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Parole stonate

Questa è la storia di una di noi. C’era una volta un’artista famosa per la sua voce e il suo talento; un’artista dal passato tormentato, protagonista di un percorso umano e spirituale variegato e complicato, che un giorno ha trovato la risposta alle sue domande, e la soluzione ai suoi problemi, nella fede nel messaggio del vangelo. Come molti di noi, certo: ma, se è vero che siamo tutti uguali davanti a Dio, è altrettanto vero che le scelte di vita di un personaggio famoso fanno più rumore, nel bene e nel male.

Aveva cominciato bene il suo percorso: silenziosa, per molti addirittura troppo, teneva per sé, nella sfera più intima, la sua nuova fede, apprezzata in questo suo approccio da chi conosce la vacuità delle dichiarazioni a effetto, e criticata da chi avrebbe preferito sentir gridare ai quattro venti una “testimonianza” ancora giovane, debole, difficile da conservare in mezzo ai marosi di un ambiente ostile come il mondo dello spettacolo.
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Il decennio senza prospettive

Cosa resterà di questo primo decennio di XXI secolo? Se lo chiede, con qualche tocco di lirismo, Vittorio Macioce sul Giornale.

Sembravano anni già visti, detti, profetizzati: «sono stati lì a scrivere, immaginare, sognare, navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, viaggi nel tempo, teletrasporti, telelavori, cibernauti, argonauti, terre promesse, visitors e ufo robot. Poi il 2000 è arrivato e sono passati dieci anni. Non è che non è successo nulla, solo che il futuro, quando ci cammini sopra, non è questa cosa straordinaria».
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Sbagliata fino in fondo

«Ma cosa crede, che a sessant’anni cambio vita, cerco un lavoro e mi metto a pulire i gabinetti?»: non sono le parole di una contessa caduta in disgrazia o di un’operaia licenziata dopo decenni di onorato servizio, ma di una donna di mezza età arrestata a Milano per spaccio di sostanze stupefacenti.

Di lei sappiamo solo le iniziali, C.M.: il nome non è stato reso noto, per quel malinteso senso della privacy che porta le autorità a sottrarre al pubblico ludibrio anche i nomi degli evasori dalla bella vita.

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Noia mortale

A metà marzo tre quattordicenni dalla situazione familiare disagiata hanno rubato un’auto per lanciarsi a tutta velocità contromano a fari spenti sulle strade del milanese: le loro scorribande sono andate avanti per sette notti consecutive, fino a quando i Carabinieri non li hanno fermati.

Ieri a Genova un gruppetto di ragazzi (e ragazze) dai 13 ai 16 anni ha deciso di trascorrere la serata attraversando a piedi l’autostrada, fino a quando la Polizia non li ha scoperti e portati in Questura.
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Rapporti alla pari

Per un cristiano c’è sempre da imparare dalla realtà ebraica. Sul piano culturale, certo, ma anche relazionale.

La visita di Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma è stata definita storica. Al di là dei contenuti, da parte della comunità ebraica spiccava un approccio da cui, forse, anche la realtà evangelica dovrebbe prendere esempio.

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Legalità e incoerenze

Gian Antonio Stella non delude, e sui fatti di Rosarno propone una riflessione non convenzionale ma appropriata. Il giornalista del Corriere ha scritto ampiamente su una pagina del nostro passato che vorremmo dimenticare, ricorda che «Anche i nostri nonni furono portati in salvo come i neri di Rosarno. Le autorità furono costrette a organizzare dei treni speciali per sottrarli nel 1896 al pogrom razzista scatenato dai bravi cittadini di Zurigo».

Insomma, «L’abbiamo già vissuta questa storia, dall’altra parte», emigrando dove non c’era lavoro, vivendo in clandestinità tra fame ed emarginazione.

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La storia che passa

Un vecchietto trasandato cammina sotto la pioggia sulle strade di Long Branch, in New Jersey. Agli occhi di chi lo vede il suo atteggiamento è “strano” – pare che negli USA, ormai, tutti siano sospetti – e per questo chiama la polizia.

