Dovrebbe essere scontato
«I mafiosi e coloro che fanno parte della criminalità organizzata sono automaticamente esclusi dalla Chiesa cattolica: “Non c’è bisogno – ha detto monsignor Mariano Crociata, segretario generale della Cei – di comminare esplicite scomuniche perché chi vive nelle organizzazioni criminali è fuori dalla comunione anche se si ammanta di religiosità“».
La conferenza episcopale italiana, nella sua sessantesima assemblea generale, ha aperto un capitolo interessante, toccando un tema annoso: cosa comporta il fatto di essere cristiani?
Per una questione storica il problema, sul piano formale, tocca la chiesa cattolica più di altre realtà cristiane. Il concetto di “chiesa di popolo” che la chiesa cattolica porta avanti, infatti, basa l’appartenenza religiosa prevalentemente sul dato anagrafico: chiunque nasca in una famiglia cristiana è a sua volta cristiano. Diverso l’approccio usato dalla maggioranza delle chiese evangeliche che, richiamandosi al concetto di “chiesa di eletti”, prevede una chiesa composta da cristiani divenuti tali solo in seguito a una scelta consapevole.
La chiesa di popolo manterrà un’influenza culturale sulla società, ma si troverà in difficoltà nell’incoraggiare il credente a un percorso di fede personale e costante; la chiesa di eletti riuscirà a sensibilizzare i credenti a vivere la fede, ma finirà spesso per cedere alla tentazione di considerarsi super-spirituale, vivendo di conseguenza il rapporto con il “mondo” soffrendo la sindrome dell’assedio.
Che i mafiosi siano fuori dalla Chiesa (e quindi, nella terminologia cattolica, lontani da Dio) dovrebbe essere un concetto scontato. A quanto pare fino a oggi non lo è stato, se è necessario sottolinearlo.
Tra i possibili motivi di questo gap comunicativo, la capacità dell’essere umano di minimizzare le proprie colpe e di farcirle con tutte le possibili attenuanti legate al contesto, al momento, alla situazione. Ma anche a causa di equivoci dovuti a una scarsa conoscenza e alla limitata familiarità con l’etica.
Capita così che l’uomo di fede si tramuti in uomo d’onore, che il rispetto per Dio si tramuti nel rispetto per il capo, che la giustizia divina venga barattata con la (in)giustizia di un codice arbitrario e spesso crudele.
E capita allo stesso tempo che l’uomo d’onore si consideri uomo di fede per il suo esercizio della religione, con la puntuale presenza alle funzioni, il possesso di libri e oggetti di culto.
Eppure dovrebbe essere scontato che le cose non stanno così. Andare in chiesa non è l’elemento che distingue il cristiano dal miscredente e, per un cristiano, la legge dell’uomo non potrà mai sostituirsi alla legge di Dio.
Dovrebbe essere scontato che il furto non è solamente la sottrazione plateale di beni altrui, ma anche l’evasione fiscale nei confronti di quel Cesare che non rispettò Gesù, ma per il quale Gesù chiese rispetto.
Dovrebbe essere scontato che il tanto citato “amore per il prossimo” non si ferma a una frase di circostanza, ma richiede un’attenzione più profonda – certo, a volte anche faticosa – a gesti, espressioni, sentimenti di chi ci sta di fronte.
Dovrebbe essere scontato che la celebre “buona testimonianza” non consiste solo nei buoni sentimenti della domenica mattina, ma si deve declinare in un comportamento rispettoso anche in mezzo traffico.
Dovrebbe essere scontato che una richiesta d’aiuto non andrebbe liquidata con una pacca amichevole, ma dovrebbe farci investire tempo ed energie nei confronti di chi ha bisogno di noi.
Dovrebbe essere scontato. E dovrebbe essere scontato che un comportamento diverso fa male agli altri ma principalmente a noi, perché ci porta lontani da Dio.
Non dovrebbe servire un vescovo, un pastore, un sacerdote, un predicatore a ricordarci tutto questo. Eppure serve.
Serve, perché l’ipocrisia è sempre in agguato: la tentazione di inscatolare la nostra fede in un sistema di regole – utili ma senz’anima – spesso è più forte di noi. E, senza uno scossone al momento giusto, rischiamo di ritrovarci ben presto assopiti nel confortevole quanto pericoloso tepore della nostra religiosità.
Pubblicato il 10 novembre, 2009, in Uncategorized con tag aiuto, Amore, anima, appartenenza, assemblea, attenuanti, bisogno, buona testimonianza, capitolo, capo, cattolica, Cei, Cesare, chiesa, codice, colpe, comportamento, conferenza, conoscenza, contesto, costante, criminalità, cristiani, crudeltà, culto, declinare, Dio, domenica, eletti, energie, equivoci, espressioni, etica, evasione, familiarità, fede, fisco, furto, gap, Gesù, gesti, influenza, ipocrisia, libri, mafiosi, Mariano Crociata, minimizzare, momento, mondo, onore, pastore, personale, predicatore, prossimo, regole, religione, religiosità, sacerdote, scelta, scomuniche, scontato, sentimenti, situazione, spirituale, tema, Tempo, tentazione, tepore, traffico, vescovo. Aggiungi il permalink ai segnalibri. 1 Commento.
In linea generale ogni cristiano sa, bene o male, cosa comporta il fatto di essere cristiano.
Naturalmente il concetto varia a secondo della chiesa di appartenenza, del proprio vissuto, della propria esperienza e maturità; e in ogni caso, se mancano onestà e coerenza, si può sempre fare finta di non sapere.
Quello che mi pare utile sottolineare, più che la responsabilità personale di ogni singolo credente, è la responsabilità delle gerarchie, che si mostrano interessate non al fatto che i credenti vivano una vita coerente alla fede che professano (in altre parole che ubbidiscano a Dio) ma piuttosto che ubbidiscano alle loro regole e convinzioni, che siano sottoposti a loro.
Non importa che tu sia santo (non dicono, ma lasciano intendere i conduttori) basta che freguenti la chiesa e che ubbidisci alle nostre linee guida, e avrai un bel patentino di cristiano praticante.
Questo compromesso interessato, sfacciatamente praticato da sempre nel cattolicesimo, tanto che alcuni preti non si sono creati scrupolo alcuno nell’andare a dire messa nei rifugi di mafiosi e assassini latitanti, si allarga ad ogni ambiente cristiano; dove prima si lottava e si soffriva (magari sbagliando, ma quasi sempre in assoluta buona fede) per fare prevalere la propria visione di cristianesimo e la propria linea dottrinale all’interno delle proprie comunità, oggi si vive IN PACE; una pace però che non assomiglia neanche lontanamente alla SUA PACE, ma è frutto di umano compromesso e politica religiosa di bassa lega.