Paura del vuoto
«Il tempo libero come lo conoscevamo non esiste più», titola il Giornale, che in un ampio servizio dà l’addio alla “vecchia domenica”, quella del riposo, degli affetti e della famiglia. Ormai il tempo libero è visto in chiave utilitaristica, e va “sfruttato, massimizzato, reso produttivo per tutti quegli impieghi che nel resto della settimana non abbiamo più la possibilità di soddisfare”. Ecco che al posto della funzione religiosa, considerata – almeno sul versante cattolico – noiosa e poco socializzante, arrivano i nuovi riti: non tanto la gita fuori porta, ma la gita al centro commerciale.
Non a caso questi grandi concentrati di negozi, futuristici nella forma e confortevoli nella sostanza, restano aperti sempre più spesso anche nei festivi: ne sono prova i cartelloni e gli striscioni piazzati in posizione strategica su autostrade, tangenziali, strade di intenso traffico. Durante la settimana, mentre aspettate che la consueta fila di auto si muova, potete trovare l’annuncio trionfale della prossima apertura “anche alla domenica”, o – in questo periodo – anche per il primo novembre.
Che poi non c’è dubbio: i centri commerciali siano un riparo ideale e un antidoto contro la noia delle giornate di pioggia. I bambini si divertono, i grandi passeggiano in queste novelle piazze del XXI secolo, curiosano qua e là e talvolta – complici i prezzi concorrenziali – ci scappa anche l’acquisto. Certo, non è il prezzo a fare gola: in fondo, per raggiungere questi grandi magazzini (come si diceva una volta) si spende più di quanto si risparmia con qualche acquisto.
E allora perché tutto questo successo? Non è questione di novità: ormai i grandi centri commerciali punteggiano il paese da almeno una decina di anni.
La questione di fondo, come si diceva, riguarda non tanto la struttura, ma chi la frequenta. E la sua paura. Paura del vuoto, paura della pausa, paura dell’assenza. Nell’inattività, nel silenzio, nel riposo si riaffacciano pensieri, domande, responsabilità. Pensieri profondi, cui non abbiamo dato ancora una risposta convincente. Domande sulle scelte da fare, sui percorsi da seguire oltre la quotidianità. Responsabilità nei confronti della famiglia, dei nostri cari (cari almeno a parole), degli amici, di chi ha bisogno.
Ci sentiamo inadeguati per le risposte non date, impotenti di fronte a scelte più grandi di noi, colpevoli verso la nostra coscienza per quel che potremmo fare per gli altri, ma non facciamo per pigrizia.
Il giorno di festa ci ricorda tutto questo, e ci inibisce, rischia di farci perdere quella patina di superficialità che ci permette di andare avanti, impermeabili ai bisogni altrui e distanti dalle tematiche più profonde, che potrebbero portarci oltre il tran tran quotidiano e le sterili tradizioni consolidate.
Un rischio troppo grande, per una società come la nostra: potremmo perdere le nostre inutili certezze da cristiani formali, e scombinare quel presepe spirituale che ci siamo costruiti e in cui viviamo agiatamente senza bisogno di altro (e di altri).
E allora, a quel giorno di festa, meglio non pensare. Meglio mantenerlo come un giorno “diverso”, ma nevrotico come tutti gli altri.
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Analisi, commenti e riflessioni sui temi del momento nel programma musica&parole: dal lunedì al venerdì, dalle 10 alle 11 sulle frequenze di crc.fm.
Pubblicato il 26 ottobre, 2006 su Uncategorized. Aggiungi ai preferiti il collegamento . Lascia un commento.
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