Arriva una giovane agente, gli chiede i documenti ma l’uomo non li ha, anche se si identifica senza difficoltà: «Sono Bob Dylan», deve aver detto, o qualcosa di simile.

Niente da fare: l’agente lo carica in auto e lo accompagna al suo albergo, dove «quello che credeva solo un “vecchio eccentrico” era davvero Bob Dylan».

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Il prezzo del successo

«Le donne hanno paura di dire che non vogliono figli. Ma io penso che le cose, adesso, stiano cambiando. Ho più amiche che non hanno bambini, rispetto a quelle che li hanno. Onestamente, non abbiamo bisogno di più bambini. Abbiamo un sacco di persone su questo pianeta» si sfoga Cameron Diaz, l’attrice con un viso da baby sitter che però, a quanto pare, di pargoli non vuole sentir parlare: 37 anni e «una vita incredibile». Anzi, precisa, «In un certo senso, ho questo tipo di vita proprio perché non ho figli».

Le fanno eco varie starlette e attrici italiane che rimandano, glissano, o dicono chiaramente di non sentirne il bisogno. Qualcuna, come Valeria Golino, va oltre e si lancia in un’analisi arguta: «Avere almeno un figlio è quasi un obbligo, un desiderio indotto dal nuovo conformismo. E questo mentre finisce l’epoca delle grandi certezze, della famiglia com’era, della coppia com’era».

A confortare la posizione child-free delle attrici c’è anche il supporto dell’immancabile esperta: «L’identità femminile non può essere definita soltanto dalla maternità».

Molto vero, anche se onestamente troviamo difficile trovare qualcuno che, nell’anno di grazia 2009, sia davvero convinto che la donna serva solo a fare figli, e non le riconosca invece un ruolo essenziale – solamente, concedetecelo, complementare e non competitivo rispetto all’uomo – nella società.

In fondo, si potrebbe concludere, non è un obbligo: se uno non ritiene di mettere al mondo dei figli eviti di farlo, e la società eviti di colpevolizzare la sua scelta. Certo, è ironico notare come in molti casi chi potrebbe averne non li vuole per nessun motivo, mentre chi non può smuove mari e monti per ottenere quello che considera un privilegio: questa, però, è un’altra faccenda.

Quel che invece è sintomatico, da parte delle attrici candidate a non diventare mamme, è che sono tutte sostanzialmente single. Le due cose, peraltro, oggi non sono collegate – anzi, spesso prevale un’inversione dei passaggi tradizionali: prima un bebè, poi eventualmente il matrimonio – ma possono essere un sintomo della stessa difficoltà: la difficoltà a impegnarsi, a vivere un rapporto, ad accettare le responsabilità, ad affrontare una sfida di vita.

Ubriacate dal lavoro, le ragazze si ritrovano prigioniere del loro status “incredibile” (termine che usiamo con tutte le riserve del caso), protagoniste e vittime di uno star-system che non consente una vera vita privata, un vero progetto a lungo termine, veri rapporti umani.

È il prezzo del successo, quel successo che cambia la vita e, spesso, rende instabile l’equilibrio interiore delle star. Quel successo che, come una droga, inibisce le difese immunitarie dello spirito, e rende la persona sempre più debole e influenzabile, erode scelta dopo scelta la sua dignità, ottunde il suo metro di giudizio e le scelte in campo morale, etico, spirituale.

Ma quel che stupisce forse di più è la mancanza di prospettive. Oggi sono felice, oggi vivo una vita meravigliosa, oggi non ne sento il bisogno.

Come in un brutto film urlano al mondo la propria indipendenza e si credono invincibili, immortali. Nessuna preoccupazione per domani o dopodomani, quando la bellezza sarà sfiorita, la fama sarà sfumata, i fan saranno un ricordo e il confronto con il passato renderà ancora più atroce il presente.

In quei momenti solo la presenza di rapporti umani reali, custodi di un’intimità e di una complicità costruite e consolidate nel tempo, potrà garantire quella serenità e quell’equilibrio necessari a non cadere nel vortice della disperazione.