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Presenze luminose
“Turisti senza bon ton“: di questo si lamentano i sindaci delle località turistiche, dalle città d’arte alle stazioni balneari. I primi cittadini, interpellati da un periodico, si rammaricano per l’abbigliamento succinto dei visitatori, gli schiamazzi notturni, l’abuso di alcol, e un senso di libertà che sfiora la mancanza di rispetto per i residenti (e, probabilmente, per gli altri villeggianti).
La storia si ripete ogni anno, e riguarda allo stesso modo gli stranieri in Italia e gli italiani all’estero: l’assenza di obblighi lavorativi (e, talora, familiari), la lontananza dalle abitudini e dalla consuetudine dei gesti quotidiani, l’ebbrezza del viaggio e della permanenza in una località mai vista prima è una miscela entusiasmante, ma che se non viene equilibrata nel modo giusto rischia di scatenare un circolo vizioso di esagerazioni. Con rischi per la salute, per la convivenza, e anche per la dignità.
Consigli di lettura – 9
Turismo, musica, società, strategie belliche, teologia tra i consigli di lettura di questa settimana.
Si comincia con “In viaggio con Lutero” (Claudiana) di Reinhard Dithmar. Sono numerosi ogni anno i protestanti che si recano in visita ai luoghi della Riforma: a disposizione hanno ovviamente i manuali di storia e le classiche guide turistiche. Mancava, in italiano, un volume che raccogliesse le informazioni utili per un viaggio sulle tracce di Lutero: ci ha pensato la chiesa luterana in Italia che ha pubblicato, in collaborazione con la casa editrice Claudiana, “In viaggio con Lutero”, testo di Reinhard Dithmar, studioso di teologia, germanistica, filosofia, pedagogia e professore di letteratura.
Nel volumetto, comodo come una guida turistica, vengono presentati fatti storici, dettagli, curiosità sulle località della Turingia e della Sassonia dove visse Lutero.
Una lettura interessante da fare sul campo, ma anche comodamente a casa, per scoprire qualcosa di più su Lutero rispetto a quello che racconta un manuale di storia, senza limitarsi ai dettagli di una comune guida turistica.
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Passando alla musica, nell’estate di vent’anni fa moriva uno dei più grandi direttori d’orchestra del Novecento, Herbert von Karajan. Un genio della bacchetta e allo stesso tempo un personaggio di cui si è parlato molto, ma sul quale mancava una voce “preferenziale”: quella della seconda moglie, Eliette.
Una lacuna colmata da una biografia: “La mia vita al suo fianco”, edito da Giunti, scritto proprio da Eliette Von Karajan l’anno scorso, nel centenario della nascita del direttore.
Si tratta, in realtà, di un’autobiografia della signora Karajan, ma inevitabilmente si trasforma nel racconto della persona cui è stata accanto per oltre trent’anni: trent’anni al fianco di un personaggio pubblico che la signora von Karajan racconta indugiando tra viaggi e “prime”, cerimonie e mondanità, ma rivelando anche il Karajan che poteva conoscere solo lei, privato, umano. Un Karajan che, nel racconto della moglie, piace ritrovare, a tanti anni dall’addio.
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Parlando di vita, non si può non incappare anche nella morte. E la morte è un tema che non si affronta mai molto volentieri. Stefano Lorenzetto, giornalista di lungo corso e ampia sensibilità, le ha dedicato un intero libro: si intitola “Vita morte miracoli. Dialoghi sui temi ultimi”, edito da Marsilio.
Con la consueta formula delle interviste a tema, già sviluppata tra gli altri nel suo precedente e piacevole “Italiani per bene”, Lorenzetto dialoga con una ventina di personaggi sconosciuti ai più, ma con una storia che vale la pena di essere raccontata: c’è l’oncologo affetto da sclerosi che sa quale sarà il suo destino, ma non si rassegna e si presenta ogni giorno a curare i suoi pazienti; c’è il geriatra che accudisce i pazienti in stato vegetativo permanente (e ha visto qualcuno di loro risvegliarsi); ci sono persone comuni colpite da quelle che comunemente chiamiamo “disgrazie”, ma che hanno saputo trovare una nuova speranza o una nuova prospettiva grazie alla fede.
Non tutti i casi proposti sono “da manuale” o del tutto condivisibili, ma il quadro generale che Lorenzetto offre è – come sempre – chiaro e sobrio; il tono è delicato, ma capace di impennarsi e anche di mordere quando cita fatti di cronaca che negano il valore di quella vita la cui importanza viene ribadita, intervista dopo intervista, insieme agli interlocutori.
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Veniamo alla strategia. Sono passati sei anni dalla caduta di Saddam Hussein, ma – come tutti possiamo constatare – al di là del trionfo militare americano, a tutt’oggi la battaglia non è stata vinta del tutto.
