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Il decennio senza prospettive

Cosa resterà di questo primo decennio di XXI secolo? Se lo chiede, con qualche tocco di lirismo, Vittorio Macioce sul Giornale.

Sembravano anni già visti, detti, profetizzati: «sono stati lì a scrivere, immaginare, sognare, navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, viaggi nel tempo, teletrasporti, telelavori, cibernauti, argonauti, terre promesse, visitors e ufo robot. Poi il 2000 è arrivato e sono passati dieci anni. Non è che non è successo nulla, solo che il futuro, quando ci cammini sopra, non è questa cosa straordinaria».
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La Parola senza parola

Una rasoiata sulla tela, improvvisa e inspiegabile: questa la scena di fronte alla quale si sono trovati gli organizzatori della mostra “Uomini dentro”, presso il Palazzo Ducale di Genova.

«La spiegazione del danno – racconta Il Secolo XIX – è arrivata poco dopo, insieme alla visita di un uomo sui quarant’anni, senegalese, presentatosi come “rappresentante di una comunità islamica”».

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Minoranze fastidiose

Tempi duri per i pentecostali. Non passa quasi giorno senza che la denominazione – che, ormai, comprende sul piano numerico la stragrande maggioranza degli evangelici in Italia e nel mondo – subisca riferimenti e allusioni ingenerosi da parte dei media, ispirati dagli eccessi di qualche esagitato o dalla singolarità di certe pratiche.

Una strategia, quella dei media, che potrebbe anche non essere del tutto consapevole, ma che porta l’opinione pubblica ad accostare la diversità alla bizzarria, e la bizzarria al pericolo tout court. Se poi a questi elementi si aggiunge la diffidenza verso lo straniero, ci sono tutti gli elementi per fare di una onesta denominazione il capro espiatorio ideale per le paure, i fastidi, le intolleranze del nostro Paese.
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Sessantatré anni fa

Dopo mesi di incertezze e dubbi, il 2 giugno del 1946 il voto popolare sanciva la nascita della Repubblica italiana. Quasi tutti principali partiti, rinati dopo il ventennio fascista, caldeggiavano la scelta di una forma di stato repubblicana; sull’altro fronte la monarchia, uscita compromessa dai drammi della guerra e dall’onta dell’otto settembre, aveva tentato – invano – di recuperare credibilità presentandosi con un’immagine nuova attraverso il passaggio di consegne tra Vittorio Emanuele III e il giovane Umberto II.

Il risultato finale, contestato per l’assenza dei soldati che non erano ancora tornati in patria e di intere aree del paese (non poterono votare la provincia di Bolzano, la Venezia Giulia, l’Istria e la Dalmazia), finì con la vittoria della Repubblica per 12 milioni di voti contro 10, il 54,3%.

A sessant’anni abbondanti di distanza da quelle vicende viene spontaneo chiedersi perché dovremmo festeggiare una repubblica che, in particolare negli ultimi decenni, non ha dato il meglio di sé, facendoci a volte sentire l’imbarazzo di farne parte.

Eppure qualche motivo per essere grati c’è. Cominciando dal fatto che siamo stati probabilmente l’unico paese al mondo dove il passaggio dalla monarchia alla repubblica si è svolto senza spargimento di sangue.

Non era così scontato. E non è così scontato nemmeno essere nati in un paese libero, ricco, in una democrazia che tutela i diritti delle minoranze, dove l’espressione della propria fede è stata sostanzialmente garantita costituzionalmente.

Certo, a dirla tutta per i cristiani minoritari si sarebbe potuto – e, forse, dovuto – fare di più. Però non possiamo dimenticare che viviamo in un mondo dove i cristiani negli ultimi sessant’anni hanno visto peggiorare la propria condizione di vita dall’Africa all’Asia, dalle repubbliche ex sovietiche al Sudamerica.

E allora non possiamo non essere riconoscenti: questa Repubblica così malandata e maltrattata, in fondo, è stata – e continua a essere – una benedizione.

Slogan (ir)razionali

La polemica scoppierà a breve, anche se qualche premessa si è già vista nei giorni scorsi: venerdì 13 febbraio uscirà nelle sale cinematografiche il film “Religiolus”, di Larry Charles, già regista del dissacrante “Borat”.

La pellicola ha già mobilitato gruppi di “ultracattolici”, che hanno contestato i manifesti promozionali. Il film promette di attaccare i fanatismi di ogni fede religiosa, e si presenta con un poster dove le celebri tre scimmiette (“non vedo, non sento, non parlo”) rappresentano le tre principali religioni monoteiste.

Alla protesta degli “ultrà” cattolici è seguita la risposta del produttore americano, e a ruota quella del segretario UAAR (quelli dei “bus atei”), che lamenta: «È una gravissima violazione della libertà di espressione. Sembra normale che non si debba parlare di ateismo». Attaccare per poi piagnucolare di fronte alla reazione: un comportamento che, in quanto a razionalità (e maturità), lascia a desiderare.

Il film, spiegano i distributori italiani, “parla ai giovani” con un “linguaggio schietto”, e la campagna pubblicitaria è in linea con questa scelta. Certo, se questo è il registro scelto per parlare ai giovani, viene da pensare che gli amici atei non abbiano un’opinione troppo alta delle nuove generazioni.

Come credenti, di qualsiasi fede, ci sono gli estremi per sentirsi offesi? Forse sì, visto che un aspetto così intimo, profondo, umano come la spiritualità viene banalizzato e irriso senza troppo rispetto.

Si potrebbe rimandare l’accostamento al mittente, ma probabilmente non sortirebbe l’effetto voluto: visto l’orgoglio con cui gli atei rivendicano il dogma delle origini scimmiesche, risulterebbe anzi un complimento.

È interessante invece rilevare che la vicenda mina il luogo comune secondo cui i razionalisti sono gli evangelisti della logica, i sacerdoti della ragione, gli adoratori delle argomentazioni.

A quanto pare, invece, all’occorrenza usano gli slogan, non disdegnano un po’ di propaganda, e se un film o un libro può dare visibilità alle loro ragioni, ben venga, anche a costo di accettare qualche banalizzazione e abbracciare qualche generalizzazione di troppo. Se poi questo porta ad abbassare momentaneamente la soglia del tanto decantato rispetto verso l’altro, pazienza: in fondo, pare di capire, le religioni nei loro confronti hanno fatto di peggio.

Per uscire dall’impasse senza scadere in uno scontro non ci resta che una possibilità: invertire le parti e, come cristiani, dare prova di tolleranza nei confronti di chi vuole provocare.

Lasciamo allora le tre scimmiette, e i loro sodali, al loro destino. D’altra parte se gli amici atei hanno bisogno di un film alla Borat e quattro autobus per farsi coraggio, per chi crede non c’è molto da preoccuparsi.