Un atollo di infelicità

I media avevano dipinto Ben Southall, assistente sociale britannico, come l’uomo più fortunato del pianeta. Alcuni mesi fa, prevalendo tra 34 mila candidati, si era guadagnato “il lavoro più bello del mondo”: sei mesi come ospite su un atollo australiano, la classica incantevole isola deserta, con l’unico impegno di promuovere la località in chiave turistica attraverso il web, a fronte di un compenso di 85 mila euro.

Quando la notizia ha fatto il giro del mondo, lo hanno invidiato un po’ tutti: sei mesi di puro relax da trascorrere tra giornate su spiagge da sogno, notti in una villa da due milioni e mezzo di euro, campo da golf per battere la noia. E una paga da favola (oltre 14 mila euro al mese).


E invece, chi l’avrebbe mai detto, ancora una volta l’uomo è riuscito a trasformare la permanenza nel paradiso terrestre in una continua sofferenza: «Sono stato sempre occupato, molto occupato, assai più di quanto mi sarei aspettato», ha dichiarato il testimonial sconosciuto più pagato del mondo, rilevando di aver dovuto concedere «più di 250 interviste a giornali e tivù di mezzo mondo, 47 collegamenti video, 90 visite a località esotiche dell’isola». Facendo due conti, si arriva alla non esorbitante cifra di tre impegni medi al giorno nei feriali, uno al sabato, e la domenica in libera uscita: uno stress cui, probabilmente, molte stelle cadenti dello star system si sottoporrebbero gratis e di corsa.

Alle tre interviste al giorno, precisa Ben, vanno aggiunte le ore trascorse in chat a raccontare che si stava divertendo: alla fine, racconta sconsolato, «Era un lavoro che richiedeva 18-19 ore di impegno quotidiano».

Riassumendo: 18 ore di lavoro al giorno per 14 mila euro al mese tra sabbia, mare, vegetazione lussureggiante e incontaminata: vale a dire in un’ambientazione appena un po’ più decente di una fabbrica a Marghera, o di un ufficio a Sesto San Giovanni.

Se a questo aggiungiamo le notizie drammatiche degli ultimi giorni, secondo le quali avrebbe “rischiato di morire” per la puntura di una medusa, allora non possiamo proprio astenerci dal compatirlo. Povero Ben, in che guaio ti sei cacciato.

Vi viene la tentazione di mandarlo a quel paese, o meglio, in un paese diverso (e meno confortevole) da quello in cui è? Se lo pensate siete degli ingrati: tutto sommato, infatti, dovremmo ringraziarlo.

Sì, ringraziarlo. Confessate: quasi non ci credevamo quando ci veniva detto che i soldi non fanno la felicità: pensavamo ai ricconi mollemente sdraiati a bordo piscina, e ci chiedevamo se davvero, nella ricerca della felicità, non fossero avvantaggiati rispetto all’operaio che vive con la famiglia in un condominio da cento miniappartamenti.

Ben ha dimostrato che si può essere infelici, stressati, insoddisfatti anche in un luogo che, alla maggior parte di noi, sembrerebbe la quintessenza dell’appagamento. Ognuno di noi ha cose che altri non hanno (un partner, dei figli, una famiglia unita, i genitori ancora viventi, la salute, una casa, un lavoro stabile, uno stipendio soddisfacente, una occupazione gradevole, un ambiente lavorativo sereno, un conto in banca a prova di emergenze, un’auto che funziona, un amico a cui rivolgersi nel momento del bisogno, una fede stabile e certa su cui contare…), e non ha cosa che altri possiedono. Troveremo sempre qualcuno dalle sorti almeno apparentemente più favorevoli, e altri che attraversano vicende più critiche delle nostre.

Ben, con la sua improbabile doglianza, ci insegna che la felicità non nasce da quel che c’è attorno a noi, ma da quel che abbiamo dentro di noi.

E ci ricorda che, alla fine, la formula della felicità era stata sintetizzata già dall’apostolo Paolo, quando scriveva «Ho imparato ad accontentarmi dello stato in cui mi trovo. So vivere nella povertà e anche nell’abbondanza; sono allenato a tutto e per tutto: alla sazietà e alla fame, a esser nell’abbondanza e nell’indigenza. Io posso ogni cosa in Colui che mi dà forza».

Sapersi accontentare, e contare su Colui che davvero può darci la forza di vivere (bene): il segreto della felicità, allora come oggi, è tutto qui.

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Pubblicato il 4 gennaio, 2010, in Uncategorized con tag , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. 1 Commento.

  1. http://radiolondra-radiolondra.blogspot.com/2009/06/ho-imparato.html

    Credo che il post citato sia inerente al soggetto.
    Accontentarsi non vuol dire vivere una vita non pienamente realizzata, ma imparare a scoprire il molto che già abbiamo.

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