Si è trattato – e si tratta – di una guerra diversa da quelle del passato, e proprio per questo richiede – e avrebbe richiesto – un approccio diverso.
A rileggere oggi, a distanza di sei anni dall’uscita, il libro del generale Wesley Clark, “Vincere le guerre moderne. Iraq, terrorismo e l’impero americano” (edito da Bompiani), si può restare sorpresi. Clark, eroe di guerra in Vietnam, è stato comandante supremo delle forze alleate in Europa dal 1997 al 2000, direttore del dipartimento piani strategici del Pentagono e a capo della delegazione per gli accordi di pace nei Balcani a Daytona. Insomma, è uno che conosce l’argomento militare e diplomatico.
Nel libro, Clark presenta la sua posizione critica sulle scelte effettuate dall’amministrazione Bush in relazione alla guerra in Iraq; racconta i retroscena e ventila le “reali motivazioni” della strategia americana. Una posizione, quella di Clark, probabilmente non del tutto disinteressata, visto il suo tentativo di avviare una carriera politica con la candidatura alla presidenza USA nelle file dei democratici nel 2004 (finita con un nulla di fatto); tuttavia, vista la sua esperienza, non si può non prendere in considerazione le sue osservazioni.
Nel volume, dopo una disamina della situazione, Clark offre anche qualche spunto per una soluzione, e qualche consiglio per il futuro: in primis il fatto che nelle “guerre moderne” i terroristi vanno sconfitti “dall’interno” con un puntuale lavoro di intelligence, e non sul campo.
Naturalmente le tesi di Clark non sono state prese in considerazione da Bush nel corso del suo secondo mandato. Ma, nell’era obamiana, e di fronte a una situazione in Iraq ancora critica, chissà che le idee del generale non abbiano maggiore fortuna.
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Chiudiamo con uno spunto di lettura teologico.
La predestinazione è un tema su cui, nel corso dei secoli, la chiesa cristiana si è interrogata a lungo. La salvezza si realizza, si attua o si accetta come un dono?
In base alla risposta sono nati movimenti, sono scoppiate dispute, si sono consumate divisioni, probabilmente più che per qualsiasi altro tema dottrinale.
Giorgio Tourn, pastore e già presidente della Società di studi valdesi, ha toccato il delicato argomento con un libro pubblicato da Claudiana. Si intitola semplicemente “La predestinazione nella Bibbia e nella storia”, e si propone di fare il punto in maniera chiara e senza spirito di parte sulla questione.
Tourn parte ovviamente dalla Bibbia e dalla temperie culturale in cui il problema si è posto per la prima volta; analizza il modo di affrontare la predestinazione dei cristiani nell’età apostolica, gli sviluppi nella teologia cristiana (dai padri alla scolastica). Numerosi capitoli sono dedicati, ovviamente, alla posizione assunta nel tempo dalle correnti evangeliche (dalla Riforma alla Ginevra di Calvino, dal Calvinismo al protestantesimo moderno).
Affronta, infine, la dottrina della predestinazione analizzandola in chiave teologica, fino a concludere considerando la necessità di “reinventare” un tema che oggi, dopo secoli di dispute, è paradossalmente fin troppo trascurato.
Quella serenità così sfuggente
Quali sono i comportamenti più fastidiosi, in aereo? British Airways ha condotto una serie di interviste a viaggiatori non britannici, ricavando una top ten dei modi di fare più irritanti.
Tra questi, spiccano l’abitudine di dare calci al sedile davanti al proprio, l’uso di lasciar scorrazzare i figli avanti e indietro per i corridoi, la fretta di scendere appena il velivolo apre i portelloni, la loquacità dei viaggiatori che intavolano discorsi inutili, il suono (o, più spesso, il rumore) che esce dalle cuffie di chi sta ascoltando musica.
Nel prontuario che è stato realizzato dopo questo sondaggio, la compagnia di bandiera britannica non ha trovato di meglio che consigliare ai viaggiatori di salire a bordo sereni. Facile a dirsi, dirà qualcuno: chi mai ama viaggiare irritato? Eppure forse il suggerimento, per quanto banale, ci permette di riflettere su un aspetto che spesso trascuriamo.
Ciò che succede quando viaggiamo – ma anche quando stiamo a casa, siamo al supermercato, pazientiamo in fila alla posta, guidiamo, facciamo acquisti – lo percepiamo secondo la nostra prospettiva.
Lo stesso episodio può suscitare una risata o una sfuriata: la reazione dipende dal nostro stato d’animo. Quando siamo irritati o nervosi ci dà fastidio qualsiasi dettaglio, anche il più insignificante: una frase scontata, l’andatura di chi ci precede, il gesto di un collega.
In questi casi ogni imprevisto contribuisce ad amplificare il nostro disagio, e credere che il mondo ce l’abbia con noi diventa un alibi al nostro fastidio interiore.
