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Distrazione fatale

Due temi diversi, oggi, hanno stimolato due commenti molto simili nella sostanza da parte della Stampa e di Repubblica.

Sul quotidiano torinese Gramellini commentava l’allusione del senatore Ciarrapico sull’equazione ebreo=traditore, espressa nel suo intervento a Palazzo Madama: «Fino a quando – si chiede Gramellini – si continuerà a considerare un esercizio di folklore lo scempio dei valori con i quali siamo cresciuti, che credevamo condivisi? […] Non so voi, ma io non lo trovo divertente. E neppure innocuo. Qualcuno dirà che certa gente ha sempre pensato certe cose, senza trovare il coraggio di dirle. Ecco, vorrei tanto sapere chi glielo ha dato, adesso, quel coraggio. Forse ci siamo distratti un attimo. Per favore, non distraiamoci più».

In sintonia Michele Serra nella sua rubrica quotidiana su Repubblica: in merito alle parole del docente milanese che inneggiava alla Rupe Tarpea, fa il punto della situazione-volgarità: «Il punto è che,negli anni, sono saltati come vecchi tappi tutti o quasi gli argini che impedivano o sconsigliavano di scavalcare alcuni – almeno alcuni – argini. Convenzioni rispettate, forse ipocrite, forse solo ragionevoli, suggerivano di non varcare certe soglie verbali… Ha poi prevalso, lentamente ma inesorabilmente, l’idea che niente possa o debba essere rimosso e occultato. Schiodati dalle loro prigioni di profondità, sono emersi uno a uno gli istinti più asociali e aggressivi e “scorretti”» Con l’abbandono del buonismo (o, forse, anche della buona educazione?), «ogni fanatico ma anche ogni debole, e ogni rancoroso, si sente in diritto di esternare il suo male. Il “cattivismo” fa molte più vittime del “buonismo”».

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Giochi pericolosi

24 milioni di italiani, il 43% della popolazione dai 4 anni in su, si diletta con i videogiochi. O meglio, con l’evoluzione di quelli che una volta erano i videogames, e che oggi – potenza della tecnologia – costituiscono un’esperienza di un’intensità molto diversa da quella che si poteva provare, appena vent’anni fa, quando ci si sfidava tra i pixel sgranati di un Atari, un Commodore 64 o un Ibm.

Giocare, oggi, significa vivere un’esistenza virtuale interagendo in contemporanea con decine di persone presenti in qualsiasi parte del mondo; e se per chi gioca è un divertimento totalizzante, chi si limita a guardare la sfida ritrova sullo schermo la piacevolezza di un film con una trama che si dipana in tempo reale.

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In fila con rispetto

Possiamo chiamarli usi e costumi, consuetudini, o addirittura cultura, la sostanza non cambia: ci sono alcuni comportamenti che, a certe latitudini, vengono percepiti in maniera diversa e che possono dare vita ad attriti tra etnie diverse.

Il Daily Mail ha annunciato in anteprima che il governo britannico intende inserire un altro standard tra le richieste da ottemperare quando si richieda la cittadinanza: la capacità di rispettare le file.

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Sorriso amaro

L’esperienza ci insegna che il sorriso è un sollievo per chi lo dona e per chi lo riceve.

Esiste, però, anche un sorriso sbagliato, fuori luogo. Come quello che la coppia Mogol-Battisti eternò in un celebre brano, e che descrive la fine di una relazione: “Un sorriso/ e ho visto la mia fine sul tuo viso/ il nostro amor dissolversi nel vento/ ricordo, sono morto in un momento”.

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Quel reality formativo

Assume una risonanza europea il caso del nuovo reality tedesco che punta a mettere in una casa alcune coppie di adolescenti: obiettivo, accudire un neonato per quattro giorni e quattro notti.

Si scandalizza l’associazione delle ostetriche tedesche (per loro il reality è “una nuova forma di prostituzione“), gli psicologi (“tutte le ore passate in trasmissione produrranno grande stress nei più piccoli e le drammatiche conseguenze di questa scelta potrebbero manifestarsi col passar degli anni sulla psiche dei bambini”) e perfino la normalmente taciturna chiesa protestante (secondo cui la televisione “ha chiaramente superato qualsiasi limite di decenza“).

Insomma, una bella polemica che, come sempre, finirà per portare acqua al mulino dell’emittente interessata, RTL. Certo, il programma potrà anche non essere di buon gusto, ma non sarà il peggiore tra quelli partoriti in questi anni da autori senza troppi scrupoli.

