiari, a provare a loro volta.

In pochi anni la disciplina si è affermata, tanto da permettere di organizzare un campionato, e perfino di allestire una nazionale. Che ha ottenuto ottimi risultati alle ultime competizioni internazionali.

Delle 160 iscritte alla lega, il 70% è composto da ebree ortodosse praticanti: quelle che, per capirci, di solito non scoprono i capelli in presenza di estranei. Molte di loro sono mamme, con nidiate di quattro, o anche sette figli, che lasciano a casa con i papà nelle lunghe ore di allenamento.

L’abbigliamento in campo è comodo ma castigato: lascia libere, ma non scopre il fisico (né il capo), in barba a quegli sport dove la tenuta è diventata un costume da bagno.
Al sabato non si gioca: questo costringe le organizzazioni dei tornei internazionali a fare i salti mortali, e spesso la nazionale deve sorbirsi due partite al venerdì e alla domenica per compensare.
Non solo, un buon ebreo ha le sue pratiche religiose: tra allenamenti e sedute tattiche si deve ricavare uno spazio per la preghiera.
Per non parlare del cibo: niente maiale, coniglio, molluschi e crostacei e tutto ciò che la Legge vieta. Facile quando si gioca in casa, meno quando si gira per gli alberghi del mondo, e chi ha qualche allergia alimentare può capire l’imbarazzo.

Eppure giocano. Giocano senza rinunciare alle loro convinzioni.  E, stando ai risultati, giocano abbastanza bene.

Forse il loro esempio è una buona lezione per tutti noi. Noi che spesso, per molto meno, siamo disposti a derogare ai nostri impegni, ai nostri principi, alla nostra etica, convinti che non si possa fare diversamente.

Leggendo di queste ragazze israeliane, infatti, viene davvero da chiedersi se è davvero così difficile mantenere la coerenza in ogni aspetto della nostra vita, o se i nostri “non si può fare altrimenti” sono solo comode scuse per non rinunciare a nulla.

Valigie a metà

Chissà se è morto felice. Nei giorni scorsi si è sparsa la voce che Dave Freeman è mancato per un banale incidente domestico.

Chi sia Dave ce lo hanno raccontato le cronache degli ultimi anni, quando era diventato noto per un giorno (come tanti, da quando i giornali hanno troppe pagine da riempire e i lettori troppo stress da scaricare) per un suo progetto: una lista di cento cose da fare prima di morire.

Aveva messo in fila, come facevamo tutti da bambini, un elenco di esperienze che avrebbe voluto far sue prima di lasciare questo mondo: perché, questa era la sua tesi, non si può mai dire di essersela spassata abbastanza, in questa breve vita.

Per questo ha deciso di scappare dai tori per le vie di Pamplona alla fiera di San Firmino, buttarsi da una torre legato per le caviglie in un tipico rito di iniziazione indigeno delle isole Vanuatu, immergersi nel fiume Gange, e così via.

La sorte l’ha colto impreparato, verrebbe da dire, o quantomeno a metà del suo percorso di vita ideale: aveva realizzato metà dei suoi cento desideri. «La vita è un viaggio breve. Come puoi essere sicuro di riempierla con quanto di più divertente ci sia, visitando i più bei posti che esistono sulla Terra, prima di fare la valigia per l’ultimo viaggio?», diceva.

Non sappiamo se negli ultimi istanti di vita, quelle frazioni di secondo in cui ti passa davanti l’intera esistenza, Dave abbia potuto tirare un bilancio sulla qualità del suo “breve viaggio”, chiudendolo con un sospiro di sollievo, o se fosse rammaricato per non aver vissuto abbastanza.

Non lo sappiamo né potremo mai saperlo: ma, a ben guardare, non ci preoccupa. Quel che invece ci interesserebbe sapere, semmai, è se al momento della dipartita la valigia di Dave fosse pronta.