Sì, perché – a voler essere onesti – possiamo riconoscere che il disagio nasce dentro di noi, non attorno a noi. Ed è sintomo di una significativa mancanza di serenità.
La serenità è una questione delicata.
C’è chi si illude di trovarla negli eccessi, e chi nella cadenza regolare di una vita ordinaria; qualcuno tenta di trovarla negli oggetti o le persone di cui si circonda.
Tutto questo può aiutare, ma non basta. Perché niente e nessuno, in questo mondo, può toccarci – e cambiarci – dentro. Nemmeno noi stessi.
Fino a prova contraria, la serenità non nasce da una vita senza imprevisti né da una situazione economica agiata. E anche una generica ricerca spirituale non basta, fino a quando non comprendiamo un concetto essenziale: la serenità nasce dalla consapevolezza del nostro ruolo.
Osservando le vicende dell’umana commedia, è difficile non intravedere alcuni elementi che accomunano epoche e latitudini. La tendenza umana a migliorare la propria condizione di partenza. Il desiderio di individuare la propria identità. Il bisogno di interagire con gli altri. La ricerca della libertà. La necessità di dare uno scopo ragionevole alla propria vita. L’individuazione di una prospettiva più ampia (e convincente) sul senso dell’esistenza e sul “dopo”.
Solo trovando queste risposte è possibile acquisire una serenità soddisfacente, stabile, non illusoria. Qualcuno potrà obiettare che, quelle risposte, non è difficile trovarle, spaziando tra politica (la libertà), filosofia (l’identità), la solidarietà sociale (lo scopo), le dottrine orientali (il senso della vita). E infatti è vero.
Il problema è trovare una soluzione che riesca, da sola, a rispondere a tutte le domande. La politica, la filosofia, l’impegno sociale, le dottrine orientali riconoscono – con onestà – la parzialità delle loro proposte.
Scartando i vari candidati ne resta uno solo: l’unico che, nella storia dell’umanità, ha avuto il coraggio di affermare “Io sono la via, la verità e la vita”, e ha aggiunto “venite a me… e io vi darò riposo”.
Se sia vero o solo una boutade, lo possono testimoniare milioni di persone che hanno creduto nel suo messaggio e in quel messaggio hanno trovato le risposte. E, con quelle risposte, la pace.
Se basta un libro
A volte basta un’idea. In questi giorni nelle principali stazioni della metropolitana milanese si trovano alcuni nuovi espositori: sembrano “vetrine” per banali depliant, e invece contengono libri. Concisi, spartani, ma libri.
Si tratta di un’iniziativa interessante: libretti brevi, racconti stampati in formato tascabile e su carta riciclata, che è possibile prelevare gratuitamente per ingannare il tempo tra un viaggio e l’altro.
Il progetto, promosso dall’Associazione Laboratorio E20 e sostenuto economicamente dal Comune di Milano, alla sua ottava edizione propone 13 titoli, dodici racconti e una raccolta di opere di otto poeti, tutti autori esordienti e sotto i 35 anni, i cui lavori sono stati selezionati tra più di un migliaio di opere.
Quattro milioni e mezzo le copie totali stampate, arricchite da copertine che a loro volta sono opere di giovani disegnatori scelti attraverso un concorso parallelo.
L’idea, si diceva, è buona. A fronte di un costo tutto sommato limitato (a prescindere dal finanziamento pubblico) è possibile raggiungere decine (o centinaia) di migliaia di persone che fanno a gara per leggere (e collezionare) i volumetti.
Chissà: magari potrebbe essere uno spunto utile per chi si interroga su quali siano i modi migliori, nel 2009, per raggiungere una società frettolosa, distratta, ma atterrita dalla noia. E affamata di risposte.
Un drammatico venerdì
Deve essere stata una scena drammatica, quella che si è presentata ai soccorritori venerdì mattina su quel viadotto della Messina-Palermo. Un’auto accartocciata, poco più di un rottame di cui a stento si riconosce il modello. Due corpi sull’asfalto. Uno proiettato giù dal burrone.
Una scena di guerra in un tratto stradale poco sicuro, che già in passato ha causato vittime, reso ancora più insidioso dalla pioggia caduta abbondante nelle ore precedenti.
In quell’auto c’erano un uomo e quattro donne. Facevano parte di una comunità evangelica tra le più numerose di Messina. Chiariamolo una volta per tutte: ricordare questo dettaglio non è un atto di cinico sciovinismo. Le loro vite certo non contavano più di quelle di altri esseri umani. Ma per noi erano speciali.