Fino a oggi, purtroppo, il format del reality non è riuscito a prendere una piega educativa: eppure, tutto sommato, non sarebbe difficile inculcare qualche nozione utile, o allargare le prospettive, a pupe, secchioni, contadini di finte fattorie e grandi fratelli. Basterebbe dare una prospettiva diversa al programma: meno scandalistica, più culturale.

Sarebbe un disastro sul piano dell’audience? Forse no, perché anche la cultura può avere il suo fascino, e ben lo sanno i tanti docenti che, ogni giorno, catturano l’attenzione dei loro studenti con lezioni in cui trasmettono non solo concetti, ma soprattutto passione.

Vale per le materie scolastiche, per le attività extracurriculari (si chiamano ancora così?), per le faccende domestiche e così via.

In quest’ottica, un reality di questo genere potrebbe essere formativo. Naturalmente, nel caso, dovrebbe offrire le dovute garanzie di serenità agli infanti, ma non sembra difficile: i genitori veri potrebbero essere presenti dietro le quinte, a pochi passi dalle telecamere.

Fatto questo, sarebbe decisamente interessante vedere due adolescenti imparare il duro mestiere di genitori cimentandosi tra pappe e pannolini. Sarebbe utile per i protagonisti e per i loro coetanei che, da casa, potrebbero acquisire qualche informazione utile su un ruolo in cui, probabilmente, prima o poi si ritroveranno.

In fondo anche questa è vita, ed è importante conoscerne i vari aspetti per non trovarsi, un giorno, spiazzati.

A chi di dovere il compito di saperla presentare nel modo giusto, senza scadere nel cattivo gusto o nella volgarità ma, piuttosto, trasmettendo al pubblico un messaggio positivo.

Cartoni e complotti

Fa una certa tristezza vedere il modo in cui i media trattano certi argomenti.

I fatti: l’Unione russa dei cristiani di fede evangelica – una sorta di Alleanza evangelica, a occhio e croce – si indigna per South Park, un cartone animato americano: «South Park deve essere bandito subito — ha detto il leader del gruppo, Konstantin Bendas —. Insulta i sentimenti dei credenti, e incita i giovani all’odio per la religione e la patria. I bambini non dovrebbero poter vedere roba del genere: devono essere difesi». La procura di Mosca ha accolto la protesta, invitando a bandire il cartone animato dalla Russia.

Probabilmente tutti coloro che hanno avuto occasione di dare un’occhiata al cartoon in questione si saranno resi conto della sua corrosività, di una certa volgarità, di uno stile dissacrante al limite del profano (o, per chi crede, del blasfemo): caratteristiche, va peraltro detto, che gli autori non smentiscono, e anzi vantano come titoli di merito.

Non ci dovrebbe quindi essere niente di anomalo nel vedere una istituzione cristiana condannare South Park perché “offende i sentimenti dei credenti”. Forse non incita “all’odio per la religione e la patria”, ma è decisamente poco educativo. Per carità: non tutti i programmi televisivi devono esserlo, ma propinare un certo tipo di prodotto ai giovani (perché sono i giovani il target del cartone animato), allora sarà il caso di non lamentarsi di fronte a una generazione superficiale, irridente, irresponsabile.

Naturalmente si può non condividere questa analisi, e si può anche sospettare di questa improvvisa collaborazione tra procura moscovita e minoranza evangelica, fino a oggi vista con una certa diffidenza dalle autorità russe. Diverso però è cimentarsi in una dietrologia complottista come fa il Corriere, secondo cui «Il nuovo fronte della guerra russa all’Occidente passa attraverso il tubo catodico. Dopo aver occupato intere zone di territorio georgiano e aver sfidato l’Unione Europea e gli Stati Uniti con promesse finora mai mantenute di ritiro, e mentre ancora tiene la mano sul rubinetto del gas, pronta a chiuderlo per farci passare l’inverno al freddo, Mosca ha infatti deciso di prendersela con i cartoni animati del “nemico”».

Nientemeno. Ci permettiamo di suggerire al Corriere qualche approfondimento in merito: notoriamente infatti gli evangelici sono, in tutto il mondo, una quinta colonna statunitense. Come mai proprio loro prendono la parola in Russia per condannare un prodotto made in USA? E il Vaticano, come mai non ha detto nulla né contro il programma tv, né contro gli evangelici? E tutto questo non avrà mica qualche relazione con il lapsus di Barack Obama sulla sua “fede musulmana”?

L’affare decisamente si complica. Più che il taccuino di un giornalista, servirebbe la penna di un giallista.