Tra di noi ci chiamiamo “fratelli”, e non è un caso: ci unisce un legame forte, che ci fa sentire vicini anche quando ci conosciamo a malapena, o non ci conosciamo affatto: pur provenendo da contesti sociali, culturali, geografici diversi, sappiamo di aver fatto la stessa scelta di vita. La scelta di accettare l’amore di Dio nella nostra vita e di seguire con coerenza, per amore, l’insegnamento di Gesù Cristo nella vita quotidiana, nel comunicare la speranza di una nuova vita, nell’impegno concreto per gli altri.
Era proprio per questo desiderio che i cinque si erano messi in viaggio quella mattina: stavano andando a Palermo per un convegno dedicato alle associazioni di volontariato penitenziario, per focalizzare e approfondire le opportunità di un impegno difficile come quello di stare vicino a chi nella propria vita ha sbagliato, incoraggiandolo a cercare una seconda opportunità.
Nicola Arena è malconcio ma ancora tra noi. Responsabile della Congregazione cristiana evangelica di Messina, è un’anima instancabile: il suo impegno cristiano a tutto tondo, la sua predicazione chiara, competente e senza fronzoli lo hanno fatto apprezzare, nel corso degli anni, in tutta Italia.
Non più tardi di qualche settimana fa era a Pordenone, insieme alla sua amata compagna Grazia, incaricato di portare un messaggio in occasione dei 25 anni della chiesa locale.
In più occasioni abbiamo avuto il piacere di averlo ospite nei nostri programmi, su crc.fm, per parlare di dottrina cristiana. Sempre disponibile, sempre preciso, sempre umile («chiamami Nicolino, ti prego»).
Nicola è ancora tra noi, dicevamo. Non è andata altrettanto bene a sua moglie Grazia, né a Claudia.
Non possiamo sapere perché, né vogliamo aggiungere frasi banali, in un momento di dolore come questo.
Preferiamo stringerci in un silenzioso ma sentito abbraccio a Nicola e ai suoi figli. Ci lega un’ormai antica conoscenza, rinfocolata di quando in quando da occasioni di incontro.
Ma, soprattutto, siamo fratelli. E i fratelli, insieme alla speranza, sanno condividere anche la sofferenza.
Valigie a metà
Chissà se è morto felice. Nei giorni scorsi si è sparsa la voce che Dave Freeman è mancato per un banale incidente domestico.
Chi sia Dave ce lo hanno raccontato le cronache degli ultimi anni, quando era diventato noto per un giorno (come tanti, da quando i giornali hanno troppe pagine da riempire e i lettori troppo stress da scaricare) per un suo progetto: una lista di cento cose da fare prima di morire.
Aveva messo in fila, come facevamo tutti da bambini, un elenco di esperienze che avrebbe voluto far sue prima di lasciare questo mondo: perché, questa era la sua tesi, non si può mai dire di essersela spassata abbastanza, in questa breve vita.
Per questo ha deciso di scappare dai tori per le vie di Pamplona alla fiera di San Firmino, buttarsi da una torre legato per le caviglie in un tipico rito di iniziazione indigeno delle isole Vanuatu, immergersi nel fiume Gange, e così via.
La sorte l’ha colto impreparato, verrebbe da dire, o quantomeno a metà del suo percorso di vita ideale: aveva realizzato metà dei suoi cento desideri. «La vita è un viaggio breve. Come puoi essere sicuro di riempierla con quanto di più divertente ci sia, visitando i più bei posti che esistono sulla Terra, prima di fare la valigia per l’ultimo viaggio?», diceva.
Non sappiamo se negli ultimi istanti di vita, quelle frazioni di secondo in cui ti passa davanti l’intera esistenza, Dave abbia potuto tirare un bilancio sulla qualità del suo “breve viaggio”, chiudendolo con un sospiro di sollievo, o se fosse rammaricato per non aver vissuto abbastanza.
Non lo sappiamo né potremo mai saperlo: ma, a ben guardare, non ci preoccupa. Quel che invece ci interesserebbe sapere, semmai, è se al momento della dipartita la valigia di Dave fosse pronta.
Rick Warren è sbarcato in Europa
Dic 4
Pubblicato da pj
Ieri, giovedì 3 dicembre, sul Foglio è uscito un mio articolo di analisi sul fenomeno Warren; il contributo inaugura la mia collaborazione con il quotidiano di Giuliano Ferrara. Ve lo ripropongo qui, e resto in attesa dei vostri commenti.
IL PASTORE CHE HA BENEDETTO LA PRESIDENZA OBAMA È SBARCATO IN EUROPA
Il grande pubblico ha scoperto Rick Warren il 20 gennaio scorso, quando davanti a Capitol Hill ha innalzato la tradizionale preghiera di benedizione per l’insediamento di Barack Obama: la paciosa e rassicurante sagoma del pastore che trent’anni fa ha fondato in California la Saddleback Church di Lake Forest rappresenta un cambiamento di forma e di sostanza che non è sfuggito agli esperti.
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